Translate

venerdì 30 gennaio 2015

QE europeo tra speranze e realtà.




Grandi applausi per le recenti misure della Banca centrale europea che danno corpo a un programma di acquisto di titoli diretto a incrementare la liquidità. Un consenso pressoché generale al quale deve seguire un esame attento e critico. Non mancano analisi fuori del coro:


Michele Boldrin su noiseFromAmeriKa.org del 26 gennaio 2015:

"... chi spera che il QE riporterà l'Europa sul sentiero della crescita economica duratura si illude. Rebus sic stantibus non mi aspetto neanche la breve fiammata che la "Abenomics" generò a suo tempo in Giappone. È una mossa politica, utile a gestire il trio Iglesias-Renzi-Tsipras durante il 2015-2016, oltre che a tentare, una volta ancora, di forzare le oramai inqualificabili elite politiche di buona parte dell'area Euro ad ammettere le loro responsabilità in questa stagnazione infinita. La cagnara mediatica della scorsa settimana ha, anch'essa, puri fini politici: creare le condizioni perché i paesi europei ricomincino a indebitarsi a go-go e si scordino persino di parlare di riforme. E questo temo sia il rischio peggiore".

"... tutta l'esperienza a disposizione (oltre che la teoria economica) insegnano che puoi ridurre fin che vuoi i tassi sul debito pubblico: se le prospettive di rendimento sugli investimenti privati sono deboli, ed il rischio di credito bancario permane, per quanta liquidità la BCE metta loro in cassaforte comprandone i titoli in portafoglio, banche scarsamente capitalizzate non correranno di certo a prestare ad aziende con povere prospettive di profitti. In altre parole: ciò che conta sono i rendimenti attesi sugli investimenti privati e questi migliorano se e solo se cambia la produttività, l'innovazione e l'efficienza dell'economia reale oltre che, ovviamente, la capitalizzazione del sistema bancario. Nessuno di questi fattori potrà essere influenzato in modo significativo dal QE della BCE. Dopodiché ognuno può farsi tutte le fantasie che vuole sull'elasticità della domanda/offerta di credito privato ai tassi d'interesse, ma fantasie sono e fantasie rimangono".

"...se qualcuno mi chiedesse quale possa essere l'effetto più evidente del QE della BCE scommetterei su una crescita dei corsi azionari e delle obbligazioni europee oltre che, con i caveat enunciati sopra, una ripresa della spesa pubblica a debito nei paesi mediterranei, Italia in testa. Che questi due probabili effetti siano ciò di cui abbiamo bisogno per mettere fine all'eterna recessione europea mi permetto, oggi come dieci o venti anni fa, di dubitarlo".


Christopher Whalen su The National Interest del 25 gennaio 2015:

"But the only problem is that all of these QE programs by the Fed and ECB, and also the Bank of Japan, do not really address the core problems facing the industrial nations—too little growth measured in jobs and consumer income, and too much debt".

"Ultimately, the ECB bond purchase program is a desperate effort to stave off the day of economic reckoning in Europe via inflation and currency devaluation".

"...Washington, like the EU, prints money and accumulates ever more debt, effecting a vast transfer of wealth from savers to debtors".


 Su The National Interest del 27 gennaio 2015 Jay Zawatsky:

"It is not a surfeit of credit (i.e., bank liquidity sourced from central banks) that causes good loans to be made by commercial banks. Good loans, by definition, can be made only when borrowers are able to use credit to build or purchase assets that enhance profitability, creating free cash flow with which the loans can be serviced and ultimately repaid. But a surfeit of credit, particularly credit in the hundreds of billions, shot out of central bank QE fire hoses, facilitates bad loans—and lots of them. These bad loans, or what F.A. Hayek would call “malinvestments,” ultimately result in credit bubbles that burst and wreck the economy". 

"consumers and nonfinancial private-sector firms do not borrow simply because rates are low. In order to borrow, rational real businesses and rational real consumers must believe that they will be able to repay any credit they assume. In the case of businesses, they have to see the market for their goods or services as stable and likely to increase in the short to medium term. As for consumers, they have to believe that they have job security and the possibility of wage increases in the short to medium term".

