Translate

domenica 13 dicembre 2015

Occupazione USA. Chi è bravo in matematica?



L'occupazione USA delude le aspettative. Nel 2015 è rimasta ferma poco sopra il 59%, significativamente lontana dai livelli pre-crisi, non corrispondendo alle speranze soprattutto nel settore manifatturiero, tra i pochi in grado di dare molto lavoro di buona qualità. Le ragioni di queste difficoltà sono diverse, ma va sottolineato il ruolo del capitale umano. In Italia la sua importanza è stata recentemente ribadita dal professor Luca Ricolfi, che così ha delineato i grandi fattori della crescita economica nel suo L'enigma della crescita:

"...la qualità del capitale umano  - in particolare sotto forma di padronanza delle conoscenze di base in matematica e scienze - è la forza fondamentale che può sostenere la crescita dei paesi OCSE".

"La seconda forza fondamentale è il saldo degli "investimenti diretti esteri"".

"La terza forza è la qualità delle "istituzioni economiche"..., ossia il fatto di avere buone regole di funzionamento dell'economia".

"La quarta forza fondamentale sono le "tasse",... il cui ruolo è però negativo, di rallentamento della crescita" (Op. cit., 2014, p. 46 e seg.).

Infatti negli Stati Uniti le competenze matematiche e scientifiche, come risulta dalle indagini PISA, sono tra le più basse rilevate nei paesi OCSE. Questo capitale umano, insieme ad altre insufficienti premesse, non consente un ampio incremento della manifattura di qualità. Si tratta di un deficit difficile da colmare. La scuola pubblica è in crisi, mentre aspirazioni e stimoli individuali spingono in altre direzioni.
Le misure adottate dalle banche centrali hanno tenuti bassi i tassi di interesse, premiando i cattivi debitori, non frenando l'incontrollato e devastante sviluppo del capitalismo del debito. Nessun incisivo intervento invece sui fattori di uno sviluppo sano e sostenibile, capace di dare buone occasioni di lavoro. Misure di questa efficacia  possono essere adottate solo da governi lungimiranti, sostenuti da una opinione pubblica educata e informata. Oggi cattivi governi e cattivi elettori prevalgono, prodotti dal declino dell'educazione e dell'istruzione. Una inversione di rotta sembra improbabile.

domenica 6 dicembre 2015

Dalla battaglia di Canne ai Balcani e alla Siria. Pensare la violenza.





Nel corso della Seconda guerra punica (216 a.C.) in Puglia, a Canne, l'esercito romano fu sconfitto da quello cartaginese. Una strage dai numeri impressionanti: tra i romani e i loro alleati italici i morti furono probabilmente quaranta - cinquanta mila. Una Italia allora popolata da meno di sei milioni di abitanti vide morire in quella battaglia quasi un italiano su cento, donne e bambini compresi.
Su Analisi Difesa del 3 dicembre 2015 il generale Leonardo Tricarico ha scritto:

" I meccanismi decisionali sulla legittimità degli obiettivi prima e sul tipo di intervento poi, sono tuttora fattori tranquillizzanti che la forza della Nato (o da essa guidata) sia applicata nella misura minima indispensabile e nel rispetto dei principi umanitari da tutti condivisi ma sempre meno rispettati. Nei Balcani nel 1999, con questa filosofia, si registrarono "solo" 370/430 vittime innocenti dopo ben 30.004 missioni di bombardamento, perdite tutte causate da malfunzioni dei sistemi d'arma o, in un paio di casi, da intelligence inaccurata. Mai però da indisciplina, negligenza o trasgressione delle regole di contenimento del danno".

