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mercoledì 27 maggio 2009

L' insostenibile fascino del dialogo. La politica estera di Obama.

Gli USA, colpiti duramente dalla crisi economica, fuori dei loro confini devono fronteggiare situazioni esplosive. Purtroppo però le prime mosse della nuova amministrazione possono rendere ancora più incontrollabili e pericolose crisi già di difficile soluzione. Il territorio dell'Iraq è in larga misura desertico e pianeggiante. Non consentendo l'infiltrazione dall'esterno di consistenti forze avversarie organizzate, la guerra intrapresa dagli Usa ha potuto avere un esito per essi sostanzialmente favorevole. Proprio per la natura del suo territorio l'Iraq non poteva essere per gli americani un nuovo Vietnam.
In Afghanistan invece gli USA non possono vincere una guerra circoscritta. Perchè il tentativo di prevalere in Afghanistan determina l'estensione dei combattimenti al Pakistan, popoloso paese islamico dotato di armi nucleari ed il cui governo è un fondamentale alleato. Obama può o abbandonare l'Afghanistan ai talebani presentando la resa come una vittoria della diplomazia o chiedere al governo pakistano di combattere i fondamentalisti islamici nel proprio paese. Su richiesta dello stesso Obama il nuovo governo pakistano ha iniziato operazioni militari su larga scala contro i fondamentalisti ed i talebani usciti dall'Afghanistan. Ora almeno un milione di profughi è in fuga dalle zone di guerra e la guerra civile rischia di divampare in tutto il Pakistan.
Così in Medio Oriente Obama ha cercato il dialogo con l'Iran. Ottenendo il risultato di incrementare le paure e il senso di insicurezza di Israele. Ha in questo modo reso più difficile la composizione della crisi palestinese, mentre il governo israeliano potrebbe essere rafforzato nella sua decisione di distruggere le installazioni atomiche iraniane. Dunque un esordio, quello del presidente americano in politica estera, che ha purtroppo buone possibilità di aggravare le crisi atto.
Date le attuali circostanze, che egli non può modificare se non in minima parte, nelle questioni più spinose gli spazi di mediazione sono quasi inesistenti. E la minaccia dell'uso della forza da parte di questa amministrazione USA ha perso pressochè ogni credibilità. Con il risultato paradossale di accrescere il rischio di guerra invece che ridurlo.

sabato 23 maggio 2009

La Chiesa e i divorziati risposati.

E' molto discusso l'atteggiamento della Chiesa cattolica verso i divorziati risposati. Mentre nelle altre chiese cristiane si tende a riammetterli nella comunione dei fedeli, in quella cattolica i sacerdoti generalmente negano la possibilità di ricevere l'Eucarestia. Certo si tratta di casi di fatto diversissimi tra loro. Ma nell'opinione comune la Chiesa sembra così non osservare quel dovere di vivere secondo carità che essa stessa presenta come fondamentale. A ben guardare però la grande maggioranza dei matrimoni in crisi va incontro al fallimento proprio perchè tra i coniugi viene meno lo spirito di carità. Il severo atteggiamento della Chiesa in realtà vale a richiamare i coniugi cristiani al dovere di praticare reciprocamente la carità stessa dentro al matrimonio. Considerata da questa prospettiva la posizione della Chiesa cattolica non sembra incoerente. E forse anche chi chiede, non senza buone ragioni, comprensione per i cristiani che affrontano una nuova esperienza matrimoniale dovrebbe prima di tutto sottolineare la necessità della comprensione reciproca all'interno di ogni relazione coniugale.

domenica 17 maggio 2009

Preferenze. Una battaglia sbagliata.