"...as national debts all over the “developed world” continue to increase, and as domestic economies fail to grow, and as the value (i.e., the purchasing power and investment power) of savings continues to decline, the public finally understands that QE serves only to enhance the divide between the uber-rich and the struggling middle class and those struggling to reach the middle class".

Gli osservatori più avveduti rilevano la bolla di speranze e illusioni che sta crescendo a dismisura. Difficilmente la propaganda dei grandi debitori e speculatori riuscirà ad evitarne lo scoppio. Perchè il QE non incide apprezzabilmente sui reali fattori di crescita: investimenti privati, conoscenze tecnico-scientifiche e matematiche (capitale  umano), pressione fiscale, istituzioni economiche e stimoli all'impegno individuale.
Per essere buoni consumatori bisogna essere buoni produttori. La bacchetta magica di Draghi non basterà a fermare il declino della struttura produttiva.

venerdì 23 gennaio 2015

Classe media USA. La cura di Obama non migliorerà le sue prospettive.




    Nel suo recente discorso sullo stato dell'Unione Obama ha cercato di riconquistare il favore della classe media. Ha promesso misure fiscali dirette ad aumentare il prelievo sui super-ricchi per ridurlo sulle famiglie che lavorano, rendere gratuita in alcuni casi l'università e allargare la copertura del welfare.
Sarah Palin su Facebook ha così commentato le parole di Obama:

"Mr. President, if you truly care about equality and fairness, give us a sensible flat tax".

" The middle class needs good paying jobs that can sustain a family. No American should be stuck in a entry level minimum wage job for their entire life. We want Americans to climb the economic ladder, not get stuck on the first rung. To create those good paying jobs, we need to address the problems standing in the way of job creation. We need to replace job-killing legislation like Obamacare, which has failed on every level by making health care more expensive for average".

La rivoluzione tecnologica e una globalizzazione che non si è estesa alle regole e alle istituzioni hanno ridotto le occasioni di lavoro, guadagno e ascesa sociale per le classi medie dei paesi che per primi hanno raggiunto un diffuso benessere economico. La politica economica di Obama non ha arrestato questo declino strutturale. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro non è così basso da tanti anni.


I nuovi posti di lavoro, creati soprattutto nel settore della ristorazione, del commercio e dell'assistenza sanitaria, sono spesso di bassa qualità e con modesta retribuzione. Per invertire la rotta occorrono interventi strutturali capaci di ripristinare adeguati fattori di crescita: capitale umano (competenze tecnico-scientifiche e matematiche), istituzioni economiche, investimenti privati, pressione fiscale, stimoli all'impegno personale.
I provvedimenti proposti da Obama vanno nella direzione giusta? No. Per essere buoni consumatori in un sistema sostenibile e vitale bisogna essere buoni produttori. Grazie a Obama gli appartenenti alla classe media potranno e vorranno essere migliori produttori? Di nuovo no.

venerdì 16 gennaio 2015

Fede e ragione. Il vicolo cieco di Ratisbona.




Oggi, come spesso nel passato, si uccide in nome di Dio. Fuori dei confini dell'Europa, in Africa e Asia, sono migliaia le vittime dei conflitti religiosi. Citatissimo è ancora il discorso pronunciato da papa Benedetto XVI nell'aula magna dell’Università di Regensburg (Ratisbona) il 12 settembre 2006:

"L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio".

""Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori". 

"E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali...porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia".

Benedetto XVI fa appello a una Ragione connaturata a Dio e condivisa dagli uomini. Entro questa comune cornice dovrebbe maturare un proficuo dialogo tra culture. Ma questa Ragione astratta, che consente di risolvere problemi procedendo dall'essenza all'esistenza, è la ragione dei cristiani e del pensiero critico sorto dalla riflessione sull'impresa scientifica? Due citazioni sembrano portare su altre vie, quelle del razionalismo critico e, insieme, dell'umile accoglimento della Rivelazione e della Tradizione.

