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sabato 7 gennaio 2012

Comunisti a Washington. Quando Stalin sbirciava nello studio di Roosevelt.


Il film di Clint Eastwood J. Edgar presenta la controversa figura di J. E. Hoover, il vero creatore dell'FBI, toccando anche la questione delle indagini sui "sovversivi", sui "rossi", sui "comunisti", tanto spesso bersaglio delle sue invettive. Fissazione paranoica o pericolo reale per la sicurezza degli Stati Uniti?



Dagli anni Venti Willi Munzenberg, con i suoi collaboratori e le sue organizzazioni, per conto dei sovietici attuò negli USA una efficace propaganda a favore del comunismo e del nuovo stato nato dalla Rivoluzione d'Ottobre. Nei lunghi anni delle presidenze Roosevelt (1933-45) prevalentemente per motivi ideologici alcuni cittadini americani collaborarono con i servizi sovietici.
Il professor Christopher Andrew, ex preside della facoltà di storia presso l'Università di Cambridge, è da molti considerato il massimo studioso del ruolo dei servizi segreti nel Novecento. In L'Archivio Mitrokhin (1999, pp. 152 e 153), scritto con l'ex agente del KGB Vasilij Mitrokhin, ha sottolineato il successo dell'intelligence sovietica con queste parole:

"La maggior parte degli altri agenti di prima della guerra, in ogni caso, fu con successo rimessa in attività; tra questi Lawrence Duggan (FRANK) e Harry Dexter White (JURIST). Henry Wallace, vicepresidente durante il terzo mandato di Roosevelt (dal 1941 al 1945), affermò in seguito che, se Roosevelt fosse morto in quel periodo ed egli fosse diventato presidente, sarebbe stata sua intenzione nominare Duggan suo segretario di Stato e White suo segretario del Tesoro. Il fatto che Roosevelt sopravvisse tre mesi in un quarto mandato senza precedenti alla Casa Bianca, e che sostituì Wallace con Harry Truman come vicepresidente nel 1945, privò il sistema informativo sovietico di quello che sarebbe stato il suo successo più spettacolare: l'infiltrazione in un grande governo occidentale. L'NKVD riuscì in ogni caso a infiltrarsi in tutte le sezioni importanti dell'amministrazione Roosevelt".

"Vi era un abisso enorme tra le informazioni sugli Stati Uniti fornite a Stalin e quelle a disposizione di Roosevelt sull'Unione Sovietica. Laddove il Centro si era infiltrato in ogni ramo importante dell'amministrazione di Roosevelt, l'OSS, così come il SIS, non aveva un solo agente a Mosca. Alla conferenza di Teheran dei Tre Grandi, nel novembre del 1943, la prima volta che Stalin e Roosevelt si incontrarono, una informazione di gran lunga superiore diede a Stalin un considerevole vantaggio nella negoziazione".

Dunque quelle di Hoover non erano certo fisime. Soltanto per poco gli agenti americani di Stalin non arrivarono a ricoprire gli incarichi chiave di ministri degli Esteri e del Tesoro degli Stati Uniti. Sono vicende note da tempo, ma non in Italia. E non dobbiamo stupirci. Quanti sanno che soltanto pochi anni fa il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer accettava i finanziamenti ed eseguiva le direttive dell'Unione Sovietica?






domenica 1 gennaio 2012

Newton filosofo naturale. L'archivio Portsmouth.

 


