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sabato 26 dicembre 2009

Albert Einstein e gli obiettori in miniera. Come riflettere sui valori in un mondo di fatti.

Non c'è uomo che possa fare a meno di regole di condotta, cioè di principi morali. Ognuno di noi, spesso inconsapevolmente ed acriticamente, li adotta per la propria vita. Ma, pur lasciando impregiudicata la grande domanda, se si possa cioè dare un fondamento assoluto ai principi morali e considerarli così oggettivamente validi per tutti, è assai importante indagare sulla possibilità di discutere comunque razionalmente di tali principi, soprattutto riguardo al loro difficile rapporto con il mondo dei fatti.
E' possibile applicare la ragione alle questioni morali? E come? Occorre considerare attentamente la compatibilità e la coesistenza di determinati principi con altri, a noi almeno altrettanto cari, soppesando bene le conseguenze di fatto della loro applicazione. Qualche dubbio in più dovrebbe giovare a tutti. 
Recentemente Obama, nel discorso pronunciato alla consegna del premio Nobel per la pace, ha correttamente seguito questa via, delineando un pacifismo rispettoso di altri valori, quali giustizia, libertà e diritti umani. Col risultato di rivalutare e riaffermare il concetto di guerra giusta, di guerra per la pace, ben noto alla morale cattolica. Ed ha fatto ciò, come dire, prendendo il toro per le corna, cioè andando direttamente a disegnare i principi in questione. 
Altri famosi pacifisti, di fronte alla pressione degli eventi, hanno seguito vie più indirette.
Interessante in questo senso la seguente lettera del grande fisico Albert Einstein al re Alberto del Belgio, a cui era legato da amicizia sincera. Siamo nel 1933. Hitler ha ormai consolidato il suo potere e Einstein percepisce il pericolo in tutta la sua gravità. Altrettanto bene vede quanto la diffusione di un certo pacifismo inconsapevole possa diminuire la capacità di resistenza del mondo libero. Ma, trattando il delicato tema dell'obiezione di coscienza al servizio militare, non va proprio diritto al cuore del problema, limitandosi a suggerire, per gli obiettori, l'alternativa di un altro servizio più duro e pericoloso.

"14 luglio 1933. Maestà, il problema degli obiettori di coscienza mi assilla...
nella situazione attuale, creata dalle attività tedesche, l'esercito belga costituisce unicamente uno strumento di difesa e per nulla un mezzo d'aggressione. Esso è dunque indispensabile alla sicurezza del Belgio.
Per quel che riguarda gli obiettori di coscienza ritengo non si dovrebbe considerarli come criminali, se spinti sinceramente da una forza di persuasione morale o religiosa. Né si dovrebbe lasciare che siano altri uomini a giudicare se al fondo del rifiuto vi sia persuasione profonda o motivi di minor pregio.
Reputo vi sia un mezzo più nobile, e a un tempo più appropriato, per mettere alla prova gli obiettori e utilizzarli. Si dovrebbe dare a ciascuno di loro la facoltà di sostituire il servizio militare con altro servizio più duro e pericoloso. Se veramente mosso da persuasione seria, l'obiettore accetterà tale strada.
Come servizio sostitutivo penso a certi tipi di lavori di miniera, a mansioni di fuochista su battelli, di infermieri presso malati contagiosi o nei manicomi, e altri impieghi del genere. Colui che affrontasse tali servizi volontariamente e senza lamentarsi sarebbe degno di rispetto.
Se il Belgio potesse emanare una tale legge, o anche soltanto creare un'abitudine (usus), sarebbe un passo notevole verso la vera umanizzazione.
Con alta stima ed affetto.

Albert Einstein"

Il testo della lettera è tratto dalle memorie di Maria Josè di Savoia, ultima regina d'Italia, figlia di Alberto del Belgio.
Maria Josè di SAVOIA, Giovinezza di una regina, 1993, pag. 331

lunedì 14 dicembre 2009

Fantasie costituzionaliste. L'anomalia tutta italiana del contropotere giudiziario.


