Translate

domenica 26 giugno 2011

Il diritto di visita negli accordi internazionali per l'abolizione della schiavitù. Dal Congresso di Vienna (1815) al Trattato di Londra del 1841.

E' secolare la storia degli accordi internazionali che prevedono l'uso della forza militare per fini umanitari. Già il Congresso di Vienna nel 1815 condannò la schiavitù e la tratta degli schiavi in quanto contrarie al diritto delle genti e alla moralità internazionale.
Assume spesso i toni della polemica la discussione sulla matrice ideale dell'abolizionismo. Pare prevalente l'influenza del Cristianesimo. Pur presentando anche tratti contraddittori, il Magistero della Chiesa cattolica e la religiosità cristiana protestante prepararono largamente la strada all'abolizione della schiavitù. Più incerto sembra il contributo degli illuministi e dei precursori dell'Illuminismo: Locke e Voltaire non erano abolizionisti e investirono nel commercio degli schiavi.
Il programma abolizionista adottato a Vienna fu parzialmente attuato con accordi tra le grandi potenze. Quello del 1831 già attribuiva alle parti contraenti, Gran Bretagna e Francia, reciprocamente, il cosiddetto diritto di visita. La marina militare di ciascuna delle due potenze in base al trattato poteva "visitare" la navi dell'altra per controllare che non trasportassero schiavi.
Il Trattato di Londra del 1841, stipulato anche da Austria, Prussia e Russia, estese e precisò l'utilizzo di questo strumento. Forti resistenze in Francia spinsero però Guizot a differirne la ratifica. Prevalsero sentimenti nazionalisti ma non mancarono rilievi sostenuti da argomentazioni degne di particolare attenzione.
Tocqueville, eletto alla Camera nel 1839, abolizionista convinto, componente della commissione parlamentare chiamata a pronunciarsi sul tema, dimostrò che il diritto di visita aumentava spesso le crudeltà subite dai prigionieri, gettati in mare per sfuggire alla sorveglianza. Propose in alternativa un'azione delle potenze europee diretta ad eliminare i mercati degli schiavi.
Proprio nel 1839 è ambientato il bel film di Spielberg Amistad, con Anthony Hopkins.



Un modo efficace e suggestivo per presentare ai nostri giovani un problema che mobilitò coscienze e scatenò conflitti.


venerdì 17 giugno 2011

Giustizia lenta.


"ROMA - La giunta distrettuale di Roma dell'Associazione nazionale magistrati lancia l'allarme: il tribunale di Roma rischia la paralisi. "La profonda crisi di risorse umane e materiali attuale sta conducendo il tribunale di Roma al rischio paralisi"
"Per l'Anm la conclusione è una sola: "Mentre si favoleggia di una informatizzazione degli uffici già in gran parte avvenuta (e che gli operatori della Giustizia sanno essere invece, tuttora, nel libro dei sogni), o si discute della riforma costituzionale della giurisdizione, l'unica riforma epocale già in atto è quella di una riduzione progressiva della giurisdizione quotidianamente resa, della chiusura di uffici e servizi per assenza di personale e di risorse materiali".

La giustizia italiana è in profonda crisi ormai da tanti anni. Ma quali sono cause e responsabilità? Sempre sul Corriere Della Sera i professori Alberto Alesina e Francesco Giavazzi scrivono:

"La giustizia civile in Italia non solo è lenta: i suoi tempi si stanno ancor più allungando. Negli anni Ottanta una procedura fallimentare durava, in media, poco più di 4 anni, ora ne dura più di 9 (dati Istat). E così le aziende trovano sempre maggiori ostacoli alla crescita. Che fare? Scartiamo subito la risposta ovvia e sbagliata: che si dovrebbe spendere di più per la giustizia. La Commissione europea sull'efficienza della giustizia (un organo del Consiglio d'Europa) calcola che lo Stato italiano spende per la giustizia 70 euro per abitante (dati relativi al 2008). La spesa in Francia è 58 euro per abitante. E non perché la Francia abbia molti meno giudici e cancellieri. I numeri sono simili: i giudici sono 9 per 100mila abitanti in Francia e 10 in Italia; i dipendenti dei tribunali con qualifica diversa da giudice sono 4 per ciascun giudice in Italia, 3 in Francia. Ciononostante la lunghezza media di un procedimento civile è la metà in Francia che in Italia. I giudici italiani sono anche pagati un po' meglio: lo stipendio base è superiore del 20% circa al corrispondente stipendio francese".