Isaac Newton nacque in Inghilterra il 4 gennaio del 1643, secondo il calendario gregoriano. Morì a Londra nel 1727. Figlio di piccoli proprietari terrieri, fu prima studente poi professore al Trinity College di Cambridge. Durante la sua lunga vita conseguì fama intellettuale e successo pubblico. Membro e quindi presidente della Royal Society, divenne direttore della Zecca e cavaliere.
Celebrato per la sua teoria della gravitazione universale e per il suo contributo allo sviluppo del calcolo infinitesimale, ha rappresentato l'immagine positivista dello scienziato. Ma nel Novecento l'esame approfondito dei suoi manoscritti ha consentito di rivedere la sua figura, ora presentata coi tratti di un filosofo naturale del suo tempo. Su Newton la video lezione del professor Paolo RossiDa segnalare anche questa recentissima biografia  scientifica: Niccolò GUICCIARDINI, Newton, 2011.
La nuova filosofia naturale del Seicento si confrontò criticamente con la tradizione aristotelica. Si trattò di un approccio globale, riguardando "la visione del mondo, dell'uomo, della conoscenza, e infine di Dio stesso e delle sue relazioni con la Natura" (op. cit. pag. 33). Newton si occupò a lungo non solo di fisica e matematica ma anche di alchimia, teologia, cronologia. Convinzioni non conformiste e antitrinitarie, eretiche anche rispetto all'anglicanesimo, caratterizzarono la sua religiosità, tanto da costringerlo ad una grande riservatezza.
Incline all'esoterismo, lo sfondo concettuale connesso ai suoi interessi alchemici e teologici influenzò la concezione delle teorie fisiche. "Tutte le ricerche newtoniane, anche quelle di ottica, di fisica e di astronomia, sono in una certa misura intrecciate ... alle sue convinzioni religiose e alla sua teologia eretica" (op. cit. pag. 119).
Ben più vicina alla visione oggi prevalente appare la posizione del cattolico Galilei, espressa nella Lettera a padre Benedetto Castelli, che ha ottenuto un ampio consenso anche in ambito teologico:
"... Io crederei che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti".
Infine qualche cenno del cosiddetto archivio Portsmouth, il "baule di Newton". Nella seconda metà del Settecento la maggior parte dei manoscritti di Newton era ancora in possesso del Duca di Portsmouth, discendente di sua nipote. Le vicende di questo archivio sono strettamente connesse agli sviluppi della storiografia newtoniana.
Esso rivela un Newton lontano dal mito positivista ed illuminista. Tale distanza determinò la sua divisione e ritardi nella pubblicazione delle sue parti più significative. Gli scritti di immediata rilevanza scientifica passarono alla University Library di Cambridge già alla fine dell' Ottocento, mentre quelli alchemici, teologici e storici furono venduti all'asta negli anni Trenta del Novecento.
La dispersione della collezione di manoscritti li rese disponibili agli studiosi. Tramite i due principali acquirenti, il semitista Abraham Yahuda e l'economista John Maynard Keynes, importanti documenti sono pervenuti, rispettivamente, alla biblioteca dell'Università Ebraica di Gerusalemme e al King's College di Cambridge.
Il ritardo nella pubblicazione del contenuto più scottante del "baule di Newton" deve indurre ad attenta riflessione. Quanto spesso le battaglie politico-culturali indeboliscono l'interesse per la verità e la sua ricerca?



venerdì 23 dicembre 2011

Tocqueville. Per una libera repubblica.





Tocqueville
, giovane magistrato, ottenne un congedo non retribuito per condurre una ricerca sul sistema carcerario negli Stati Uniti. Nel 1831 si imbarcò con l'amico e collega Beaumont e ritornò in patria l'anno successivo.
In America studiò a fondo la nuova società democratica, le sue istituzioni, la sua cultura, i costumi e le tradizioni che la resero possibile. Registrò dati, impressioni, riflessioni e interviste in alcuni quaderni, poi raccolti nel Viaggio negli Stati UnitiLa Democrazia in America, l'opera più nota del grande intellettuale francese, nasce in larga misura da questa prolungata indagine sul campo, fissata in quegli appunti di grandi valore storico e forza narrativa. Le seguenti considerazioni, tratte dal Quaderno E ( pag. 262 - 1990), illuminano il tema dell'affermazione della libertà repubblicana americana:

"Vi è un' importante ragione che supera ogni altra e che, dopo che tutte sono state soppesate, da sola fa pendere la bilancia: il popolo americano, considerato nel suo complesso, è non soltanto il più illuminato del mondo, ma, cosa che considero molto superiore a tale vantaggio, è il popolo che possiede l'educazione politica-pratica più evoluta".