"Il primato della rappresentanza popolare è dimostrato sia dall'assenza di una corte costituzionale che possa esercitare il controllo della costituzionalità delle leggi sia dal fatto che il potere esecutivo deve ottenere la fiducia dal Parlamento"

Chi è l'autore di questo volgare attacco al costituzionalismo liberale ed al Sacro principio della Separazione dei Poteri? Potete leggere queste righe sul sito dell'Ambasciata di Olanda in Italia. Si tratta della pura e semplice descrizione di ciò che accade oggi in Olanda, cioè in una delle più antiche e solide democrazie liberali del mondo. Per garantire la preminenza della rappresentanza popolare questo paese non si è dotato di una corte costituzionale. Ma la stessa cosa avviene in Inghilterra. Anche lì niente corte costituzionale. Mentre nelle grandi democrazie che hanno corti supreme con poteri di controllo della costituzionalità delle leggi la nomina dei loro membri è riservata al parlamento oppure, insieme, a parlamento e governo eletto dal popolo.
I magistrati giudicanti sono sempre distinti dalla pubblica accusa. Il loro autogoverno è sempre congegnato in modo da evitare la formazione di un corpo separato e di un contropotere sottratto al controllo della rappresentanza popolare. Non raramente questo autogoverno semplicemente non esiste ed il governo interviene direttamente nella nomina dei giudici e nell'organizzazione giudiziaria.
Ma allora Montesquieu, la Sacra Separazione dei Poteri? Il vecchio Montesquieu, nel suo Spirito delle leggi, chiedeva che il potere giudiziario fosse affidato a tribunali non permanenti, formati da non professionisti tratti dal popolo. Questi giudici popolari temporanei, secondo il filosofo francese, dovrebbero essere soltanto "la bocca della legge", costituendo così un potere "invisibile e nullo". Bisogna infatti evitare, afferma Montesquieu, che il giudice sia anche legislatore, perchè in questo caso il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario.
In realtà, negli altri paesi occidentali, vediamo di solito non una rigida separazione dei poteri ma una chiara tendenza al loro coordinamento, con prevalenza della rappresentanza popolare. Vale la pena di dare un'occhiata coi nostri occhi. Andiamo a leggere le costituzioni delle altre democrazie. Leggiamo Montesquieu ed i grandi teorici della democrazia liberale. Di certe sacre caste non troveremo traccia.
Di seguito i link che portano al testo delle costituzioni vigenti di grandi democrazie liberali contemporanee.

giovedì 10 dicembre 2009

Giovanni Falcone. Una vita per la giustizia.

Mentre lo scontro istituzionale divampa ricordiamo Giovanni Falcone, modello troppo poco imitato. 
Falcone nacque a Palermo nel 1939, dove si laureò in giurisprudenza nel 1961. Entrò in Magistratura nel 1964. Con Paolo Borsellino lavorò a Palermo nell'Ufficio istruzione, sotto la direzione di Rocco Chinnici, poi ucciso dalla mafia. Qui approfondì la propria esperienza nelle indagini patrimoniali e bancarie. Successivamente fece parte del pool di magistrati antimafia creato da Antonino Caponnetto. Nel pool Falcone si distinse anche per l'efficace e rigorosa gestione dei pentiti.
L'opposizione di una parte influente della Magistratura, in particolare di magistrati di area comunista, gli impedì di guidare la lotta alla mafia come magistrato. Nel 1991 accolse quindi l'invito del ministro della giustizia Claudio Martelli, esponente del partito socialista eletto in Parlamento come capolista a Palermo nel 1987, a dirigere la sezione Affari penali del ministero.
Aspre critiche gli furono mosse per la sua collaborazione con il governo.


Attaccato da magistrati e politici, tra i quali Leoluca Orlando, restò sempre più isolato.
Anche per questo isolamento la mafia lo uccise nell'attentato di Capaci del 1992.
Medaglia d'oro al valor civile. Per la sua opera è compianto e stimato negli Stati Uniti.



domenica 29 novembre 2009

La musica secondo Paul McCartney. Edificare l'arte.


Nel Panorama della settimana scorsa, numero 48, c'è una lunga intervista a Paul McCartney, l'ex Beatles che tanto ha influenzato la musica pop dell'ultimo mezzo secolo. Molte le affermazioni interessanti del musicista britannico, in particolare le seguenti:

"Oggi escono dischi che sembrano registrati in un'acciaieria. Solo rumore, tanto ritmo e zero melodie. Questo, molto più del download illegale, ha innescato la crisi del mercato discografico. Ma perché dovrei pagare per portarmi a casa un cd di rumori? Allora, preferisco il suono del mio trapano"

e poi, soprattutto

"Non voglio sembrare presuntuoso, ma il nostro lavoro sui pezzi era straordinario.
C'era la massima cura dei dettagli, l'ossessione maniacale per avere ritornelli memorabili, la voglia di sperimentare e di rifare un coro anche 30 volte finché non aveva raggiunto l'amalgama perfetto tra le voci. Se curi tutto questo con la determinazione di un artigiano, ottieni la canzone perfetta. Noi quattro abbiamo avuto il massimo rispetto per la musica. Abbiamo trattato le nostre canzoni con la cura e l'attenzione dei grandi architetti classici. Nessun edificio moderno può reggere la competizione con le grandi opere del passato.
Perché dietro le grandi opere c'è sempre un grande lavoro. Dietro molta della musica di oggi non c'è invece alcun lavoro. E si sente."