Domenica 11 gennaio 2015 i cattolici hanno ascoltato a messa come prima lettura Isaia 55:

[8] Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, 
le vostre vie non sono le mie vie ...
[9] Quanto il cielo sovrasta la terra, 
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, 
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

La stessa impresa scientifica, con i suoi successi ma anche  con i suoi errori e le sue rivoluzioni, induce ad accogliere una visione critica della ragione umana. Una lettera di Charles Darwin,  riportata da Stephen Jay Gould in uno dei suoi rigorosi scritti divulgativi, offre una sintesi fulminante:

"Darwin...sospettava che il cervello umano, evoluto per altre ragioni nel corso di molti milioni di anni, potesse essere male equipaggiato per risolvere gli interrogativi più profondi e astratti sul significato ultimo della vita. Come scrisse al botanico americano Asa Gray nel 1860: «Ho la nettissima impressione che tutta la materia sia troppo profonda per l'intelletto umano. Un cane potrebbe speculare altrettanto bene sulla mente di Newton»"".

Occorre prevenire e reprimere l'intolleranza e le minacce alla misura di libertà che contraddistingue l'Occidente. Perché? Perché altrimenti tolleranza e libertà verranno meno. Tutto qui.

venerdì 9 gennaio 2015

Terrore nel cuore della vecchia Europa.




L'attacco alla rivista satirica francese Charlie Hebdo ha portato al centro del dibattito pubblico mondiale i temi della libertà di espressione, dell'intolleranza, delle manifestazioni violente del fondamentalismo islamico.
Emerge chiaro il rischio che l'esercizio sopra le righe della libertà di espressione e la retorica di circostanza siano accompagnati dall'incomprensione delle tendenze e dall'inazione. L'applicazione rigorosa dell'etica della responsabilità non caratterizza soltanto i vertici della Chiesa cattolica. Karl Popper ne fu coerente fautore. Per l'autore de La Società aperta e i suoi nemici ciascuno è responsabile della propria condotta e delle sue conseguenze, in particolare delle sofferenze ingiuste provocate. Seguendo questo criterio nel 1989 si rifiutò di firmare un "Appello Mondiale" a favore di Salman Rushdie, autore di un romanzo secondo molti musulmani recante ingiurie all'Islam e per questo minacciato di morte dai fondamentalisti islamici. Alla contesa sul libro seguirono scontri ed uccisioni. In questa occasione così scrisse a Isaiah Berlin:

"Infatti, sappiamo tutti che l'Ayatollah è di gran lunga il peggiore criminale. E ovviamente Rushdie dovrebbe essere protetto dalla polizia. Possiamo anche dispiacerci per lui. Ma mi dispiace molto di più per le persone che sono state uccise in questo conflitto. Credo che ogni libertà implichi dei doveri: usare responsabilmente la propria libertà."

La lettera a Berlin si può leggere in Karl POPPER, Dopo la società aperta, ed. 2009, pag.308.

Lo  stesso Popper insegnò sempre che non si deve tollerare l'intolleranza, altrimenti  tolleranza e libertà vengono meno. Dal filosofo viennese il programma da adottare: libertà responsabile, ferme prevenzione e repressione dell'intolleranza.
Molte analisi sottolineano i tratti del terrorismo che insanguina la vecchia Europa. Robert S. Leiken su The National Interest del 9 gennaio 2015 scrive:

"Tuesday’s attack on the Parisian satiric magazine Charlie Hebdo was performed by what one could describe as European Holy Warriors...They are part of a larger European movement that is internally generated. Understanding this important point and what it means for Europe and eventually the United States is critical.
This European jihadi movement is not made up of “immigrants” as is commonly presumed and published. Most are home-grown children of immigrants, the so-called “second generation.”".