Per Tocqueville dunque ideali e cultura diffusi non bastano a spiegare il durevole successo della libertà repubblicana. Il cittadino elettore è chiamato a compiere la sua manutenzione, che solo un adeguato addestramento e una sufficiente conoscenza pratica delle sue esigenze e dei suoi meccanismi consentono.
Nelle giurie, nei comitati, nelle associazioni, nelle assemblee municipali ed ancor prima nelle famiglie e nelle comunità religiose i cittadini degli Stati Uniti sperimentavano i problemi concreti della convivenza in una società libera, la loro complessità, le difficoltà, le ineliminabili conseguenze impreviste di ogni condotta. Acquistavano consapevolezza del necessario legame tra responsabilità individuale, autocontrollo e libertà sostenibile.
Gli intellettuali più avveduti sottolineano l'inefficienza delle democrazie dei nostri giorni, l'insostenibilità di apparati costosi e incapaci di risolvere i problemi che ci assillano. Ma nelle grandi democrazie rappresentative i governanti cercano di adeguarsi all'orientamento presunto degli elettori che li giudicheranno. Cittadini attenti soltanto ai propri interessi a breve termine e/o prigionieri dell'utopia hanno così governi inadeguati.
Il dibattito pubblico ritorni sulla questione dell'educazione dei giovani, che devono essere preparati con grande realismo non solo a corrispondere alle esigenze del mercato del lavoro ma anche a fronteggiare i problemi di efficienza che ormai provocano il discredito delle istituzioni democratiche. Il pensiero di Tocqueville appare ancora una volta prezioso.



mercoledì 14 dicembre 2011

Annuario SIPRI 2011. I numeri della guerra e della pace.

E' disponibile in pdf una sintesi del SIPRI Yearbook 2011. L'edizione italiana è a cura di Stefano Ruzza. Lo Stockholm International Peace Research Institute, fondato nel 1966, è "un istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche nel settore dei conflitti, degli armamenti, del loro controllo e del disarmo".
Dal documento emerge un quadro in preoccupante evoluzione. In evidenza " tre questioni che hanno segnato la sfera della sicurezza negli ultimi anni: l’intensificarsi dell’influenza di fattori non-statali; l’emergere di potenze globali e regionali; una crescente inefficienza, incertezza e debolezza delle istituzioni".
"La sicurezza del mondo sta diventando più dinamica, complessa e transnazionale per effetto del crescente flusso di informazioni, individui, capitali e beni". Sempre maggiore è l'importanza regionale e globale degli attori non-stato e quasi-stato, mentre l'ampiezza del ruolo delle nuove potenze pone il problema di una loro equilibrata integrazione in istituzioni internazionali come il Consiglio di sicurezza dell'ONU e il G20.
E' significativo che nel decennio 2001-10, 2007 escluso, ogni anno i conflitti per il governo siano stati più numerosi di quelli per il territorio. In tale decennio solo 2 conflitti su 29 sono stati interstatali.
Vengono sottolineati la fragilità del consenso su principi, scopi e metodi delle missioni di pace, la loro sovraestensione e l'indebolimento del sostegno politico.
La crisi economica non ha impedito l'aumento delle spese militari, tranne in Europa. Nel 2010 gli USA hanno raggiunto il 43% del totale. Protagoniste le nuove potenze Cina, India e Brasile con Russia, Sud Africa e Turchia, anche se mai l'incremento è stato maggiore di quello del PIL.
Da segnalare la spesa militare italiana stimata dal SIPRI: 37 miliardi di dollari, di poco inferiore ai 45,2 della Germania. Una somma ragguardevole, ma la cui effettiva portata può essere compresa soltanto precisando la parte destinata al personale. Del resto quando gli investimenti cadono al di sotto di un livello minimo lo strumento militare diventa inservibile ed il denaro speso è sperperato.
Dal 2006 al 2010 i trasferimenti internazionali degli armamenti convenzionali maggiori sono cresciuti del 24% rispetto al periodo 2001 - 2005. Stati Uniti e Russia sono i maggiori esportatori. India in testa tra gli importatori, seguita dalla Cina.
Infine le armi nucleari: più di 20.500, di cui più di 5.000 dispiegate e pronte all'uso. Certamente in possesso di tali armi otto paesi: USA, Russia, Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan e Israele.




martedì 6 dicembre 2011

Italia. La democrazia inefficiente.