Le parole di McCartney manifestano una visione antiromantica ed oggettiva della musica. Che corrisponde largamente alla concezione antiromantica ed antiespressionista della musica e dell'arte oggettive formulata da Karl Popper nella sua Autobiografia intellettualeLa ricerca non ha fine(edizione 1978 -pag. 63 e segg.)

Scrive il grande filosofo austriaco:

"Dovrei forse cominciare con una critica di una teoria dell'arte largamente diffusa: la teoria secondo la quale l'arte è auto-espressione, ovvero l'espressione della personalità dell'artista, o forse l'espressione delle sue emozioni.....La mia critica principale di questa teoria è semplice: la teoria espressionista dell'arte è vuota. Infatti tutto ciò che un uomo, o un animale, può fare è (fra l'altro) espressione di uno stato interno, di emozioni, o di una personalità. Ciò è banalmente vero per tutti i generi di linguaggi umani ed animali"

poi ancora

"Da quanto ho detto si può vedere quale era la differenza tra Bach e Beethoven che tanto mi impressionò: Bach nella sua opera dimentica se stesso, è un servitore della sua opera. Naturalmente non manca di imprimere nell'opera la sua personalità; ciò è inevitabile.
Ma non è, come è invece Beethoven, in certi momenti, consapevole di esprimere se stesso e perfino i propri umori. Era per questa ragione che dicevo che i due musicisti rappresentavano due atteggiamenti opposti nei confronti della musica."

"Dettando agli allievi le istruzioni sul modo di suonare il continuo, Bach disse: "Si dovrebbe produrre un'armonia eufonica per la gloria di Dio e per il possibile diletto della mente; e come tutta la musica, il suo finis e la sua causa finale non dovrebbe giammai essere altra cosa che la gloria di Dio e la ricreazione della mente. Se non si bada a questo, in realtà non c'è musica, ma solo grida e strepito".


Dio a parte, la consonanza con l'ex Beatles pare davvero significativa.
La musica dell'Età barocca e dell'Illuminismo rappresenta un modello di arte oggettiva, costruita per divertire, commuovere e far pensare. Un'arte che, una volta prodotta, si stacca dal suo autore e vive di vita propria.

Ecco alcuni brevi video musicali, che propongono in modo originale la grande musica di quell'epoca straordinaria. Bach, Handel, Vivaldi e Corelli.








                                                                               



                                                                             



                                                                              

mercoledì 18 novembre 2009

La democrazia possibile? Quella delle urne elettorali!



Nelle democrazie contemporanee è endemica la tendenza a delegittimare la democrazia rappresentativa fondata sul suffragio universale. Si tratta di quella democrazia che trae la propria giustificazione da questo principio: non tutti possono governare ma tutti possono giudicare chi governa. Chi tenta di delegittimarla di solito sostiene che solo una parte degli elettori è sufficientemente informata, libera da condizionamenti ed onesta quanto a valori di riferimento e propositi da essere in grado di compiere scelte consapevoli ed adeguate. E che compito della democrazia è consentire l'elezione dei governi migliori. Mentre non raramente rifiuta il principio stesso della rappresentanza.
Conseguentemente tende ad adottare strumenti di formazione e manifestazione della volontà che sostituiscano i tradizionali percorsi elettorali istituzionalizzati. E' la "democrazia" dei blog, dei forum, dei comitati, delle manifestazioni di piazza, della cosiddetta Società civile che si mobilita, vuole contare e decidere direttamente. Si tratta però di una pericolosa illusione, del modo non per salvare, ma per uccidere la democrazia possibile. E' infatti del tutto irragionevole ed infondata l'opinione secondo la quale chi ha determinati orientamenti politici e culturali manifesta un giudizio libero ed informato ed una buona moralità, mentre le altre visioni e decisioni sono dettate da condizionamenti, ignoranza e disonestà. Esiste invece una pluralità di preferenze, conoscenze, punti di vista ed interessi tutti egualmente legittimi e degni di considerazione.
Il compito della democrazia poi non è tanto quello di rendere possibile la scelta dei governi migliori, bensì quello di consentire la sostituzione dei governi cattivi senza ricorrere alla violenza, grazie a percorsi predeterminati ed istituzionali. Le capacità e le qualità di un governante, così come la bontà di un indirizzo politico, possono infatti essere conosciute e giudicate solo dopo che l'attività di governo è stata posta in essere.
Quanto alla validità del principio stesso di rappresentanza, va detto che il governo di una grande società aperta deve ispirarsi ad una visione generale e mantenere una creativa, efficace continuità d'azione. Deve fronteggiare l'emergenza, dare risposte pronte ad esigenze improvvise.
Dunque solo pochi possono governare. Anche se tutti devono poter valutare l'operato di chi governa. Una grande democrazia libera o è rappresentativa o non è. L'insieme di tante decisioni particolari e contingenti, pur se prese dai diretti interessati, non può prendere il posto della grande politica.