Da considerare anche il dato seguente, citato dallo stesso ministro Alfano:

"La sola immissione di risorse economiche non risolve alcun profilo di inefficienza'', spiega il Guardasigilli, citando il caso del settore dell'informatica giudiziaria, dove, dal 1996 al 2007, sono stati spesi complessivamente ''piu' di 2 miliardi di euro'', anche se ''nello stesso periodo l'arretrato sia nel settore civile che nel settore penale e' aumentato inesorabilmente".


"La situazione di partenza degli uffici giudiziari italiani non era certo delle migliori: un "bricolage informatico", come lo ha descritto il Guardasigilli, dove ognuno organizzava da sé il proprio programma di informatizzazione o, per dirla con le parole del ministro Brunetta, un apparato "balcanizzato", dove ogni ufficio aveva il suo sistema e conseguentemente il suo contratto di assistenza, con costi molto variabili. E la giungla dei costi, si sa, crea inevitabilmente sprechi di risorse. "Interrompere la balcanizzazione e creare un contratto di servizio unico per l'assistenza informatica consentirà, come è già avvenuto per le intercettazioni, di razionalizzare i costi e di diminuirli".

Ricordiamo poi le importanti disposizioni del D. Lgs. 25 luglio 2006, n. 240 che attribuiscono ai magistrati capi degli uffici giudiziari funzioni di indirizzo anche in materia amministrativa, pur nel rispetto dei compiti dei dirigenti amministrativi:

Art. 2 Gestione delle risorse umane:

"1. Il dirigente amministrativo preposto all'ufficio giudiziario e' responsabile della gestione del personale amministrativo, da attuare in coerenza con gli indirizzi del magistrato capo dell'ufficio e con il programma annuale delle attività di cui all'articolo 4".


Esaminiamo infine con attenzione questi dati sulla durata dei processi. Relativi alla sola materia civile, mostrano una variabilità da distretto a distretto riscontrabile anche nel settore penale, in parte non spiegabile guardando alle sole caratteristiche degli illeciti più diffusi nel territorio.

Da queste premesse non pare possibile trarre conclusioni univoche. La situazione, anche sotto il profilo delle responsabilità, appare difficile da districare. Si tratta del resto di un ambito dove la battaglia politico-culturale senza esclusione di colpi in atto nel nostro paese produce danni gravissimi. Ed a pagare sono soprattutto i più deboli.



mercoledì 1 giugno 2011

Debito e crescita. La soluzione non è a portata di mano.