In una recente conferenza stampa il Presidente del Consiglio Mario Monti ha detto (2:00) che:

"Quando si parla di costi della politica si pensa al costo che i cittadini sopportano per gli apparati amministrativi... Ma non si pensa al vero costo della politica, come purtroppo è stata fatta per decenni in Italia: che chi governa prenda decisioni miranti più all'orizzonte breve delle prossime elezioni che all'orizzonte lungo dell'interesse del paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti".

E, ancora, uno dei più lucidi intellettuali italiani, il professor Luca Ricolfi, nel suo La Repubblica delle tasse, con riferimento al referendum su acqua, servizi pubblici locali, nucleare e legittimo impedimento, ha scritto:

"Anzichè cercare di guidare l'opinione pubblica, facendola ragionare, i politici hanno definitivamente deciso di seguirla acriticamente, come un pastore che rincorre il suo gregge di pecore" (pag. 180).
"Ma in fondo non dobbiamo lamentarci troppo. Se i politici seguono il gregge, è perchè il gregge è gregge. Finchè ci lasceremo suggestionare dagli slogan, finchè saremo accecati dalle nostre simpatie e antipatie, la politica non smetterà di usarci" (pag. 182).

Sia pure con qualche tortuosità logica - i politici seguono il gregge e nel contempo lo usano (Ricolfi) - entrambi i due protagonisti del dibattito pubblico mettono il dito su una piaga. La ricerca del consenso elettorale può rendere inefficiente la democrazia.
Ma occorre essere chiari. Già Pericle, nell'Atene democratica del V secolo a. c., affermò che: "Benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla". E' la democrazia rappresentativa: non tutti possono governare ma tutti possono giudicare (e quindi mandare a casa) chi ha governato. Comprensibilmente i politici si adeguano cercando di individuare l'orientamento degli elettori e di ottenere il loro consenso.
Allora che fare? Come attenuare gli effetti perversi della democrazia? L'educazione, in particolare dei giovani, appare la via maestra per una democrazia libera ed efficiente. L'idea che si possa separare l'informazione dall'educazione e che si debba evitare di adottare un preciso indirizzo educativo non appartiene realmente al pensiero liberale. Come ha sottolineato uno dei filosofi liberali più influenti del Novecento in una nota intervista televisiva (5:40) "il liberalismo classico ha sempre accordato una grande importanza all'educazione e un'importanza ancor più grande alla responsabilità".
Tutte le "agenzie" in senso lato educative, a partire dalla scuola, dovrebbero convergere sull'obiettivo di formare un cittadino idoneo alle sue funzioni pubbliche, informato dei lineamenti dello stato democratico contemporaneo e dei suoi problemi. La larga diffusione di una cultura democratica e liberale deve essere sempre accompagnata da una semplice ma efficace informazione sui presupposti e le condizioni di una democrazia sostenibile, nell'ambito di una educazione alla responsabilità, all'autocontrollo, all'accettazione della complessità.
E' illusorio perseguire il fine di una genuina cultura liberale di massa, soprattutto in una paese come il nostro, dove l'influenza del marxismo e di una interpretazione illiberale della tradizione cattolica è stata profonda? Forse. Ma deve guidarci la consapevolezza che una società non lontana da questo modello ideale è storicamente esistita. Karl Popper nella sua autobiografia intellettuale, La ricerca non ha fine, ha confessato:
"L'America mi piacque fin dal primo istante, forse perchè prima avevo qualche pregiudizio nei suoi confronti. Nel 1950 c'era un senso di libertà, di indipendenza personale, che non esisteva in Europa e che, pensavo, era ancor più forte che in Nuova Zelanda, il paese più libero che io conoscessi" (1978, pag. 132).
Si trattava di una libertà responsabile, fondata sulla tradizione e sull'autocontrollo. Una lezione da non dimenticare.



mercoledì 30 novembre 2011

I soldati USA lasciano l'Iraq.