" Oggi invece nei filmati diffusi dai russi stessi dopo i bombardamenti in Siria, a fine settembre, si notano chiaramente gli impatti di alcune Cluster Bombs (le bombe a grappolo, messe al bando da larga parte della comunità internazionale) o lo sgancio in quantità di bombe da 2000 libbre senza alcuna unità di guida, cioè il dispositivo che assicura la precisione all'impatto. 
Si torna insomma, seppure in scala limitata, a "radere al suolo" più che a intervenire chirurgicamente, e ciò che è più disdicevole è che lo si fa per contenere i costi dei bombardamenti e non per l'indisponibilità della tecnologia di precisione. Anche altri paesi non sembrano più molto attenti alla questione. Gli stessi Stati Uniti si lasciano andare talvolta a tragici errori (vedasi la strage dell'ospedale di MSF (Medicins Sans Frontieres) a Kunduz del 3 ottobre, frutto di una serie di errori, compreso il cattivo coordinamento tra l’aereo e le forze speciali sul terreno) o danno l'impressione di avere il grilletto facile".

"Oggi più che in passato, la tentazione di risolvere con le armi questioni che in senso stretto non sono catalogabili come guerra è costantemente dietro l’angolo. Nel contempo manca la percezione che anche la coalizione militare più vasta, determinata e coesa non sarebbe in grado di venire a capo di operazioni belliche a causa di una dottrina di impiego della forza inadatta a colmare le asimmetrie tra un esercito regolare e forze di diversa natura, quali le formazioni terroristiche. Prima di avventurarsi in altre iniziative conflittuali fallimentari, va pertanto fatta una riflessione collettiva sugli aspetti tecnici, giuridici ed etici che contraddistinguono gli scenari  che ormai si ripresentano  con le medesime caratteristiche ed in termini sempre più drammatici  in diverse aree geografiche". 

Da un professionista della violenza arriva una lucida riflessione sui suoi limiti, mezzi e obiettivi. Se non si può accogliere un pacifismo assoluto, che pone le premesse della guerra o di una pace disumana, si deve però accettare la violenza senza rinunciare alla ragione e all'umanità.  La differenza è fatta da valori e intelligenza, non solo e non tanto dagli strumenti.

domenica 29 novembre 2015

QE. La liquidità in trappola.




Su Il Sole 24 ORE del 23 novembre 2015 Vito Lops esamina le difficoltà del quantitative easing europeo:

" Leggendo il bilancio della Bce emerge che le banche dell’Eurozona hanno parcheggiato presso la Bce l’80% della liquidità immessa attraverso il «Qe». Come riporta uno studio di Lyxor, difatti, la gran parte della liquidità del «Qe» non è stata ancora utilizzata".

"Ma, a quanto risulta, le banche private preferiscono restare sedute su una pila di costosi contanti parcheggiati presso la Bce, piuttosto che iniettarli nell’economia reale completando così la cinghia di trasmissione". 

"In realtà non ce la si può prendere con le banche europee. Queste siedono sì su una montagna di liquidità inutilizzata ma devono anche fare i conti con una montagna di crediti deteriorati da smaltire (solo le banche italiane ne hanno in pancia circa 200 miliardi). La verità è che gli ultimi anni di crisi hanno deteriorato il rating medio (livello di solvibilità) di famiglie e imprese europee e quindi gli istituti, pur essendo spronati in tutti i modi dalla Bce ad erogare, lo stanno facendo in modo molto prudenziale, proprio per non accrescere la quota di crediti deteriorati".

"Se poi si osserva lo stock di mutui e non solo il flusso delle nuove erogazioni, rispetto all’anno scorso è rimasto praticamente invariato: quindi i nuovi mutui sono andati a compensare quelli che si sono estinti".

"Situazione ancor più problematica per quanto riguarda i prestiti alle imprese. Il fatto che l’80% della liquidità pompata dalla Bce esca dalla porta ma rientri dalla finestra fotografa semplicemente che l’economia dell’ Eurozona non è in grado di assorbirla per buona parte, che imprese e famiglie dopo anni di crisi hanno un livello di affidabilità inferiore rispetto al passato".