Altrettanto messi in luce sono gli stretti rapporti di questo fenomeno con i conflitti mediorientali. Ma l'attenzione per questi legami nefasti pone spesso in secondo piano la tendenza che pare più grave e inquietante: la progressiva radicalizzazione della "maggioranza silenziosa" islamica in tutto il mondo, la sempre maggiore presa del radicalismo sul grande corpo dell'Islam.
Su AsiaNews.it del 9 gennaio 2015 Bernardo Cervellera racconta l'evoluzione dell'islam curdo:

"Mons. Rabban mi spiega che l'islam curdo è stato sempre moderato e ha vissuto in pace con cristiani, yazidi, zoroastriani,... Ma le pressioni fondamentaliste stanno scuotendo la convivenza.  Gli uomini seduti attorno alla stanza parlano dell'influenza dell'Iran, della Turchia, ma soprattutto dell'Arabia saudita. "Da noi non c'erano donne velate; adesso se ne vedono qua e là: sono pagate dall'Arabia saudita per portare il velo. Il fondamentalismo è figlio della povertà"".

"...a Mosul. Mi raccontano che un ragazzo cristiano giocava sempre con un suo amico coetaneo musulmano. A un certo punto un giorno il musulmano dice all'altro: "Non gioco più con te. Mio zio mi ha detto che non devo giocare con i cristiani". E l'amicizia è finita. Almeno per ora".

Sempre su AsiaNews.it del 9 gennaio 2015 Mathias Hariyadi dà conto della situazione in Indonesia:

"L'Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, è spesso teatro di attacchi o gesti di intolleranza contro le minoranze: cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Nella provincia di Aceh - unica nell'Arcipelago - vige la legge islamica (shari'a), in seguito a un accordo di pace fra governo centrale e Movimento per la liberazione di Aceh (Gam), e in molte altre aree (come Bekasi e Bogor nel West Java) si fa sempre più radicale ed estrema la visione dell'islam".

Dove va l'Islam profondo, la grande comunità costituita da un miliardo di fedeli? Questa è la domanda fondamentale.

venerdì 2 gennaio 2015

Cina. I rischi della nuova normalità.



Paolo Borzatta, ingegnere, esperto di strategia aziendale e di internazionalizzazione, è autore del blog Specchio cinese su AgiChina24.it. Ospite di Radio Radicale, ha delineato la cosiddetta nuova normalità cinese. 
E' stato il presidente cinese Xi Jinping a definire così il nuovo assetto previsto per il suo paese. La Cina dovrà crescere puntando su maggiori consumi interni, servizi e manifattura avanzati, nuove tecnologie per la difesa dell'ambiente. Le aziende di stato, segnate da corruzione, privilegi e burocrazia, verranno riformate. Una parte più ampia dei risparmi delle famiglie sarà resa disponibile per i consumi estendendo il welfare e diffondendo le assicurazioni private.
Un quadro corrispondente al sogno cinese proposto all'intera area  Asia Pacifico dallo stesso leader cinese in questi termini:

"Abbiamo la responsabilità verso il popolo della regione di creare e realizzare il sogno dell’Asia-Pacifico.
Il sogno è di costruire sul senso di comunità e di destino comune dell’Asia Pacifico, di mantenere la pace, lo sviluppo, la cooperazione e il trend win-win di questo tempo, lavorare insieme per la prosperità e il progresso dell’Asia e del Pacifico; il sogno è di continuare a guidare lo sviluppo mondiale e di dare grandi contributi al benessere dell’uomo; il sogno è di facilitare economie più dinamiche, commerci più liberi, investimenti più convenienti, strade meno accidentate, relazioni interpersonali più strette; il sogno è di permettere alla gente di vivere una vita più pacifica e più prospera così che i loro figli possano crescere meglio, lavorare meglio, avere una vita migliore (trad. P. Borzatta)".

In realtà la nuova normalità cinese presenta rilevanti rischi, relativi alle nuove linee di sviluppo che anche in Occidente molti auspicano per la potenza asiatica. Tale status è stato raggiunto a tappe forzate dalla Cina soprattutto grazie al regime autoritario e a un welfare corto, sostenibile sotto il profilo della spesa pubblica, capace di stimolare lo studio, il lavoro e il risparmio. Questo sperimentato assetto ha dato al paese le risorse per investimenti e acquisizioni in tutto il mondo.
E' pronta la Cina a percorrere ulteriormente le forse fatali vie del già pesante indebitamento privato, dell'aumento della spesa pubblica e della pressione fiscale, del minor stimolo all'impegno e al risparmio? La potenza cinese costruita sul risparmio, sul lavoro e sulle esportazioni cadrà sul tanto auspicato aumento dei consumi interni?

venerdì 26 dicembre 2014

Italia. Demagogia e declino.