Sul Corriere della Sera Dario Di Vico propone un'analisi del discorso del governatore uscente della Banca d'Italia Mario Draghi. Diversi i rilievi mossi dal governatore. Il governo è accusato di aver realizzato tagli lineari alla spesa. Tagli selettivi, uniti al recupero dell'evasione, avrebbero invece consentito di diminuire la pressione fiscale su lavoratori e imprese, accrescendo nel contempo la produttività del sistema.
La critica dei tagli lineari ricorre spesso, ma pare non tener conto a sufficienza delle caratteristiche della spesa pubblica italiana, rappresentata prevalentemente dalla spesa sanitaria, dalle retribuzioni dei dipendenti pubblici e dalla spesa previdenziale.
Alla sanità i tagli cosiddetti intelligenti gioverebbero grandemente e rilevanti sarebbero i risparmi. Ma qui è decisiva la competenza delle regioni. La loro gestione dovrebbe dare attuazione ai buoni propositi espressi a livello centrale.
Altrettanto difficile è intervenire selettivamente sul numero e soprattutto sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici per risparmiare e aumentare la produttività. La spesa previdenziale poi, per sua stessa natura, mal si presta ad interventi di questo tipo.
Condivisibile è la fiducia espressa dal governatore nell'indipendenza della istituzione che dirige e nelle qualità dei suoi collaboratori. Ma le banche centrali e le agenzie indipendenti avrebbero dovuto prevenire la recente crisi economica. L'errore e la negligenza non sono evidentemente una prerogativa esclusiva delle agenzie governative.
Poi il biasimo per le riforme non realizzate. "La lista del Governatore" - scrive Di Vico - "è fatta di otto proposte e si apre con l'efficienza della giustizia civile, il sistema dell'istruzione, la concorrenza, il mercato del lavoro e gli investimenti nelle infrastrutture. Si tratta di riforme alcune delle quali, da sole, valgono un punto di Pil e che vanno realizzate pensando "a quale Paese lasceremo ai nostri figli".
Il governo in carica ha già modificato il processo civile italiano, introducendo importanti novità. Non si dimentichi però che la giustizia italiana ha caratterstiche peculiari. L'ordinamento non solo tutela rigorosamente l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali ma attribuisce ai magistrati capi degli uffici giudiziari anche compiti di indirizzo per la gestione delle risorse umane (personale amministrativo), finanziarie e strumentali. E' certo necessario ridurre il numero di tali uffici giudiziari e razionalizzare la loro distribuzione sul territorio. Ma spesso sono le qualità dei magistrati dirigenti a fare la differenza sotto il profilo della produttività.
Quanto al settore dell'istruzione, sono note le vicende della riforma Gelmini. Fondati sembrano poi molti dei rilievi di Draghi a proposito delle mancate liberalizzazioni. Ma su queste esiste in Italia un vero consenso popolare?
Altrettanto fondate sono le considerazioni del governatore sulle deficienze strutturali e culturali delle aziende italiane. La pressione esercitata dal mercato globalizzato già determina un'evoluzione non priva di dure conseguenze personali.
Nella relazione insomma non mancano aspetti discutibili. Draghi conosce bene la complessità della situazione italiana. Qualche cenno in più alle peculiari difficoltà che si incontrano nel tentare di riformare il nostro paese avrebbe costituito una ulteriore chiara manifestazione di indipendenza ed autorevolezza.

mercoledì 25 maggio 2011

Tocqueville: le preferenze religiose dei popoli democratici.


Nella Democrazia in America - libro terzo, parte prima, capitolo settimo - Tocqueville scrisse:

"In questi tempi lo spirito umano tende ad abbracciare contemporaneamente una quantità di oggetti diversi; e aspira senza posa a collegare moltissime conseguenze ad una sola causa. L'idea dell'unità lo assilla, l'assedia; l'uomo la cerca ovunque e quando crede di averla trovata si adagia volentieri in essa e vi riposa. Non solamente egli viene a scoprire nel mondo una creazione e un creatore; questa prima divisione delle cose lo urta; ed egli cerca volentieri di ingrandire e semplificare il suo pensiero riunendo Iddio e l'universo in un tutto unico. Se trovassi un sistema filosofico secondo il quale le cose materiali e immateriali, visibili e invisibili, racchiuse nel mondo non sono più considerate che come parti diverse di un essere immenso, che solo resta eterno nel mezzo del cambiamento continuo e della trasformazione incessante di tutto ciò che lo compone, non avrei difficoltà a concludere che un simile sistema, sebbene distrugga l'individualità umana o, piuttosto, perchè la distrugge, avrà delle attrattive segrete per gli uomini che vivono nelle democrazie; i quali sono preparati a concepirlo e ad adottarlo da tutte le loro abitudini intellettuali. Esso attira naturalmente la loro immaginazione e la fissa, alimenta l'orgoglio del loro spirito e accarezza la loro pigrizia.
Fra i differenti sistemi per mezzo dei quali la filosofia cerca di spiegare l'universo, il panteismo mi sembra uno dei più adatti a sedurre lo spirito umano nei secoli democratici; è contro di esso che tutti coloro i quali sono persuasi della vera grandezza dell'uomo debbono riunirsi e combattere".