L'esito fallimentare era prevedibile: nell'economia globale i produttori italiani perdono la sfida lanciata da altre aree. I motivi sono noti. Pressione fiscale e contributiva insostenibile, burocrazia, capitale umano inadeguato, insufficienti stimoli all'impegno individuale, incertezza del diritto penalizzano le imprese, allontanano gli investitori privati e ostacolano la ripresa dell'occupazione. 
Qualora, saltando ogni mediazione, si trasferisse direttamente nelle tasche di imprenditori e altri consumatori la liquidità creata dalla BCE, l'economia reale non ne trarrebbe significativi vantaggi. Sarebbero infatti acquistati soprattutto prodotti e servizi esteri, più convenienti. L'eventuale aumento dell'inflazione colpirebbe le fasce più deboli della popolazione.
Occorre abbattere spesa pubblica e pressione fiscale, ridurre la burocrazia e aumentare l'efficienza della pubblica amministrazione, dare un assetto produttivistico al welfare e alle regioni rendendoli sostenibili, incrementare certezza e semplicità del diritto, aggredire la criminalità organizzata, migliorare il capitale umano diffondendo le competenze  matematiche, tecniche e scientifiche, regolare i flussi migratori, rendere effettiva la concorrenza interna in ogni settore.
Di questo ha bisogno l'economia reale. Però i governanti sono stati eletti da un blocco elettorale in cui pensionati, dipendenti pubblici e beneficiari di grandi e piccoli privilegi esercitano un ruolo decisivo. Non prenderanno le misure necessarie ma capaci di irritare la loro base elettorale.

sabato 21 novembre 2015

Scienza e società aperta. Comprendere l'impresa scientifica.





In questi giorni in cui il terrore invade la cronaca si sente spesso un'affermazione suggestiva ma oggi lontana dalla realtà: il terrore si fronteggia con la cultura. La vuota retorica che segna tale affermazione si coglie considerando da un lato la necessità di misure militari e di polizia, dall'altro l'inadeguatezza del dibattito pubblico e dell'offerta culturale.
Sui media si parla di scienza senza indagare criticamente i suoi successi, le sue rivoluzioni, i suoi fallimenti. Descrivere l'impresa scientifica, frutto migliore del pensiero, significa invece dar conto della fallibilità e della grandezza umana, delle condizioni che rendono possibile il progresso civile ed economico, dell'importanza delle tradizioni, del ruolo delle idee e della libertà. In questo senso è da accogliere ciò che ha scritto Karl Popper:

"Una società aperta, cioè una società basata sull'idea che non solo si deve tollerare le opinioni dissenzienti, ma le si deve anche rispettare, e una democrazia, cioè una forma di governo votata alla protezione della società aperta, non possono fiorire se la scienza diventa il possesso di un circolo esclusivo di specialisti" (Karl POPPER, Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, 1984, p. 158).

Da leggere, cominciando dall'ottima introduzione alla materia di David Oldroyd:

- D. OLDROYD, Storia della filosofia della scienza

- K. POPPER, Congetture e confutazioni

- K. POPPER, Scienza e filosofia

- K. POPPER, La ricerca non ha fine

- K. POPPER, Il mito della cornice

- I. LAKATOS, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici

- T. S. KUHN, La struttura delle rivoluzioni scientifiche

- P. K. FEYERABEND, Ammazzando il tempo. Un'autobiografia

- I. LAKATOS - P. FEYERABEND, Sull'orlo della scienza

- I. LAKATOS - A. MUSGRAVE (a cura di), Critica e crescita della conoscenza

domenica 15 novembre 2015

Italia. Tra il dire e il fare gli ordini di grandezza.

IL re è nudo.

Su Il Sole 24 ORE dell'8 novembre 2015 Luca Ricolfi riflette sui numeri della crisi italiana e sull'adeguatezza delle misure proposte. Gli interventi devono essere commisurati alla gravità dei problemi.

"In questo balletto degli zero-virgola, quel che si rischia di perdere è la percezione dell’effettivo ordine di grandezza dei cambiamenti di cui si parla e, soprattutto, dei cambiamenti che sarebbero necessari. I paesi che hanno cambiato qualcosa nei propri fondamentali non hanno spostato qualche decimale, ma hanno spostato qualche punto nelle grandezze chiave: una riduzione della spesa, o della pressione fiscale, o del deficit, comincia ad essere apprezzabile, ossia incisiva, quando è di almeno 1 punto di Pil".