Secondo il Vocabolario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli demagogia è la "Degenerazione della democrazia, per la quale al normale dibattito politico si sostituisce una propaganda esclusivamente lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali delle masse, allo scopo di mantenere o conquistare il potere".
Corrisponde perfettamente a questa definizione la proposta di "flat tax" avanzata recentemente in Italia da più parti. Ne danno conto su noisefromamerika.org Michele Boldrin e Costantino De Blasi:

"Ricomincia a girare la "proposta" (si fa per dire) dell'aliquota unica. Ha iniziato Salvini facendone, assieme al ritorno alla lira, l'altra colonna sulla quale edificare la nuova Lega Nazional-Socialista. BS, non potendo essere da meno, ha detto che la vuole anche lui e con un'aliquota ancor minore ... o forse è l'opposto? Non fa gran differenza e nei sommari a volte si scherza ... Il fatto è ch'è tutto un fremere di rilanci e promesse improbabili a conferma che la cultura politico-economica che permea i partiti della destra italiana attuale li rende incapaci di governare il paese. E questo è il male grave di cui val la pena occuparsi".

" Il segretario della LN ipotizza un'imposta unica sui redditi al 15%, Berlusconi al 20%. Per i (pochi) dettagli disponibili dell'una e dell'altra "riforma" rinviamo a questo articolo di Daveri e Danielli con relativi allegati".

" ...stabiliamo un punto fisso: sia con la proposta BS che con quella LN il gettito dell'IRPEF (e dell'IRAP, nel caso LN) calerebbe drammaticamente e questo, di per sé, non è un male ma un bene..."

"Veniamo alla fattibilità, che nel caso di una riforma fiscale si traduce nel poter finanziare quel che si intende spendere. Qui il problema è banalissimo: quali spese si dovrebbero tagliare per compensare il sostanziale minor gettito? Non lo dice nessuno, Salvini e BS men che meno: ha promesso più tagli alla spesa pubblica Matteo Renzi che i due messi assieme, il che è tutto dire. Peccato che non si tratti di bruscolini: come i calcoli di Daveri e Danielli suggeriscono viaggiamo fra i 50 ed i 100 miliardi di euro all'anno".

ll tentativo di tagliare le tasse senza tagliare la spesa pubblica, per i motivi esposti da Boldrin e De Blasi, sarebbe devastante per il paese:

"Questa è oggi la vera dannazione italiana, contro la quale sembriamo essere tutti impotenti. Da un lato un governo d'incapaci, privo di ogni seria strategia riformatrice, guidato da un equilibrista della politica con un'enorme capacità d'imbonire l'opinione pubblica a botte di promesse vuote, arguzie, battute, paraculismi assortiti e nessuna sostanza. Dall'altro un'opposizione che non vuole governare ma solo raccogliere la rabbia sociale con proposte populiste e intenzionalmente irrealizzabili, al solo scopo di mantenere il proprio status e le prebende personali che esso garantisce".

Codesti settori dello schieramento politico italiano associano spesso a questa proposta demagogica quella di abbandonare la moneta unica europea, l' euro, o comunque di ridefinire radicalmente i termini della nostra partecipazione. Si incarica di demolire questa ipotesi proprio La Voce della Russia del 24 dicembre 2014. Così l' articolo di Tatiana Santi:


"È proprio uscendo dall’euro che si risolverebbe la crisi in Italia?... Ci siamo rivolti per un’analisi a Franco Bruni, professore ordinario di teoria e politica monetaria internazionale all’Università Bocconi e vice presidente dell’ISPI...".

"- Molti economisti, tra i quali anche lei professor Bruni, mettono in guardia dagli effetti negativi di un’eventuale uscita dall’euro. Di che pericoli si tratta?