Analisi Difesa è una rivista on-line che si occupa di difesa, sicurezza, forze armate. E' diretta da Gianandrea Gaiani. Nel numero di novembre un ampio rapporto sul ritiro delle truppe USA dall'Iraq, che dovrebbe essere completato entro il 2011.
Gli ultimi 39.000 mila militari americani lasceranno ai civili del Dipartimento di Stato la responsabilità dei programmi di sicurezza e addestramento intrapresi dagli Stati Uniti.
Alla tutela del personale e delle strutture dovranno provvedere almeno 5.000 contractors, civili addetti alla sicurezza.
Pur essendo il ritiro previsto da un accordo tra i due paesi stipulato nel 2008, il governo iracheno ha chiesto che 5.000 soldati restino in Iraq con compiti ufficialmente di addestramento. Ma non ha garantito alle truppe USA l'immunità per errori e reati compiuti nell'esercizio delle loro funzioni, considerata irrinunciabile dal governo americano.
L'amministrazione USA sta fornendo all'Iraq armi per la difesa da attacchi esterni, tra le quali blindati, carri armati Abrams e cacciabombardieri F-16. Però le forze irachene resteranno a lungo inidonee. Per tentare di porre rimedio a tale debolezza gli Stati Uniti schiereranno nuove forze in Kuwait e probabilmente accresceranno la presenza navale nel Golfo Persico.
I soldati americani lasciano l'Iraq. Tra un po' forse lasceranno anche l'Afghanistan. Ma i problemi in ambito internazionale che Obama ha trovato sono irrisolti e spesso aggravati. Gli Stati Uniti non hanno più le risorse materiali e morali sufficienti per esercitare globalmente un'influenza determinante. L'attuale amministrazione, svanite le illusioni e le suggestioni utilissime in campagna elettorale, naviga a vista non trovando partners adeguati neppure nei tradizionali alleati europei.
Il movimento Occupy Wall Street toglie spazio nei media al Tea Party, mentre Obama addebita agli europei i guai economici dell'Occidente. Sono preoccupanti sintomi del declino della grande e libera democrazia americana, che può uscire davvero dalla crisi soltanto affrontando efficacemente i problemi di competitività e ridando ampia vigenza ai valori tradizionali.








martedì 22 novembre 2011

Russia e Cina. Una relazione complicata.

Dai ricercatori del SIPRI un ampio e puntuale rapporto sullo stato delle relazioni tra Russia e Cina. Dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica i governi dei due grandi paesi hanno presto avviato una collaborazione fondata su alcuni interessi condivisi.
Sicurezza dei confini comuni, più efficace contrasto del fondamentalismo islamico, del terrorismo e della proliferazione di armi non convenzionali, affermazione del principio di non ingerenza nelle questioni interne degli altri stati, costruzione di un assetto internazionale multipolare hanno costituito gli obiettivi della cooperazione strategica intrapresa già nel 1996 da Jiang Zemin e Boris Yeltsin, anche se preponderante è subito apparsa la collaborazione in ambito militare.
Negli anni successivi la Cina è diventata la seconda economia mondiale e il primo o secondo importatore di petrolio, mentre occupa il secondo posto nel mondo anche per la spesa militare.
Dagli anni Novanta ad oggi la cooperazione in ambito politico militare e addestrativo è stata continua e fruttuosa. Si stima inoltre che nel periodo 1991 - 2010 più del 90% delle principali armi convenzionali importate in Cina sia stato fornito dalla Russia. Ma dopo il 2005 gli ordini da parte del governo cinese sono crollati. La Cina resta assai interessata alle tecnologie militari russe, ma con lo scopo prevalente di sviluppare la sua industria degli armamenti e di incrementare le proprie già imponenti esportazioni di armi. Le tecnologie militari e l'esportazione di armi sono oggi tra i più importanti punti di frizione nei rapporti fra i due paesi.
La Cina è il secondo - per alcuni il primo - importatore di petrolio. Mentre la Russia ne è forse il maggior produttore, raggiungendo il secondo posto per produzione di gas naturale. Ma le divergenze sui prezzi e la volontà di ridurre la dipendenza energetica hanno limitato le importazioni cinesi, negli ultimi anni mai superiori al 10% del totale.
Continua una pragmatica collaborazione suggerita dalla convenienza, ma sembrano mancare una comune visione del mondo e interessi strategici fondamentali condivisi. La Russia si considera un paese europeo ed i suoi gruppi dirigenti nutrono una profonda diffidenza per la Cina, vista come principale minaccia strategica. Entrambe le potenze sono interessate a sviluppare soprattutto le relazioni con gli Stati Uniti. La Russia per i cinesi diventa sempre meno importante.