"Insomma, mi spiace metterla in modo così crudo, ma qui stiamo parlando di “quisquilie e pinzillacchere”, per dirla con Totò".

"Ma il bilancio è magro anche per una ragione più fondamentale, cui l’ottimismo governativo pare del tutto insensibile: i posti di lavoro che ci mancano sono circa 7 milioni. Un milione perché tanti ne abbiamo persi durante la lunga crisi del 2007-2014, e altri 6 milioni perché questa, già prima della crisi, era la nostra distanza dalla normalità, ossia dal tasso di occupazione medio dei paesi Ocse. E 7 milioni di posti fanno qualcosa come 10 punti in più nel tasso di occupazione. Ecco perché, quando vedo presentato come un grande risultato un aumento di qualche decimale del tasso di occupazione, o un aumento di qualche decina di migliaia di posti nel numero di occupati, penso che abbiamo smarrito il senso degli ordini di grandezza. A questo ritmo, e sempre che non intervengano nuove crisi e battute d’arresto, saremo un paese normale fra circa 30 anni, quando Renzi avrà superato i 70. Possiamo aspettare tutto questo tempo?".

L'inadeguatezza delle misure proposte e del dibattito pubblico emerge chiara considerando l'ampiezza dei problemi. L'inadeguatezza è del resto il segno che contraddistingue oggi governi, notabili ed intellettuali delle democrazie occidentali. Anche il sangue versato in questi giorni a Parigi ne è conseguenza. Tale inadeguatezza è culturale e morale. Non si capisce e non si vuole, ma la realtà spregiata sempre si impone.

domenica 8 novembre 2015

Scuola italiana. Le fragili fondamenta di un paese in declino.





Su Il Corriere della Sera del 6 novembre 2015 Ernesto Galli della Loggia ha denunciato le gravi condizioni in cui versa la scuola italiana. Le grandi agenzie educative che hanno determinato l'affermazione e lo sviluppo delle democrazie occidentali sono state la famiglia, le chiese cristiane e la scuola. Tali agenzie sono oggi in crisi in tutti questi paesi, ma la situazione peggiore è quella dell'Italia. Il declino italiano si spiega anche e soprattutto così. La scuola italiana non è più in grado di educare il cittadino e di formare il produttore. La libertà responsabile e le necessarie competenze matematiche, scientifiche e tecniche non vengono più adeguatamente acquisite dai giovani del nostro paese. Scrive il professor Galli della Loggia:

"Perché da noi il disciplinamento sociale si mostra così debole? Perché da noi non funzionano quei meccanismi che servono a ricordare nelle più svariate occasioni che «non si può fare come si vuole», che ci sono delle regole necessarie alla convivenza per ogni violazione delle quali ci sono delle sanzioni? E perché queste non sembrano preoccupare nessuno? Un principio di risposta va cercato nella crisi profondissima che in Italia ha colpito da decenni (insisto: da decenni) la scuola, la quale - stante il forte indebolimento dell’istituto familiare, dell’influenza religiosa e la fine del servizio di leva - è divenuta da molto tempo l’agenzia primaria se non unica del disciplinamento sociale degli italiani: con esiti che sono sotto gli occhi di tutti". 

"... ormai non sono affatto rari i casi, già nelle scuole medie, non solo di aperta irrisione e insofferenza da parte degli studenti verso gli insegnanti, ma addirittura di minacce e insulti nei loro confronti: e quasi sempre senza che ciò produca sanzioni degne di questo nome (il caso della sospensione inflitta l’altro ieri in una scuola del Torinese a una quindicina di allievi, è la classica eccezione che conferma la regola). Da tempo infatti nella scuola italiana - complici l’aria dei tempi, la voglia di non avere fastidi, l’arroganza di molti genitori inclini a proteggere sempre il «cocco di casa» anche se è un teppista in erba - da tempo, dicevo, domina un permissivismo distruttivo e frustrante".