Una moneta, come potrebbe essere un domani la moneta greca, spagnola o italiana saranno come foglie al vento, porterebbero instabilità. In momenti di pericolo questa moneta sarà subito attaccata e svalutata. Si arriverebbe a una forte inflazione. I costi delle importazione e delle materie prime salirebbero. Inoltre i mercati internazionali non investirebbero più, perché avrebbero paura del valore dei loro investimenti. Il Paese finirebbe per essere isolato sia dal commercio che dalla finanza e il sistema bancario".

"- Un’eventuale uscita dall’euro per l’Italia a suo avviso potrebbe comportare un isolamento economico ma anche politico?

- Sì, non solo! Credo che non abbia proprio nessun senso l’ipotesi di uscire dall’euro per l’Italia. Nessuno se lo immaginerà mai, altro che alcuni strani personaggi che cercano con questo di avere qualche spazio politico nel Paese. Nessuno se lo sognerebbe e nessuno ce lo permetterebbe: ci sono dei grandi investimenti internazionali fatti in Italia che non permettono al Paese di fare una cosa del genere. Abbiamo un debito pubblico molto grosso detenuto all’estero e denominato in euro. Come sarebbe possibile cambiare la moneta? Inoltre partecipiamo in modo importante agli organi europei, siamo nella Banca Centrale, nella vigilanza europea. Oltre a tutto, per uscire dall’euro bisognerebbe uscire dall’Unione europea, perché il trattato non permette altrimenti. Significherebbe veramente finire in Africa!".

Evidentemente la demagogia non abita a Mosca ma a Roma e a Milano.

venerdì 19 dicembre 2014

Gli obiettivi della Russia nei discorsi di Lavrov e Putin.




Su The National Interest del 6 dicembre 2014 James Carden esamina alcuni discorsi dei suoi governanti per mettere in luce gli obiettivi e le motivazioni della Russia:

"Lavrov identified as the West’s primary motive in enacting the sanctions regime against Russia: regime change. “As regards the conceptual approach to the use of coercive measures the West unequivocally demonstrates that it does not merely seek to change Russian policy…it seeks to change the regime—and practically nobody denies this.”"

"Going one further than Lavrov, Putin indicated that he believes the goal of the sanctions regime isn’t merely regime change. In fact the West…
…would gladly let Russia follow the Yugoslav scenario of disintegration and dismemberment….It did not work, just as it did not work for Hitler…who set out to destroy Russia and pushed us back beyond the Urals. Everyone should remember how it ended.
Both speeches—their words plain, their meanings pellucid—should (but likely will not) put an end to the guessing game over Russia's supposedly mysterious motives and intentions".

Secondo i leader russi l'Occidente cerca non solo di cambiare l'attuale regime della Russia, ma anche di disgregarla. Ci sono in effetti elementi per ritenere che gli USA e i loro più stretti alleati  puntino a erodere il consenso per Putin con misure idonee a ferire la diffusa sensibilità nazionalista russa. C'è qualcuno negli USA che considera il caos più vantaggioso del consolidamento della compagine nata dallo scioglimento dell'URSS. Si tratta di una visione miope, che priva l'Occidente di una collaborazione decisiva nella lotta al fondamentalismo islamico e nella competizione con la Cina.
Tale visione non riscuote consensi nell' area Tea party

" Late Thursday night, the House of Representatives unanimously passed a far-reaching Russia sanctions bill, a hydra-headed incubator of poisonous conflict. The second provocative anti-Russian legislation in a week, it further polarizes our relations with Russia, helping to cement a Russia-China alliance against Western hegemony, and undermines long-term America’s financial and physical security by handing the national treasury over to war profiteers".



venerdì 12 dicembre 2014

Corruzione a Roma. Il mondo ci guarda.