sabato 12 novembre 2011

Poteri forti o Occidente debole?

Ormai da alcuni anni le due sponde dell'Atlantico sono unite da una comune grave crisi economica, che in questo momento colpisce in particolare le finanze pubbliche. Le lobbies finanziarie-bancarie spingono i governi ad intervenire, mentre i loro esponenti riescono spesso a ottenere cospicui guadagni. La gente vede tutto questo e addebita le difficoltà e i danni subiti proprio a tali lobbies, a operatori economici senza scrupoli, pretendendo dai governi misure drastiche contro gli speculatori.
Finanzieri e banchieri cercano di massimizzare i profitti, mentre le loro lobbies esercitano una incisiva influenza. Ma in realtà si tratta di condotte abituali nelle economie occidentali, anche in periodi di crescita e diffuso benessere. L'attenzione dovrebbe invece soprattutto fermarsi su alcuni dati capaci di indirizzare la ricerca in altre direzioni.
La Cina ha una pressione fiscale oltre venti punti più bassa di quella italiana, tedesca e francese (meno del 20% contro oltre il 40% del PIL). Ha un debito pubblico quasi certamente inferiore al 20% del PIL, mentre sono intorno al 90% Francia e Germania, a loro volta virtuose rispetto a Italia e Giappone, che presentano un debito pubblico ben maggiore del 100% del PIL.
Bassa pressione fiscale e debito pubblico contenuto sono ottenuti grazie ad un welfare cortissimo, che "copre" poco, costa poco, utilizza strumenti semiprivati, costringe individui e famiglie a risparmiare, studiare e lavorare duramente. Anche a ciò è connessa l'alta capacità di esportare. Tutto questo consente di accumulare ingenti riserve valutarie.
E' poi indispensabile confrontare mentalità, tradizioni, visione del mondo e della vita. Pur con qualche adattamento, sono largamente applicabili considerazioni svolte dal professor Luca Ricolfi a proposito degli immigrati in Italia (La Repubblica delle tasse, 2011, pagg. 45 e 46):

"E infatti i nuovi posti sono spesso di livello modesto, e finiscono per essere accettati soltanto dagli stranieri".
"La differenza è che "loro" vivono in un altro tempo, che noi abbiamo dimenticato. Un tempo in cui la cosa fondamentale era avere un lavoro, non importa quanto adeguato all'immagine che abbiamo di noi stessi, un tempo in cui fare sacrifici era normale, un tempo in cui il benessere non era considerato un diritto".


A tali fattori si devono aggiungere processi decisionali pubblici più rapidi, burocrazia in via di razionalizzazione, stipendi tuttora più bassi.
Considerazioni analoghe valgono per altri paesi asiatici e, in parte, per Russia e Brasile.
La finanza internazionale guarda l'Occidente in crisi e valuta realisticamente prospettive di crescita, sostenibilità del debito pubblico, struttura dello stato sociale, possibilità di sviluppo dei consumi interni, in una economia globalizzata, vendendo, acquistando, speculando di conseguenza.
Dunque cinici poteri forti o piuttosto Occidente debole, in declino? I nostri politici ed economisti non nascondano ai loro concittadini l'inevitabile risposta.


giovedì 10 novembre 2011

La Repubblica delle tasse.