Tra poco si terranno le elezioni per il Parlamento europeo ed amministrative. Si tratta di elezioni dove è possibile esprimere preferenze. Possibilità che molti invocano anche per l' elezione del Parlamento italiano.Tale facoltà viene presentata come indispensabile momento di democrazia e come strumento efficacissimo per rinnovare e migliorare la rappresentanza politica. 
Si dovrebbe però considerare che comunque i candidati, uno o pochi che siano, vengono designati dai partiti, sostanzialmente con un meccanismo di cooptazione. Che si ha una significativa differenza tra candidati di uno stesso partito solo quando questo è diviso in correnti di cui i candidati sono espressione. Che la divisione di un partito in correnti in competizione ne indebolisce l' azione. Che la concorrenza per il conseguimento delle preferenze eleva il costo della politica, spingendo i candidati singolarmente o con la corrente di appartenenza a procurarsi risorse finanziarie con mezzi leciti e non raramente illeciti.
Dunque quella per le preferenze pare una battaglia sbagliata. In realtà, in una democrazia sana, è la competizione tra grandi partiti, ciascuno capace di proporsi concretamente come forza di governo, a spingere i gruppi dirigenti di tali partiti alla scelta dei candidati con maggiori possibilità di successo. E' dunque la pressione esterna, più che quella interna, a risultare più efficace ed utile per il paese.

venerdì 8 maggio 2009

L'invasione dei "senzatutto".

Il recente caso dei cosiddetti migranti riportati in Libia senza consentire lo sbarco in Italia riaccende per l'ennesima volta il dibattito sulla loro accoglienza. Si distingue nel chiedere attenzione ai loro bisogni e diritti la Chiesa cattolica. La Chiesa fa il suo dovere. Ma sono molti milioni le persone che ormai premono alle frontiere di un'Europa in crisi eppure capace di suscitare speranze tali da indurre ad accettare rischi elevatissimi. Dunque un'accoglienza a maglie larghe è impossibile. Mi pare che, accantonando ipocrisie vecchie e nuove, diventi sempre più centrale il problema del governo di quei paesi che non riescono ad assicurare una tutela adeguata dei diritti fondamentali e condizioni di vita dignitose. Si tratta spesso di dirigenti locali corrotti e/o inetti. Senza una decisa ingerenza da parte dei paesi chiamati a fornire aiuti e ad accogliere chi emigra la situazione non cambierà. Certo interventi non soltanto umanitari ma soprattutto diretti ad imporre modelli amministrativi, politici ed economici sono costosi ed impopolari, non potendosi escludere la necessità di operazioni militari assai protratte nel tempo. Ma la questione è ineludibile. Karl Popper, in una intervista di pochi anni fa al tedesco Spiegel, si espresse con una franchezza brutale in questi termini: "...è un fatto che va principalmente riportato alla stupidità dei dirigenti dei diversi Stati della fame. Abbiamo liberato questi Stati troppo rapidamente ed in modo troppo primitivo. Questi Stati non sono stati di diritto. La stessa cosa accadrebbe se si lasciasse a se stesso un asilo infantile." Sono parole così dure da sembrare irritante espressione di ottusità. Ma sono davvero così lontane dalla realtà? Karl R. POPPER, Tutta la vita è risolvere problemi, 1996, pag. 265

venerdì 1 maggio 2009

Quando la debolezza paga. La logica paradossale della strategia.

L'accordo Fiat-Chrysler, ad una mente avvezza più alla riflessione politico strategica che a quella economica, può ispirare la seguente considerazione. La compagnia torinese non è certo la sola a possedere le tecnologie indispensabili alla ristrutturazione dell'azienda automobilistica statunitense, né ad avere amministratori capaci. Ma per le sue dimensioni relativamente modeste, per la sua ancora importante debolezza finanziaria, per l'appartenenza ad un sistema-paese poco dinamico ed ancor meno capace di influenzarne altri, retto da governi tradizionalmente non solo alleati ma anche amici, presenta le caratteristiche di un partner privo di tendenze espansive politicamente ed economicamente inaccettabili. Per questo, prima di tutto, mi pare sia stata preferita ad altre.
La debolezza diviene un punto di forza. Si tratta di un percorso logico paradossale. Però molto della vita e della storia si presta a questa chiave di lettura.