L'indagine sulla pervasiva corruzione a Roma ha destato l'attenzione dei grandi media internazionali. Il Corriere della Sera del 12 dicembre 2014 dà così conto di un articolo del New York Times:

"L’inchiesta sulla corruzione a Roma «sta a ricordare che, virtualmente, non c’è angolo dell’Italia che sia immune dall’infiltrazione criminale»: è il commento pubblicato nell’edizione internazionale del New York Times in una corrispondenza da Roma di Elisabetta Povoledo apparsa in prima pagina". 

"Non solo, secondo Il New York Times, le indagini della Procura di Roma rilanciano interrogativi «about Italy’s ability ever to reform itself and fulfill the demands for fiscal responsibility», ovvero sull’affidabilità del Belpaese in merito alla richiesta di una maggior responsabilità in campo fiscale chiesta dai soci dell’Eurozona".

"E commentando la grande mole di intercettazioni, il quotidiano Usa scrive: «Perfino per un Paese in cui la corruzione è data per scontata nella vita quotidiana, le rivelazioni hanno sbalordito i cittadini». E il giornale non ha dubbi: «La diffusa e incontrollata corruzione, con sottrazione di fondi pubblici rivelata dall’inchiesta è un’esempio della situazione che ha portato il debito pubblico dell’Italia ad uno dei livelli più alti in Europa»".

Il mondo ci guarda. L'immagine dell'Italia si deteriora profondamente. Ma l'inchiesta romana può rivelarsi fuorviante. Il declino italiano non si spiega soltanto con la corruzione e la criminalità organizzata. I grandi colpevoli hanno il volto meno impresentabile di un welfare e di un sistema pensionistico insostenibili, di una demografia sfavorevole, di imprese inadeguate per capitalizzazione, dimensioni e risorse tecniche, di una scuola inefficiente, di una burocrazia opprimente, di una pressione fiscale elevatissima, di autonomie territoriali mal congegnate. Onesti e disonesti hanno contribuito al disastro. Non dimentichiamolo.

venerdì 5 dicembre 2014

Italia. Più verità per fronteggiare il declino.





"Standard & Poor's ha abbassato il rating dell’Italia sul debito a lungo termine a BBB-".

" La decisione, spiega S&P in un comunicato, «riflette la debolezza ricorrente che vediamo nella performance del Pil reale e nominale dell'Italia, inclusa l'erosione della competitività, che sta minando la sostenibilità del suo debito pubblico». «Un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri»".

Così Il Sole 24 Ore del 5 dicembre 2014. L'agenzia statunitense denuncia la debolezza strutturale del paese, di cui dà dettagliato conto il 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale italiana:

"Un Paese congelato e col fiato sospeso, in cui le famiglie spendono in contanti al 41% e risparmiano in depositi bancari per placare l’ansia del futuro, le imprese smettono di investire (mantenendo però margini di profitto elevati), 8 milioni di persone non lavorano e le disuguaglianze aumentano corrodendo il ceto medio. Un Paese che ha cambiato pelle, dove la coesione sociale non tiene più, la solitudine avanza, nonostante l’esplosione dei social network, i giovani e le donne vengono mortificati e la politica bypassa sempre di più i corpi intermedi. Senza però ancora raccogliere risultati in termini di ripresa dello sviluppo e dell’occupazione" (Manuela Perrone, Il Sole 24 Ore).

Sullo stesso quotidiano della Confindustria, il 30 novembre 2014, Fabio Pavesi ha posto in rilievo due record dell'Italia: la ricchezza privata e il debito pubblico. La ricchezza privata non riduce davvero il rischio del debito, potendo diventare direttamente risorsa pubblica solo attraverso l'imposizione fiscale, già elevatissima.
In un sistema sano la ricchezza privata diventa indirettamente risorsa pubblica quando viene impiegata dai privati per la produzione e il consumo, aumentando così la base imponibile. Ma, scrive Perrone, "In generale, per il pianeta delle industrie, il Censis registra il poderoso calo degli investimenti che si è registrato dal 2008 a oggi con un’incidenza sul Pil arrivata al 17,8%: una flessione complessiva del 25%, soprattutto in hardware (-28,8%), costruzioni (-26,9%), mezzi di trasporto (-26,1%), macchinari e attrezzature (-22,9%). Rispetto al 2007, la mancata spesa cumulata per investimenti ha raggiunto la somma record di 333 miliardi di euro, più del piano Juncker". La caduta dei consumi chiude il circolo vizioso.
Gli italiani possono fronteggiare il declino solo prendendo consapevolezza dei vizi strutturali che lo determinano. Welfare, autonomie locali, agenzie educative, pubblica amministrazione, certezza del diritto e legalità, pressione fiscale e contributiva, costo dell'energia, immigrazione, tendenza demografica. Questi sono i settori decisivi che richiedono radicali interventi. Senza verità la via del ritorno allo sviluppo resta inaccessibile.