"Un permissivismo che prende, tra le molte altre, la forma della promozione d’ufficio. Certo, non è scritta da nessuna parte (almeno suppongo), ma di fatto vige la regola che nella scuola dell’obbligo, cioè fino alla terza media, è vietato bocciare. L’effetto di tutto ciò è che in generale il meccanismo didattico risulta privo di quello che da che mondo e mondo è il solo, vero (e infatti altri finora non ne sono stati inventati), strumento di sanzione. Ma ancora più importante, però, è che dominata da un tale meccanismo perverso, la scuola finisce inesorabilmente per perdere ogni reale capacità di insegnare qualcosa...oggi termina la scuola dell’obbligo un grandissimo (insisto: grandissimo) numero di studenti incapaci di scrivere correttamente in italiano, di fare il riassunto di un testo appena complesso, di risolvere un pur non difficile problema di matematica".

"Da almeno due o tre decenni i giovani italiani crescono e si socializzano in questo ambiente scolastico. Qui apprendono che cos’è la cultura, cosa sono le regole, che cosa l’autorità, e che conto tenerne. In piccolo imparano insomma come funziona il loro Paese: ci si può meravigliare se poi, quando crescono, si regolano di conseguenza?".

Parole chiare, largamente condivisibili. Ma ormai si tratta di un danno irreversibile. Come possono insegnanti formati in questo clima trasferire alle nuove generazioni valori e competenze che non hanno?

domenica 1 novembre 2015

Crisi. Le banche centrali e l'economia reale.





Ormai anche sui grandi media che abitualmente lodano l'operato delle banche centrali si fa strada qualche lucida voce critica. Su Il Sole 24 Ore del 28 ottobre 2015 Morya Longo delinea un'economia reale ormai refrattaria agli stimoli monetari:

"Sui mercati finanziari si inizia dunque a dubitare dell’efficacia di questi poderosi sforzi da parte delle banche centrali. Nessuno nega che senza una politica monetaria globale così espansiva oggi la situazione sarebbe molto peggiore, ma tanti iniziano a pensare che ci sia una eccessiva sproporzione tra lo sforzo monetario e il risultato economico raggiunto. Dal 2009 le banche centrali del mondo hanno infatti tagliato i tassi 626 volte e hanno stampato molte migliaia di miliardi di dollari, ma oggi sono ancora costrette a aumentare lo sforzo. Come se non bastasse mai".

"Ecco perché sul mercato inizia a farsi largo la sensazione che crescita, inflazione e lavoro fatichino a riprendersi anche per motivi strutturali, non solo congiunturali. Lo pensa Antonio Cesarano, economista di Mps Capital Market: «Il quantitative easing è un tentativo di rimettere in moto il motore, pur sapendo che qualcosa di strutturale è cambiato»".

"Lo scrive anche Albero Gallo, economista di Rbs: «Se il mercato del lavoro fiacco, i salari polarizzati e la conseguente bassa inflazione sono strutturali, allora gli stimoli ciclici non possono risolvere i problemi». Insomma: se i nodi economici che affliggono il mondo non sono solo legati alla congiuntura ma a fenomeni molto più profondi come la demografia, la globalizzazione e la digitalizzazione, allora non è stampando moneta che si mettono a posto le cose. Magari si evita che peggiorino. Ma senza una efficace politica economica da parte dei Governi, senza uno sforzo strutturale maggiore di quello attuale, non si raggiungono i risultati".

"Questi imprevedibili cambiamenti epocali potrebbero insomma modificare il volto all’economia mondiale e potrebbero rendere strutturalmente vani i super-sforzi delle banche centrali. Il rischio è che combattano contro un nemico diverso dal passato con armi che diventano meno efficaci, creando bolle sui mercati ma modesti risultati sull’economia reale".