Anche nel cinema la conferma di questa lucida previsione. Avatar di James Cameron rappresenta l'esempio più rilevante: la divinità è un tratto della Natura. La sete di senso dell'uomo contemporaneo è placata da una visione che dissolve nel Tutto ogni individualità.
Il recente splendido The Tree of Life di Terrence Malick non si presta invece a semplificazioni riduttive e a letture unilaterali. La Grazia evocata ed invocata nel film non sembra del tutto estranea all'esito dell'elaborazione delle teologie cristiane. Ne risulta la prospettiva di una comunione che non cancella l'individualità, bensì la esalta.

domenica 15 maggio 2011

Impiegati. Il lavoro che oggi sognano i giovani.

Due interessanti articoli, di Isidoro Trovato sul Corriere della Sera e del professor Luca Ricolfi su Panorama del 12 maggio 2011, mettono in evidenza alcuni aspetti inquietanti della condizione in cui versano i giovani italiani.

"...negli anni 10 del terzo millennio scopriamo che l'impiegato è il mestiere più agognato. Altro che sogni di gloria, di fama e di potere. Tutto quello che vogliamo è un posto sicuro che ci protegga dalle avversità del mondo. Un posto da impiegato, appunto. A dimostrarlo è un'indagine di Adecco, la più grande agenzia per il lavoro in Italia che ha condotto la ricerca su un campione di 6.500 persone di età compresa tra i 26 e i 50 anni (il 49% degli intervistati ha un'età compresa tra i 26 e i 35 anni) e chiedendo quale fosse il lavoro dei loro sogni. E l'impiegato è quello che ha raccolto più voti".

"A rendere ancora più incisivo l'esito della ricerca basta fare il raffronto con la stessa (condotta sempre da Adecco) dieci anni fa: allora il sogno era quello di mettersi in proprio e di tentare la fortuna e le sfide dell'imprenditorialità. E l'impiegato si trovava in fondo la classifica, appena sopra il netturbino e l'operaio".

Restano dunque penalizzati nelle aspirazioni dei giovani i lavori più umili, i posti da operaio specializzato, anche in presenza di retribuzioni interessanti, le professioni e le iniziative imprenditoriali.
Questa ridefinizione delle aspirazioni giovanili, accompagnata da un calo della percentuale di nuovi laureati e diplomati, appare il riflesso di una società ingessata, che cresce troppo poco, mentre la mobilità al suo interno si riduce a livelli preoccupanti.
Perchè? Da un lato, come scrive Trovato, "A rinunciare sono soprattutto i figli della classe media, dove la laurea non è una tradizione familiare da generazioni e dove il capitale sociale di relazioni (così utile per trovare un lavoro) è inesistente o scarso". Dall'altro vanno poste in evidenza le rigide modalità di accesso alle libere professioni, non sempre giustificate dall'interesse pubblico.
Da sottolineare anche il ruolo della crisi economica, che rende più difficile l'accesso all'impresa. Se ora è particolarmente arduo continuare un'impresa di dimensioni piccole o medie, le difficoltà per chi vuole iniziare sono spesso insuperabili. Ma importanti motivi attengono alla formazione dei giovani stessi. Scrive il professor Ricolfi:

" A me pare però che ci sia anche un'altra ragione, su cui per lo più si preferisce glissare: la qualità sempre più scadente di professori e studenti, a tutti i livelli dell'istruzione, dalla scuola elementare all'università.
Contrariamente a quanto comunemente si crede, l'abbassamento degli standard non favorisce affatto l'istruzione di massa. O meglio, la favorisce nella scuola dell'obbligo, dove vige la regola non scritta "è proibito bocciare", ma alla lunga la ostacola nell'istruzione superiore, perché i danni cognitivi che la scuola facile (fino a 13 anni) infligge alle menti dei ragazzi sono spesso irreversibili, e comunque troppo ampi per consentire di portare a termine studi che, per quanto dequalificati, richiedono conoscenze e capacità che la scuola ha rinunciato a trasmettere a tutti i suoi allievi".
Ovviamente tale abbassamento degli standard finisce per compromettere anche la preparazione di chi il sempre più svalutato "pezzo di carta" lo ottiene. L'impatto con la realtà del mercato del lavoro e delle attività professionali diventa così non raramente doloroso, con un netto vantaggio per i privilegiati provenienti da famiglie dove la professione è già una posizione acquisita.
Quali i possibili rimedi? Per la scuola l'abolizione del cosiddetto valore legale del titolo di studio, con conseguente selezione più severa di studenti ed insegnanti, accompagnate da un efficiente sistema di borse di studio per i meno abbienti capaci e meritevoli.
Opportuna pare anche una revisione delle modalità di accesso alle libere professioni che, senza diminuire la qualità degli operatori, si ispiri ai principi della libera concorrenza e persegua l'obiettivo di una adeguata mobilità sociale.
Auspicabile pure un riassetto del sistema delle imprese. La costituzione di imprese di maggiori dimensioni, o comunque di reti di imprese, più aperte alle opportunità del mercato globale e più soggette alle sue pressioni, può favorire il ricambio nei ruoli manageriali.
Ed infine due parole sull'educazione familiare dei giovani. L'assunzione di rischi ragionevoli e di responsabilità deve essere incentivata. L'abitudine alla fatica e ad una corretta competizione va favorita. Perché una grande società aperta ha bisogno di tutti e dell'impegno di tutti.




venerdì 6 maggio 2011

La morte di Osama bin Laden: un successo da non sopravvalutare.

L'eliminazione di bin Laden ha permesso a Barack Obama di riconquistare parte del consenso perduto. Ma la sua presidenza continua ad apparire fallimentare a molti suoi concittadini.
Al debito pubblico fuori controllo non corrispondono una valida ripresa economica e una apprezzabile riduzione della disoccupazione. Una ripresa vitale, non effimera, può arrivare solo da un aumento degli investimenti privati, da un incremento della produttività e della competitività diffuso, non limitato ad alcune grandi compagnie, da una minor adesione a stili di vita distruttivi e autodistruttivi, accompagnata dal concreto raggiungimento di migliori standards di etica del lavoro e della responsabilità.
Fuori dai confini statunitensi i problemi, vecchi e nuovi, sono lontani da una soluzione. In Medio Oriente e Nord Africa le recenti rivolte popolari aprono anche inquietanti prospettive. Dove i regimi autoritari sono caduti le richieste di più alti salari e maggiori spese pubbliche comportano rischi sotto il profilo della tenuta dei conti pubblici. Mentre le entrate derivanti dal turismo e gli investimenti stranieri potrebbero diminuire.
Altre preoccupazioni crea il più importante ruolo esercitato dai movimenti islamici. In Siria e soprattutto in Iran i regimi autoritari esistenti sembrano in grado di restare in sella incattivendosi ulteriormente. Il conflitto israeliano - palestinese non è componibile. I Palestinesi non accettano e non accetteranno l'esistenza di uno stato ebraico. Gli Israeliani non accettano e non accetteranno il ritorno in Israele dei profughi palestinesi. Gli ostacoli sembrano insuperabili. L'aumentata influenza delle masse islamiche, educate nell'odio verso Israele, non può che far diminuire le residue speranze di pace.
E poi Iraq e Afghanistan. Il disimpegno dall'Iraq, anche se non totale, compromette una vittoria ottenuta a carissimo prezzo, aprendo la porta a sempre maggiori ingerenze iraniane. L'Afghanistan, oggetto di tante promesse elettorali del presidente Obama, probabilmente verrà in larga misura riconsegnato ai Talebani. Una fuoriuscita politica in realtà corrispondente ad una resa, che la scomparsa di bin Laden non può coprire efficacemente agli occhi dell'opinione pubblica americana.
Infine il reset dei rapporti con la Russia. Assistiamo ad una battuta d'arresto, spiegabile più con la insufficiente autorevolezza che con una accresciuta fermezza di Barack Obama.
Questi sono soltanto alcuni dei problemi che potrebbero precludere a Obama la riconferma presidenziale. Oggi il presidente USA ottiene un consenso più ampio. Ma gli elettori statunitensi, formati in una vecchia e solida democrazia, difficilmente ripetono due volte lo stesso errore.

giovedì 28 aprile 2011

Saddam e Gheddafi. Due pesi, due misure.