E' in libreria dal mese scorso La Repubblica delle tasse, di Luca Ricolfi. Il professor Ricolfi è docente di analisi dei dati presso l'Università di Torino. Il libro costituisce una rielaborazione dei suoi ultimi scritti pubblicati sulla "Stampa" e su "Panorama".
I principali temi che infiammano il dibattito pubblico - sistema fiscale, fattori politici del declino italiano, federalismo, questioni meridionale e settentrionale, effetti della globalizzazione, prospettive del paese - sono discussi con ricchezza di argomenti. Particolare attenzione è prestata al problema della insufficiente crescita economica.
Ricolfi chiude il suo lavoro con queste parole:

"D'altronde la spudoratezza con cui le forze politiche eludono il problema della crescita ha la sua base nell'immaturità dei cittadini-contribuenti. L'unico tema che sembra davvero appassionare i cittadini è chi dovrà pagare di più: il Nord o il Sud, i pensionati o i lavoratori, i dipendenti o gli autonomi, i ricchi o i poveri, gli evasori o gli onesti. Mentre il punto centrale per il futuro di tutti noi è un altro: non tanto se le misure saranno giuste, ma se saranno efficaci. Ed è su questo, solo su questo, che - temo - ci giudicheranno i mercati".
Un taglio insolitamente franco in un paese come il nostro, dove gli intellettuali sono spesso al prevalente servizio di corporazioni e gruppi politici, da cui dipende la propria personale affermazione.
La Repubblica delle tasse è un' agile opera indispensabile per comprendere l'Italia contemporanea. Rappresenta una lettura utilissima anche per i nostri giovani, che possono trovare in essa un modello di approccio critico e di ricerca della verità.


Luca Ricolfi è direttore della rivista Polena, dove è possibile leggere numerosi suoi interessanti scritti.




giovedì 3 novembre 2011

Che fare?

Piero Ostellino in un coraggioso editoriale sul Corriere della Sera di oggi (pdf) denuncia l'immobilismo e le piccole furbizie della classe dirigente italiana:

"Le divisioni, sia nella maggioranza, sia fra le opposizioni, riflettono il rifiuto di ogni cambiamento, che le tocchi da vicino, delle corporazioni, socialmente, economicamente ed elettoralmente più forti. Sono riformiste solo quando si tratta di dissodare il terreno altrui. La politica ha abdicato alla propria funzione di indirizzo, e di guida, per assolvere il compito di remunerare, di volta in volta, questa o quella corporazione, sulla base di una cultura politica vecchia e disastrosa e in funzione del proprio consenso elettorale. Non è l'italiano qualunque ad avere scarsa credibilità all'estero; è l'establishment. A doversi chiedere se non abbia fatto il suo tempo — qualora non trovi un minimo di coesione su un «che fare» frutto di una più matura idea dell'Italia — è la classe dirigente".
La crescita economica in Europa e USA, secondo l'OCSE, resterà minima nel 2012. Il PIL dell' area euro aumenterà soltanto del 0,3 %.
Ciò è in larga misura inevitabile perchè è inevitabile ridurre tempestivamente il consumo a debito. Ma restano tutti i temi scottanti che la competizione internazionale ci costringe ad affrontare. Estensione ed obiettivi dello stato sociale, pensioni, lavoro, strumenti per limitare e ripianare il debito pubblico, concorrenza e libertà economica, efficienza della pubblica amministrazione, sistema fiscale, prerogative della magistratura ed amministrazione della giustizia, assetto delle istituzioni di rilievo costituzionale.
Un paese dove si raggiungono meschini accordi di facciata solo al prezzo della rinuncia a discutere sinceramente e costruttivamente del " che fare" merita il declino. Le crisi sono una straordinaria occasione per capire e cambiare. Ma occorrono adeguate risorse morali ed intellettuali. Il conflitto politico ideologico del secolo scorso e l'indebolimento di preziose tradizioni hanno determinato una drammatica perdita di tali risorse. Forse non siamo più pronti a infliggere sofferenze in nome dell'utopia e dell'ideologia ma non siamo nemmeno più capaci di costruire con lungimiranza.





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