Manca nella analisi di Longo un adeguato accenno all'espansione fuori controllo del debito pubblico e privato, fattore scatenante della crisi scoppiata nel decennio precedente.  Ma il richiamo alla situazione dell'economia reale coglie nel segno. Poco o nulla invece sui possibili rimedi. Cosa fare per spingere la grande liquidità che segna i mercati finanziari verso l'economia reale? Come ripristinare  condizioni favorevoli agli investimenti privati? I possibili rimedi sono noti da tempo: ridurre il peso del welfare dandogli un assetto produttivistico, diminuire il perimetro pubblico, la spesa pubblica e la pressione fiscale, rendere effettiva la concorrenza in tutti i settori, diffondere le competenze matematiche, scientifiche e tecniche, regolare i flussi migratori, uniformare le regole per tutti gli operatori, incrementare la certezza del diritto.
Solo i governi possono intraprendere questo difficile percorso. Ma ai probabili vantaggi corrisponderebbe la delusione dei tanti elettori che hanno tratto beneficio da privilegi, credito facile, ingiustificata ampiezza del settore pubblico, speculazione finanziaria, welfare generoso. Un nuovo blocco elettorale, che sorga dall'alleanza tra merito e bisogno, deve imporre una svolta a rappresentanti politici poco inclini a decisioni coraggiose.

domenica 25 ottobre 2015

Democrazia. Cattivi elettori, cattivi governi.



L' Istituto Bruno Leoni lodevolmente presenta un articolo di Diego Gabutti, da Italia Oggi del 20 ottobre 2015, che sui politici democratici cita Jorge Luis Borges:

«Nessun politico può essere una persona onesta. Un politico sta cercando degli elettori e dice quel che gli elettori s'aspettano che dica. La professione dei politici è mentire: Il caso d'un re è diverso. Un re è qualcuno che riceve questo destino, e poi deve compierlo. Un politico no, un politico deve fingere e sorridere, simulare cortesia, deve sottomettersi malinconicamente ai cocktail,agli atti ufficiali, alle ricorrenze patrie. E uno specchio o l'eco di ciò che altri pensano».

Borges coglie un difetto della democrazia che la vizia in profondità, compromettendone spesso l'efficienza. Lucidamente  Karl Popper osservò che il suo grande vantaggio risiede infatti nella possibilità che offre di eliminare i cattivi governi senza spargimento di sangue. Ma cosa si può fare per migliorare le prestazioni dei governanti democratici? Se un politico "dice quel che gli elettori s'aspettano che dica" allora bisogna fare in modo che gli elettori chiedano non illusioni, ma verità, efficienza, responsabilità. Pare insomma fondamentale il ruolo dell'educazione e della formazione del cittadino. Un cittadino educato alla verità e alla responsabilità le pretenderà a sua volta dai suoi rappresentanti. L'importanza dell'educazione è ben sottolineata nel grande pensiero liberale. Karl Popper e Tocqueville la posero al centro delle loro riflessioni, mentre Montesquieu scrisse:

"E' nel governo repubblicano che si ha bisogno di tutta la potenza dell'educazione...la virtù politica è una rinuncia a sè, cosa che è sempre molto penosa. Si può definire questa virtù, l'amore delle leggi e della patria. Quest'amore, richiedendo una preferenza continua verso l'interesse pubblico in confronto al proprio, conferisce tutte le virtù particolari: esse non sono altro che tale preferenza. Quest'amore è particolarmente legato alle democrazie. Soltanto in esse il governo è affidato ad ogni cittadino" (MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Capitolo quinto).

Se gli Italiani fossero stati educati e formati adeguatamente avrebbero sommaria consapevolezza, ad esempio, della composizione e dell'ammontare della spesa pubblica, dei numeri dell'occupazione e della pressione fiscale, delle grandezze in gioco. Sorriderebbero dunque delle affermazioni dei loro rappresentanti politici.

domenica 18 ottobre 2015

Israele - Palestina. Sempre più evidente il conflitto religioso.




Maurizio Molinari su La Stampa del 18 ottobre 2015 sottolinea i tratti religiosi dell'Intifada dei coltelli che insanguina Israele:

"Attacchi alla Grotta dei Patriarchi, attentati alla tomba di Simone il Giusto, agguati nei pressi del luogo del primo Tabernacolo, l’incendio alla Tomba di Giuseppe, scontri nella Valle di Kidron e la moschea di Al Aqsa come incandescente contenzioso: l’Intifada dei coltelli ha per protagonisti i luoghi santi assegnando a questa rivolta palestinese un carattere religioso che la distingue dal nazionalismo delle precedenti sollevazioni anti-israeliane, nel 1987 e 2000".