Il recente intervento occidentale in Libia richiama inevitabilmente alla memoria la Seconda guerra del Golfo, cioè l'intervento anglo - americano in Iraq deciso per abbattere il regime di Saddam Hussein.
Saddam non è mai stato un "uomo degli Americani", nonostante le tante leggende in senso contrario. Qui si possono trovare dati precisi sulle forniture di armi all'Iraq nel decennio 1980 - 1990 (il Kuwait fu appunto occupato nel 1990). I grandi fornitori di armi di Saddam erano Unione Sovietica, Cina e Francia. Le importazioni in Iraq di armi americane risultano quantitativamente e qualitativamente trascurabili.
Risale al 1991 la Prima guerra del Golfo, cioè l'operazione militare internazionale, guidata dagli Stati Uniti, che si concluse con la liberazione del Kuwait e con l'imposizione all' Iraq di un rigido embargo economico da parte dell'ONU, poi temperato dall'attuazione del cosiddetto programma Oil for food, che consentiva l'esportazione controllata di greggio iracheno per l'acquisto di viveri e medicinali. Anche dopo questa sconfitta disastrosa Saddam rimase al potere, torturando e uccidendo in massa i suoi oppositori interni. Continuarono i finanziamenti iracheni ai gruppi estremisti e terroristi palestinesi.
Gli alleati occidentali dovettero mantenere nella regione, soprattutto in Arabia Saudita e Kuwait, ingenti forze militari, costosissime anche sotto il profilo della percezione da parte delle masse islamiche, ma necessarie per esercitare una costante pressione sul regime iracheno.
Ciononostante Saddam continuò a violare l'embargo e a tentare di riprendere l'iniziativa. La gabbia costruita intorno a lui con le decisioni delle Nazioni Unite si rivelò inefficace.
Nella primavera del 2003 iniziò la Seconda guerra del Golfo. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna invasero l'Iraq e posero fine al regime di Saddam. La guerra irachena, intrapresa con una incerta legittimazione ONU, trovò nell'opinione pubblica internazionale una forte opposizione. Ma soprattutto divise lo schieramento occidentale. Francia e Germania infatti non appoggiarono l'azione militare promossa dagli Stati Uniti.

Da sottolineare la forte mobilitazione contro la guerra dell'intelligencija dei paesi occidentali, tranne poche eccezioni, sia pure talvolta autorevoli. Questa stessa intelligencija ora appoggia l'intervento per abbattere il regime di Gheddafi. Può bastare la copertura ONU, oggi completa, a giustificare un giudizio tanto differente? O siamo piuttosto in presenza dell'uso di due pesi e due misure? Questi intellettuali, al consapevole servizio di una visione politica e non della verità, rappresentano un fenomeno esploso nel Novecento dei grandi totalitarismi. Un vero e proprio tradimento, che priva la società aperta di una delle sue migliori risorse.









mercoledì 20 aprile 2011

Il tema musicale della Follia dal Seicento a Stanley Kubrick.


Il tema musicale della Follia ha attraversato i secoli. Probabilmente di origine portoghese, dal Rinascimento ai nostri giorni ha continuato a segnare la musica occidentale. Con esso si sono cimentati i più grandi compositori. La sua versione di Handel è entrata a far parte della colonna sonora di uno dei film più noti di Stanley Kubrick: Barry Lyndon.
Di seguito i link alle versioni di:





















che entra a far parte della colonna sonora del Barry Lyndon di Kubrick (1975)


martedì 12 aprile 2011

Economicismo.