Chi considera questi temi non può non riflettere sugli eventi che hanno insanguinato il Novecento, secolo segnato dall'irrompere delle masse nella vita politica. Particolarmente significative le vicende che portarono alla formazione dell'Unione Sovietica. Purtroppo non tutti sanno che l'Impero zarista russo cadde nel febbraio 1917 per iniziativa di gruppi prevalentemente di orientamento socialista e liberale. Quindi non per effetto della Rivoluzione bolscevica capeggiata da Lenin, scoppiata solo otto mesi dopo, in ottobre. Alla fine del febbraio 1917 iniziò il primo e solo vero tentativo di costruire la democrazia in Russia. 
Una serie di governi di coalizione liberalsocialisti, il cui esponente più influente fu Aleksandr Kerenskij, abolì la censura e garantì le condizioni per una competizione democratica tra i partiti. Il colpo di stato dei bolscevichi nell'ottobre 1917 pose fine a questo straordinario esperimento democratico. L'Assemblea costituente democraticamente eletta, dove i bolscevichi erano in minoranza, definita da Lenin un'inutile fabbrica di chiacchiere, fu convocata e subito sciolta dai capi bolscevichi nel gennaio del 1918. Il futuro impero totalitario sovietico prese le mosse da qui, grazie al ritorno in Russia dall'esilio di Lenin, avvenuto con la collaborazione dei tedeschi, ma anche all'egemonia nei Soviet di Pietrogrado conseguita dai bolscevichi. I tradizionali percorsi democratico-elettorali, propri della democrazia liberale, capaci di esprimere la volontà del popolo russo, furono prima affiancati poi sostituiti dai consigli dei Soviet. 
Il progetto di far prevalere la volontà dei "migliori" conduce sempre alla perdita dei diritti e delle libertà democratiche.


Sulla democrazia contemporanea fondamentale è

Karl POPPER, La Società aperta e i suoi nemici

Invece la miglior storia dell'Unione Sovietica resta, a mio parere,

M. HELLER - A. NEKRIC, Storia dell'URSS dal 1917 a Eltsin

domenica 8 novembre 2009

Quando non si può giustificare. Il caso Sacharov.


Andrej Sacharov

Sono passati venti anni dalla caduta del Muro di Berlino. Assistiamo a celebrazioni retoriche e vuote, ma i giovani non sanno ciò che conta davvero e i meno giovani non lo dicono.  Quel Muro fu imposto dall'Unione Sovietica, un grande impero totalitario fondato sull'ideologia comunista. Quell'impero dominava direttamente mezza Europa ed esercitava una forte influenza sull'altra metà, attraverso gli intellettuali e i partiti che dai sovietici ricevevano direttive e finanziamenti.
Oggi alcuni degli intellettuali e dei politici allora legati più o meno apertamente all'Unione Sovietica, che ancora esercitano una notevole influenza, qualche volta pure titolari di altissime cariche pubbliche, si uniscono al coro della rievocazione di quell'avvenimento cruciale.
Queste conversioni come devono essere giudicate? Andrej Sacharov è stato un protagonista di quegli anni. Cittadino sovietico e fisico di altissimo livello, dopo la morte di Stalin e mentre Kruscev era al vertice dell'Unione Sovietica fu il padre di una generazione di armi nucleari sovietiche dalla potenza apocalittica, di gran lunga superiore a quella delle corrispondenti armi americane. Successivamente divenne il più lucido ed attivo dissidente sovietico, fino a meritare nel 1975 il Nobel per la pace.
Karl Popper inizialmente ne elogiò la condotta ed il coraggio come dissidente. Poi, una volta lette le memorie dello stesso Sacharov e di Kruscev, dopo aver saputo del suo ruolo fondamentale nella costruzione della potenza militare sovietica, lo condannò duramente. Riporto di seguito le parole di Popper, perchè offrono la possibilità di impostare una riflessione molto ampia. Scrive Popper:

"...un uomo come Sacharov, dotato di grande intelligenza,...sarebbe stato in condizione di vedere già allora come il sistema politico sovietico facesse di quel paese un luogo terribile....
Ma a quarant'anni non si può dire di un uomo che è troppo giovane per giudicare.
E' perfettamente vero che poi cambiò idea. Ma se un uomo a quarant'anni ti uccide e pochi anni dopo va in giro a dire che gli dispiace e che non avrebbe dovuto farlo, per questo non è più un assassino?
Io mantengo....un'opinione altamente positiva per l'ultima parte della vita di Sacharov, ma devo correggere, e me ne dispiace, il giudizio complessivo su di lui.
E devo dire che cominciò come un criminale di guerra e che non può essere giustificato in virtù di ciò che fece dopo".

Karl POPPER, La lezione di questo secolo, pagg. 23, 24 e 25, ed. 1992

lunedì 2 novembre 2009

Le lapidi sbiadite che parlano al cuore ed alla mente.


In questi giorni, secondo tradizione, ho visitato i cimiteri dove sono sepolti i miei familiari. Provo sempre dolente stupore quando il mio sguardo cade sulle tante vecchie lapidi, poste settanta, ottanta, cento e più anni fa, che ricordano e onorano bambini, adolescenti, giovani madri, morti prematuramente. In quegli anni ancora la mortalità infantile e per parto era assai elevata.
Il progresso scientifico e civile ha molto ridotto questi numeri. Dobbiamo però dare un senso concreto a questi concetti troppo astratti per aiutare a non ritornare a quella dolorosa normalità. Sono stati la disciplina, l'impegno, l'entusiasmo ed il genio dei singoli a realizzare quel progresso.
Vediamo purtroppo oggi, anche nelle società più avanzate, preoccupanti arretramenti e forme di disagio, soprattutto nelle grandi aree urbane. Non dimentichiamo mai che nessun miglioramento della condizione umana è possibile senza la disciplina e l'impegno individuali. Abbandonare questa ricetta tradizionale può costare molto caro.

giovedì 22 ottobre 2009

Il grande conflitto di interessi nel cuore della democrazia. Perchè la democrazia non è il migliore dei sistemi ma il minore dei mali.





Il cuore della democrazia è rappresentato dalla responsabilità politica dei governanti verso i governati.
Perchè un governo possa essere considerato democratico occorre non solo e non tanto che sia eletto dal popolo, ma soprattutto che si sottoponga al giudizio popolare dopo aver svolto la sua attività. Non sono quindi democratici i governanti eletti a vita.
Il maggior vantaggio offerto dai sistemi democratici consiste precisamente in questo: nella possibilità di sostituire i governi che hanno dato pessima prova di sè con il voto, senza dover ricorrere alla violenza, mediante procedure predefinite. Quanto invece alla possibilità di errore, tutti i governi possono sbagliare, democratici e non. Come pure può sbagliare l'elettorato nella scelta e nel giudizio.
Uno dei caratteri più importanti della democrazia viene raramente rilevato e discusso. Esiste infatti in essa un gigantesco conflitto di interessi, ineliminabile perchè congenito e coessenziale. I governanti e coloro che aspirano a governare hanno come loro interesse fondamentale, o lo percepiscono come tale, quello ad acquisire consensi per sè e per la loro parte politica. Ma il paese ha spesso bisogno di provvedimenti impopolari. Il suo interesse non raramente viene a trovarsi così in conflitto con l'interesse di chi ha bisogno del consenso per essere eletto. Questo conflitto tra interessi contrastanti può ridurre notevolmente l'efficienza di un sistema democratico.
E' molto facile attribuire da un lato ai politici cinismo e scarso senso dell'interesse pubblico, dall'altro agli elettori ignoranza, miopia, egoismo, insufficiente senso civico. Ma le situazioni hanno una loro logica alle quali è difficile sfuggire. In democrazia la ricerca del consenso è inevitabile. L'elettore si muove in un orizzonte temporale ristretto, pressato spesso da esigenze che chiedono una pronta soddisfazione. La grande politica pure esplora spazi angusti. I governanti devono fare i conti con tendenze e spinte pressoché incontrollabili, prigionieri frequentemente della loro stessa propaganda.
Quali dunque i governanti migliori? Quelli dotati di maggior tenacia, fantasia, flessibilità. Quelli capaci di comprendere la logica paradossale che regge la vita e la storia degli uomini.

venerdì 16 ottobre 2009

I viaggi di Tocqueville.