"Il Movimento islamico della Galilea ha creato i gruppi di «Morabitun» - le sentinelle coraniche, divise in unità di uomini e donne - per difendere Al Aqsa dai «sacrilegi» e Hamas ha coniato l’espressione «Intifada di Al Aqsa», con il proprio leader politico Ismail Hanyeh, per impossessarsi dell’intera rivolta".

In realtà tra Israeliani e Palestinesi il conflitto è da sempre anche religioso. Già quando prevalevano leader palestinesi laici e nazionalisti la pace era resa impossibile da fattori religiosi. Nessuno di tali leader poteva rinunciare al ritorno in Israele dei palestinesi usciti dai suoi confini dopo la fondazione del nuovo stato. Ma soprattutto nessun capo palestinese, oggi come allora, anche dalla più tiepida fede islamica, può riconoscere davvero e senza riserve uno stato ebraico che comprenda territori abitati o un tempo abitati da musulmani.
Quella tra Israeliani e Palestinesi è fin dall'inizio una contrapposizione non componibile. Le grandi potenze che hanno consentito ai due nazionalismi religiosi di porre le premesse del conflitto sono responsabili del sangue versato.

sabato 10 ottobre 2015

Crisi. Si salvi chi può, nessuno si salva.




 Phastidio.net, dando conto delle difficoltà dell'Ilva, tocca temi fondamentali per la comprensione della crisi in atto:

"Per l’industria italiana è un momento delicato: perdere l’acciaio equivarrebbe ad un duro colpo al tessuto industriale del paese, oltre che alla nostra bilancia commerciale. Già il fatto che le nostre importazioni di acciaio siano aumentate, nella prima parte dell’anno, del 4,2% dalla Ue e del 32% da extra-Ue è ben più di un campanello d’allarme che rischia di diventare campana a morto, per la fuga di clienti dall’Ilva. Facciamo a capirci: non è che si debba diventare protezionisti, se la propria industria domestica opera con strutture di costo insostenibili. Ma serve comunque essere consapevoli che le condizioni competitive, in alcuni settori globali, non sono un level playing field. , e che dove c’è sovracapacità globale il rischio di esiti traumatici è ancor più elevato. Più in generale, l’intera industria europea farebbe bene a prendere coscienza che la Cina è ormai divenuta “altro”: un po’ meno prateria per la manifattura occidentale, molto più un potente generatore di deflazione globale".

"Le condizioni di ampia e crescente sovracapacità produttiva di molti settori industriali cinesi rappresentano una costante minaccia deflazionistica per l’economia mondiale. I cinesi potrebbero decidere di dare l’assalto ai mercati globali per saturare la propria capacità produttiva, e di farlo con vendite a prezzi inferiori ai costi di produzione, contando sulla presenza pubblica e sui sussidi che essa implica".

" Finché Pechino non gode dello status di economia di mercato nella WTO, è più facile che subisca dazi compensativi da parte di paesi che vogliono difendersi dai tentativi di rottura di prezzo sui propri mercati domestici: diversamente, tutto diverrebbe più difficile".

Sussidi pubblici ai produttori, dazi e svalutazioni compensativi, quantitative easing che sorregge i cattivi debitori. Il generale "si salvi chi può!" si risolve nella generale adozione di queste e altre analoghe misure distorsive che non migliorano stabilmente le condizioni dell'economia reale. Si salvi chi può, ma nessuno si salva davvero.
Occorre invece ripristinare una corretta allocazione delle risorse colpendo la speculazione finanziaria e le forme perverse di intervento pubblico, applicare regole certe e comuni a tutti gli operatori dell'economia globale, riportare l'attenzione dei governi e dell'opinione pubblica sui reali fattori di crescita: investimenti privati, pressione fiscale, peso e obiettivi del welfare, capitale umano, efficienza della pubblica amministrazione.
Sempre più individui e famiglie restano indietro, rischiano l'esclusione. E'fondamentale che la protesta vada nella giusta direzione.


Visite