Chi vuole trovare in rete un interessante libro di qualche anno fa che getta acutamente luce sulla logica paradossale della strategia può cercare :

Edward N. LUTTWAK, Strategia. Le logiche della guerra e della pace nel confronto tra le grandi potenze

venerdì 24 aprile 2009

L'antifascismo in mezzo al guado. Un'anomalia italiana.

Sono i giorni dedicati al ricordo della Resistenza italiana. Tanti uomini coraggiosi persero la vita per liberare il paese dall'occupazione nazista e da ciò che restava della ventennale dittatura fascista.
Oggi dobbiamo essere consapevoli, dopo aver visto ed appreso altre drammatiche vicende, che un antifascismo che non sia saldamente radicato in una generale avversione per il totalitarismo è monco, incompleto. E purtroppo monco, incompleto, incompiuto fu l'antifascismo della componente maggioritaria della nostra Resistenza, legata al totalitarismo comunista sovietico ed a questo subordinata. Molti italiani si sacrificarono anche per tentare di sostituire un regime autoritario con un altro, non meno pericoloso.
Si è a lungo parlato di tradimento degli ideali della Resistenza. Ma il primo grande tradimento degli ideali della maggior componente della nostra Resistenza fu proprio l'entrata in vigore della nostra Costituzione liberaldemocratica, che garantisce le libertà e i diritti fondamentali calpestati nei paesi comunisti.
Purtroppo la nostra Resistenza in larga misura non è stata la resistenza nazionale e democratica che invece prevalse nel Nord Europa ed in Francia, con De Gaulle. Questa è stata una fondamentale anomalia italiana. Qui ha origine la guerra civile strisciante che ha segnato il Secondo dopoguerra italiano fino alla prima metà degli anni Ottanta. Qui ha origine il blocco della democrazia italiana, logorata dalla mancanza di alternanza, sfiancata dalla corruzione.
Insegniamo ai nostri giovani a rifiutare e a combattere ogni totalitarismo. Solo allora potremo commemorare la nostra Liberazione nel modo migliore: onorando insieme la libertà e la verità.

lunedì 13 aprile 2009

Un potere politico senza responsabilità politica. Mito e realtà della separazione dei poteri in una democrazia libera.

Da lungo tempo ormai, con periodiche accelerazioni, si sviluppa in Italia il dibattito sulla riforma della Costituzione e dell'ordinamento giudiziario.
I difensori ad oltranza dell'esistente, quanto alle prerogative ed alla struttura degli organi giurisdizionali, si richiamano ad una inesistente teoria liberaldemocratica classica della separazione dei poteri, erroneamente ricondotta a precursori della teoria liberale come Locke e Montesquieu.
Questi infatti, guardando all'Inghilterra loro contemporanea ed ispirandosi alle sue istituzioni, non pensavano affatto a una separazione dei poteri consistente in una separazione di corpi autonomi ed indipendenti di funzionari pubblici, dotati della titolarità esclusiva di una funzione, da realizzare anche con la formazione di un potere giudiziario in questo senso separato. Il loro obiettivo era non tanto quello della "separazione dei poteri", quanto piuttosto quello della divisione del potere.
Ed infatti ancora oggi
negli USA i giudici della Corte Suprema federale, che in sostanza concentra in sè i compiti delle nostre Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, sono scelti e nominati dal Presidente degli Stati Uniti, eletto democraticamente. Mentre i vertici della pubblica accusa, esercitata di solito da avvocati dello stato, sono direttamente eletti dai cittadini o comunque, sia pure indirettamente, rispondono politicamente ad essi. Così in Inghilterra, fino ad oggi, le funzioni di Corte Suprema sono state in gran parte attribuite ad un organo del Parlamento, i Law Lords, sulla cui nomina ha influito in modo determinante il governo. In tali ordinamenti del resto le attribuzioni dei giudici sono circoscritte mediante l'ampio ricorso all'istituto della giuria popolare.
Quando si riflette su questi problemi da una prospettiva liberaldemocratica bisogna essere ben consapevoli di quanto segue.