L'espressione economicismo (o economismo), pur essendo usata anche per contrassegnare preferenze e visioni morali, acquista particolare importanza nel dibattito sui fattori che determinano i processi storico-sociali, le vicende economiche e gli stessi sviluppi del pensiero umano.
Ha scritto Karl Popper in Congetture e confutazioni, 2000, pagg. 564 e 565:

"...sono convinto che l'economicismo di Marx - l'enfasi da lui posta sullo sfondo economico quale base ultima di ogni sorta di sviluppo - è sbagliato e di fatto insostenibile. Ritengo che l'esperienza della realtà sociale mostri chiaramente che in determinate circostanze l'influenza delle idee (rafforzate magari dalla propaganda) può superare in importanza e sostituirsi alle forze economiche. Inoltre, concesso che è impossibile comprendere compiutamente gli sviluppi mentali senza comprendere il loro sfondo economico, è almeno altrettanto impossibile comprendere gli sviluppi economici trascurando, per esempio, lo sviluppo delle idee scientifiche o religiose".

Ideologie, teorie scientifiche e religioni sono opere della mente umana, seppure non progettate da singoli individui. Anche se non incarnate in oggetti fisici producono effetti nella realtà e devono quindi essere considerate reali. Nella tripartizione istituita da Popper appartengono al "Mondo 3", quello, appunto, " dei contenuti di pensiero, o per meglio dire, dei prodotti della mente umana" (L'Io e il Suo Cervello, vol. I, 1982, pagg. 52 e segg.).

Uno straordinario esempio di influenza determinante di fattori non economici è stata autorevolmente considerata la rapida espansione araba del VII secolo. Henri Pirenne, tra i massimi esponenti della storiografia europea del Novecento, studioso incline alle indagini quantitative e attento ai fattori economici, nel suo Maometto e Carlomagno, parte seconda, capitolo primo, ha scritto:

"La conquista araba, che si scatena contemporaneamente sull'Europa e sull'Asia, non ha precedenti: la rapidità dei suoi successi può essere paragonata soltanto a quella con cui si costituirono gli imperi mongoli di un Attila, o, più tardi, di un Genghiz Khan o di un Tamerlano. Ma quelli furono tanto effimeri quanto la conquista dell'Islam fu duratura. Questa religione ha ancora oggi i suoi fedeli in quasi tutte le terre in cui si era imposta sotto i primi califfi. La sua diffusione fulminea è un vero miracolo paragonata alla lenta espansione del cristianesimo.
Di fronte a questa irruzione cosa sono le conquiste, tanto a lungo arginate e così poco violente dei Germani che dopo secoli riuscirono appena a rosicchiare i confini della Romania?"

"Tutto questo si spiega senza dubbio con l'imprevisto, con lo smarrimento degli eserciti bizantini disorganizzati e sconcertati di fronte a un nuovo modo di combattere; con il malcontento religioso e nazionale dei monofisiti e dei nestoriani di Siria, ai quali l'Impero non vuol fare alcuna concessione; col malcontento della Chiesa copta d'Egitto e con la debolezza dei Persiani.
Ma tutte queste ragioni non sono sufficienti a spiegare un trionfo così assoluto. L'immensità dei risultati conseguiti è sproporzionata rispetto all'importanza del conquistatore".

Evidentemente l'entusiasmo religioso ha svolto un ruolo decisivo. Va insomma sottolineata l'importanza di ideologie, teorie e visioni religiose nella spiegazione storica. La storia delle idee rappresenta una componente fondamentale della ricerca storica. Per il Novecento in particolare sono da citare Francois FURET, Il passato di un' illusione e Robert CONQUEST, Il secolo delle idee assassine.



martedì 5 aprile 2011

La loggia P 2 secondo Francesco Cossiga.