venerdì 28 novembre 2014

Russia e Occidente. Il ruolo della Germania.




Su analisidifesa.it del 26 novembre 2014 Luca Susic ha così commentato la posizione di Angela Merkel sulle difficili relazioni tra Russia e Occidente:

"Uno degli aspetti recenti più sorprendenti della crisi che sta scavando un solco fra Usa-Europa da una parte e Russia (e Cina) dall’altra è rappresentato dall’improvvisa accelerazione in materia di politica estera voluta dalla Bundeskanzlerin Angela Merkel. Inizialmente fredda sul tema delle sanzioni e fautrice di una linea più morbida verso Mosca, la leader tedesca ha deciso di cambiare passo, lanciando pesanti accuse contro il Cremlino e il suo modo (giudicato troppo aggressivo) di difendere gli interessi Nazionali. La posizione espressa dalla Cancelliera è stata subito fatta propria dai principali esponenti del suo governo che, come riporta Der Spiegel, si sono scagliati contro l’imprevedibilità delle azioni di Putin e la veemenza di quest’ultimo nel cercare di espandere la propria influenza in talune parti del mondo".

"Sebbene sembri chiaro che queste dichiarazioni sono il frutto della strategia politica della Merkel per aumentare l’influenza di Berlino in aree storicamente di interesse russo...".

"Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno iniziato una vera e propria campagna di “riconquista” dei Paesi ancora esterni all’ambito euro-atlantico, con lo scopo dichiarato di favorirne quanto prima l’ingresso nella UE e, soprattutto, nella NATO. Si tratta, però, di un progetto estremamente ambizioso che, oltre a non tenere in considerazione le inclinazioni delle popolazioni in questione, si basa sul presupposto che tutto ciò debba avvenire a tappe forzate, al fine di impedire a Mosca di riottenere il prestigio perduto e ostacolare il piano".

Lo stesso 26 novembre, su bloomberg.com,  Patrick Donahue, Arne Delfs e Ilya Arkhipov hanno dato conto della ferma opposizione della stessa Merkel all'adesione alla NATO dell' Ucraina:

"German Chancellor Angela Merkel’s government is alarmed by President Petro Poroshenko’s plan to hold a referendum on Ukraine joining NATO, seeing it as a dead end that would only inflame tensions with Russia.
Ukrainian membership of the North Atlantic Treaty Organization is not on the table for Merkel, according to one German official, who said that a referendum wouldn’t bring Ukraine closer to NATO since decisions on membership are made by Alliance countries and not voters".

Si tratta di analisi che colgono l'ambiguo, difficile  ruolo che la Germania di Merkel è indotta a svolgere. Stretto tra le pressioni dello storico alleato americano e quelle degli imprenditori danneggiati dal peggioramento delle relazioni con la Russia, obbligato a destreggiarsi tra paesi vicini dall'atteggiamento divergente, il governo tedesco persegue un equilibrio inevitabilmente precario, fragile.
Occorre scegliere con lungimiranza. L'Occidente non ha interesse a destabilizzare la Russia.  Dalla compagine sorta dalle ceneri dell'Unione Sovietica può e deve ottenere un aiuto determinante nella lotta contro il fondamentalismo islamico. Il grande competitore delle democrazie occidentali è la Cina. Compito della Germania è riportare alla ragione gli Stati Uniti e la Russia di Putin. Merkel dispone delle doti e dell'influenza necessarie.


Visite