1) L'interpretazione della legge, ineliminabile in qualsiasi ordinamento, ha sempre una connotazione politica. "Interpretando" la legge si influisce sull'indirizzo politico del paese.

2) Anche quando, come nel nostro paese, formalmente l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio, in realtà chi esercita l'azione penale svolge sempre, necessariamente, un ruolo di scelta.

Materialmente non tutti i reati possono essere perseguiti. Inoltre non tutti i reati possono essere perseguiti con la stessa intensità. La scelta operata, anche solo di fatto, nell'esercizio dell'azione penale si risolve dunque nell'adesione ad una "politica criminale" in luogo di un'altra. Ha quindi certamente una connotazione politica. E' perfino possibile che esercitando l'azione penale un magistrato riesca deliberatamente ed indebitamente a danneggiare uomini e partiti politici.
La previsione di un potere giudiziario tendenzialmente separato da legislativo ed esecutivo, dotato di una rilevante possibilità di influenzare l'indirizzo politico, senza dover rispondere direttamente od indirettamente ai cittadini, rappresenta un pericolo per la democrazia libera. Infatti gruppi o movimenti politici, al di fuori di ogni vero controllo democratico, possono utilizzarlo per sovvertire nella prassi quotidiana le istituzioni democratiche. Un potere politico senza responsabilità politica non deve trovare posto in un ordinamento libero e democratico.

Si rifletta sul nostro ordinamento, dove in teoria le sentenze della Cassazione esplicano la loro forza vincolante solo nel caso giudicato. Tale Corte svolge un ruolo di difesa generale della corretta ed uniforme interpretazione della legge direttamente od indirettamente riconosciuto dall'ordinamento. Ma anche le sentenze dei giudici inferiori, sia pure con minore autorevolezza, "fanno giurisprudenza". Dunque non sono prive, di fatto, di effetti che vanno al di là del caso esaminato. Per non parlare dell'attività della Corte Costituzionale. Qui il problema del senso concreto della separazione dei poteri diventa evidentissimo.


sabato 4 aprile 2009

Enrico Caviglia. L'Italia che non è stata.





A più di mezzo secolo dalla precedente edizione vengono ripresentati in libreria, in veste economica, i diari 1925-1945 di Enrico Caviglia, tra i più influenti generali italiani durante la Prima guerra mondiale, poi maresciallo d'Italia. Che senso ha ricordare oggi questa grande figura, purtroppo pressoché dimenticata? Caviglia rappresenta l'Italia che sarebbe potuta essere e non fu, non è.
Fedele servitore delle istituzioni costituzionali, tecnico capace, uomo colto e coraggioso, disprezzava la retorica e quell'atteggiamento superficialmente arrogante e presuntuoso, spesso erroneamente confuso con il vero coraggio, che egli chiamava "spavalderia". 
Dopo l'avvento della dittatura fascista fu privato della possibilità di influire sugli eventi e gli furono negati incarichi non di semplice rappresentanza. In due momenti cruciali della storia italiana, quando il movimento fascista tentava di prendere il potere e alla caduta di Mussolini nel luglio 1943, ricorrere alle sue doti di coraggio, intelligenza e fedeltà alle istituzioni rappresentò per il Re e per l'Italia la scelta migliore. Ma, com'è noto, la storia prese un'altra direzione.
Riporto di seguito questa sua acuta riflessione, tratta dai diari citati, più che mai attuale in questo momento di crisi in cui molti, presi totalmente dal presente, perdono di vista il futuro dei nostri giovani e del paese intero.