Alexis de Tocqueville è celebre per le sue grandi opere, la Democrazia in America e l'Antico Regime e la Rivoluzione. Ma sono straordinariamente importanti anche i suoi appunti di viaggio. Durante i suoi viaggi abitualmente annotava su quaderni impressioni, riflessioni, conversazioni e numeri. Si tratta di documenti preziosi, non solo per una miglior comprensione delle sue opere maggiori. Ci restituiscono infatti lo sguardo di uno dei più lucidi intellettuali europei dell'Ottocento su momenti, luoghi, personaggi e problemi che ancor oggi non possono non destare un vivo interesse.
Tocqueville visitò gli Stati Uniti e l'Inghilterra tra il 1831 ed il 1835. Nel suo Viaggio negli Stati Uniti troviamo, oltre alle acute osservazioni poi poste alla base della Democrazia in America, ritratti, colloqui, cifre ed una suggestiva descrizione dei solenni, selvaggi, intatti paesaggi di regioni non ancora trasformate dalla rivoluzione industriale e dall'incremento della popolazione.
Tra le note raccolte durante i suoi due viaggi in Inghilterra segnalo la descrizione di una seduta della Camera dei Lords, con il discorso di un imbarazzato ed esitante duca di Wellington, vincitore di Napoleone a Waterloo. Ricco di vivaci spunti anche il racconto della tumultuosa elezione di un deputato. Mentre di grande interesse è la rappresentazione degli abitanti, dei palazzi, delle capanne, delle vie e delle fabbriche, delle sconvolgenti contraddizioni della città di Manchester, luogo emblematico della rivoluzione industriale inglese.
Due agili libri di cui consiglio vivamente la lettura. Sono ancora reperibili nelle librerie in rete.


- Alexis de TOCQUEVILLE, Viaggio in Inghilterra.




domenica 11 ottobre 2009

Il Nobel ad Obama. Speranze mal riposte?

Si è oggi stipulato un accordo di "normalizzazione" dei rapporti tra Armenia e Turchia, alla presenza del segretario di stato USA Hillary Clinton. L'accordo, uno dei pochi risultati concreti in politica estera della presidenza Obama, in questi giorni in cui si celebra il Nobel obamiano acquista un significato particolare proprio per i tratti che ne hanno segnato il percorso realizzativo.
E' infatti un accordo internazionale che non presenta nulla di riconducibile all'affascinante retorica che caratterizza l'attuale presidente degli Stati Uniti. I due paesi contraenti sono già nella sfera di influenza americana per solide concretissime ragioni politico-strategiche. In particolare la Turchia vede negli USA lo storico patrocinatore del suo ingresso nell'Unione Europea, tanto desiderato dai governi turchi degli ultimi decenni. Mentre è la stessa Unione Europea a pretendere dai Turchi il miglioramento dei rapporti con i paesi vicini. E' in questo quadro di ricatti e consolidate influenze strategiche che l'accordo è faticosamente maturato.
Ma Obama deve fronteggiare ben altre difficoltà, in aree dove gli spazi di mediazione sono ridottissimi, se non addirittura inesistenti. Quando si hanno di fronte nemici implacabili ed irriducibili la retorica dei sogni e delle illusioni, passando per l'ipocrisia e la doppiezza, conduce o alla resa o ad un uso della violenza ben maggiore di quello che la franchezza avrebbe reso necessario.
Il Nobel per la pace al presidente degli Stati Uniti, mentre fornisce un'ulteriore prova della visione politica prevalente in certi ambienti, dà un segnale sbagliato all'opinione pubblica delle grandi democrazie, soprattutto ai giovani. Vengono premiati i sogni e non i risultati. Mentre si contribuisce a concentrare le speranze su iniziative in grado, nella migliore delle ipotesi, di precludere facili alibi agli avversari. Insomma mi pare che ci sia poco da festeggiare. Ma poiché non appartengo alla schiera dei fautori del "tanto peggio tanto meglio", che ritengo profondamente immorale, spero proprio di sbagliarmi. In bocca al lupo, presidente Obama!

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