Il 3 febbraio 1871 Roma diventò capitale del Regno d'Italia. Nel 1877 nacque la loggia massonica Propaganda, destinata a raccogliere notabili del nuovo stato italiano giunti a Roma. Sciolta durante il regime fascista, fu ricostituita dopo la Liberazione con il nome Propaganda Due, P 2. Le sue vicende, in particolare durante gli anni Settanta, fino al 1981, sono state oggetto di indagini della Magistratura e di una commissione parlamentare guidata dalla democristiana Tina Anselmi.
Aveva almeno un migliaio di iscritti, soprattutto militari, membri dei servizi segreti, diplomatici, politici e giornalisti. Sulla natura di questa associazione e sulla sua attività si scatenarono battaglie politiche e polemiche giornalistiche che periodicamente riprendono vigore, alimentate dalla presenza nella vita pubblica italiana di alcuni ex membri di tale associazione segreta. Le indagini giudiziarie e parlamentari, pur non dissipando tutti i dubbi, portarono al suo scioglimento ed a una riforma della legislazione sulle associazioni segrete.
L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, recentemente scomparso, ha delineato una personale lettura di quelle vicende, interpretate soprattutto con riferimento alla dura contrapposizione tra Unione Sovietica e Stati Uniti d'America, particolarmente intensa proprio alla fine degli anni Settanta ed all'inizio degli anni Ottanta.
La presenza in Italia del più grande partito comunista dell'Occidente, ancora in quegli anni, durante la segreteria Berlinguer, dipendente dai finanziamenti e dalle direttive sovietichecontribuisce a rendere verosimile la ricostruzione presentata da Cossiga nel suo La versione di K. Sessant'anni di controstoria, 2009, pagg. 129 e segg. Scrive il presidente emerito:

"Io alla storia di Licio Gelli e della loggia massonica P2, almeno come è stata raccontatata, non ci ho mai creduto".

"La P2 non è stata un'invenzione di Gelli. La P2, che vuol dire Propaganda 2..., è quella del Gran Maestro, nata con la presa di Porta Pia. Fu creata per trasferirvi tutte le autorità politiche e militari che venivano a Roma"

"La mia ipotesi è questa. Io mi sono letto tutti i nomi della lista P2, tutti. Alcuni non li conosco, altri li conosco, però erano quasi tutti filo americani e anticomunisti. Quasi tutti fermi, anzi, fermissimi filo americani e anticomunisti. La chiave del giallo, secondo me, è proprio qui.
Per capire, è però inevitabile che io apra un'altra delle mie parentesi. Durante il secondo conflitto mondiale, nel governo svizzero c'era una corrente filo germanica. E il comandante in capo dell'Esercito svizzero tentennava di fronte all'eventualità di una resistenza a oltranza. Ufficiali e sottufficiali di diverso orientamento formarono allora una società segreta, si chiamava "Lega di Nidvaldo" (conosciuta anche come Gotthardverein), in ricordo della ferma lotta dei nidvaldesi contro lo straniero Napoleone. Giurarono, formalmente predisponendosi al tradimento, che se il governo federale, il loro governo, avesse concesso il passaggio ai tedeschi attraverso la Svizzera, loro si sarebbero opposti. Poi, avendo gli alleati vinto la guerra, il governo elvetico e il procuratore generale della confederazione si guardarono bene dal procedere contro di loro. Anche se si erano mobilitati segretamente per opporsi agli ordini del governo legittimo.
Perchè dico questo? Perchè quando ho letto la lista della P2 ho subito pensato che quella era la nostra Lega di Nidvaldo: non contro i nazifascisti, ma contro i comunisti. Lo dissi anche in un'intervista al "Corriere della Sera", ma Gelli volle smentirmi, non so perchè".

"Allora, mettiamo che l'amministrazione americana cercasse di creare la Gotthardverein in Italia. Che fa? Cerca di mettere insieme un'organizzazione in cui ci sono i vertici della diplomazia, delle Forze Armate, della Polizia e così via. E prende a modello quello che è il modello comune degli Stati Uniti e cioè il modello della loggia massonica".

La narrazione di Cossiga ha almeno un grande merito: inserisce le vicende italiane nel più ampio contesto internazionale. Senza questo approccio globale la comprensione appare impossibile. L'Italia non basta per spiegare se stessa.

Visite