"L'uomo politico deve tenere conto delle grandi correnti di interessi e di sentimenti e saper distinguere le correnti transitorie da quelle che additano ai popoli la via da seguire a scadenza di generazioni.
Deve conoscere la situazione morale, politica ed economica generale per valutare con tranquilla coscienza gli elementi e i fattori che interessano il suo popolo.
Se sarà invece assorbito completamente dalla situazione interna del proprio Paese e da interessi immediati che premono ad ogni piè sospinto, egli non guiderà il suo popolo, ma andrà con quello alla deriva"
. (pag.39)

E' del curatore del suo Diario, Pier Paolo Cervone, questa biografia del maresciallo d'Italia Enrico Caviglia

Qui Vittorio Veneto di Enrico Caviglia


Enrico CAVIGLIA, I dittatori, le guerre e il piccolo re

Diario 1925-1945
A cura di Pier Paolo Cervone

Da leggere con attenzione, infine, la lucida sintetica biografia di Giorgio Rochat.


Rochat mette in evidenza la modesta capacità mostrata da Caviglia di leggere con precisione le situazioni politiche che si trovò a fronteggiare. Vanno riconosciute importanti attenuanti. Spesso Caviglia era privo delle necessarie informazioni, lontano fisicamente e relazionalmente dai luoghi delle decisioni. Emerge comunque una insufficiente attitudine a cogliere gli elementi determinanti, gli sviluppi repentini, le possibilità celate negli interstizi della storia. Altre grandi figure della storia italiana contemporanea, don Sturzo, Luigi Einaudi, Giovanni Amendola, come lui non sempre riuscirono a capire e ad agire nel modo opportuno, impacciati, viene da dire, dalla loro moralità e dai loro stessi elevati ideali.

domenica 29 marzo 2009

Rotta verso il nulla. La cultura dell'esclusione.




Le società occidentali contemporanee sono ferite dall'esclusione dai benefici della modernizzazione che, al di là delle difficoltà del momento, sembrano notevoli. Molto si è detto sui tratti oggettivi, quantitativi e non, di tale esclusione. Ma non si indaga abbastanza su una sorta di variegata "cultura dell'esclusione", di essa insieme concausa, elemento distintivo ed ostacolo importante al superamento. Tale cultura caratterizza una parte soltanto, ma significativa, degli individui emarginati ed esclusi, soprattutto giovani o giovanissimi.
Si tratta di una visione della vita e delle cose che arriva talvolta a considerare l'emarginazione e l'esclusione come situazioni positive, che danno e non tolgono. L'approccio ai problemi che la connota è distruttivo. L'attrazione per il nulla inarrestabile. Il peso ed il fascino del "qui ed ora" totale.
Occorre che le istituzioni pongano in essere efficaci politiche inclusive. Ma senza incidere su questa cultura segnata dalla tendenza alla distruzione ed all'autodistruzione l'azione pubblica rischia di risultare poco efficace.

venerdì 20 marzo 2009

La politica estera di Obama. Alla prova dei fatti.

Obama è ormai saldamente al timone degli Stati Uniti. In politica estera deve confrontarsi con i loro tradizionali obiettivi: la difesa dei diritti dell' uomo, in particolare della libertà politica e religiosa; la diffusione delle istituzioni liberaldemocratiche e dei principi dello stato di diritto; la lotta contro la proliferazione nucleare, diretta soprattutto ad evitare che regimi autoritari ed irresponsabili ottengano armi atomiche; la garanzia della sopravvivenza e dell' integrità di Israele.
Il nuovo presidente mostrerà la sua grandezza se riuscirà a perseguire efficacemente questi obiettivi riducendo il ricorso ai metodi cruenti che tanto hanno pesato nella valutazione dell' opera del suo predecessore. Se invece la sua suadente retorica coprirà l' abbandono di fatto dei grandi obiettivi che hanno segnato tradizionamente la politica estera americana, passerà alla storia come il liquidatore fallimentare non solo della potenza statunitense, ma anche e soprattutto di quel patrimonio ideale che nelle sue stesse parole rappresenta la sua costante fonte d' ispirazione. E' il momento dei fatti, presidente.

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