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domenica 6 settembre 2015

Italia. I consumatori premiano i produttori esteri.




La crisi italiana, nonostante la martellante propaganda, continua a presentare tratti peculiari, configurandosi con sempre maggiore evidenza come crisi dell'offerta prima che della domanda. Una vitale e sana ripresa dei consumi può essere sostenuta soltanto da un aumento della competitività. Solo buoni produttori possono essere buoni consumatori.
Francesco Daveri su  lavoce.info del 1 settembre 2015 rileva che in Italia i consumatori premiano i produttori esteri e delinea i motivi della inadeguatezza dell'offerta italiana:

" Nel complesso, dunque, la domanda interna ed estera del settore privato vanno piuttosto bene e, sommate insieme, crescono dello 0,4 per cento, cioè di un’incollatura in più rispetto al Pil (che fa registrare, come detto, un +0,35). Ma questa accresciuta domanda viene soddisfatta più che in passato da produzione estera (le importazioni, in crescita del 2,2 per cento nel secondo trimestre 2015, e del 2 per cento nel semestre) anziché da produzione interna (il Pil). Se a soddisfare la domanda di famiglie e imprese sono produttori esteri, il volume di produzione industriale e dei redditi generati in Italia ne soffre per forza. E il Pil cresce meno di quanto potrebbe".

" A pesare sull’aumento delle importazioni è però anche la perdita di competitività subita dall’Italia negli anni della crisi (per la minore produttività a fronte di salari che hanno continuato a crescere sia pure in misura minore che in passato), solo parzialmente compensato dal deprezzamento dell’euro degli ultimi dodici mesi. Siccome l’andamento dell’euro sembra essersi stabilizzato, diventa ancora più urgente ristabilire le condizioni per un recupero di convenienza a localizzare la produzione entro i confini nazionali: riducendo davvero tutte le imposte, accelerando la soluzione dei contenziosi nella giustizia civile e completando le riforme in cantiere per rendere la pubblica amministrazione e la scuola sempre più al servizio degli utenti. Ben di più che politiche di sostegno alla domanda".

Le considerazioni del professor Daveri consentono di dar conto dell'occupazione in Italia. In questa prospettiva Thomas Manfredi su linkiesta.it del 2 settembre 2015 osserva:

"È importante tenere a mente che, in assenza di crescita del prodotto, l’aumento di occupazione che eventualmente si ricaverebbe sottintende una crescita della produttività ancora vicina allo 0 se non negativa. Se le ore lavorate, infatti, aumentano più del prodotto, il rapporto fra le due variabili, che definisce la produttività, non può decrescere. Come si possa credere di creare occupazione stabile e di qualità con una produttività stagnante rimane uno dei misteri che i tanti urlatori di dati sul mercato del lavoro dovrebbero, a un certo punto, svelare".

Occorre dunque intervenire  incisivamente sul lato dell'offerta: riformare il welfare in senso produttivistico rendendolo sostenibile, ridurre la pressione fiscale, migliorare il capitale umano diffondendo le competenze matematiche, tecniche e scientifiche, alleggerire il peso della burocrazia. Questo gli elettori devono chiedere a chi aspira a rappresentarli.

domenica 30 agosto 2015

Di chi è la colpa? Dalle responsabilità alle possibili soluzioni.




Uno dei più gravi e stringenti segnali del declino che colpisce la maggior parte delle democrazie occidentali è costituito dal dibattito pubblico fuorviante e inefficace. Ha colto nel segno il professor Luca Ricolfi che su Il Sole 24 Ore del 15 agosto ha denunciato lo spostamento delle responsabilità in atto:

"Non avendo il coraggio di dire di no ai nostri figli, ce la prendiamo con le cattive compagnie, gli spacciatori, i gestori delle discoteche, i controlli insufficienti, le forze dell'ordine. Non avendo né l'intenzione né la possibilità politico-militare di normalizzare il nord-Africa ce la prendiamo con l'egoismo dell'Europa e l'incapacità del governo italiano di accogliere tutti dignitosamente. Un mix di rassegnazione e di paternalismo indirizza la nostra indignazione verso i bersagli più alla nostra portata".

"Diamo per scontato che i popoli dell'Africa non sappiano auto-governarsi, come diamo per ineluttabile che i giovani siano attratti dalla movida e dallo sballo. Succede lo stesso nella scuola, dove non si consuma alcun dramma ma da decenni assistiamo alla medesima sceneggiata. Con tutta evidenza il problema di base è che gli studenti non studiano, e non lo fanno per la semplice ragione che alla maggior parte dei genitori interessa solo il pezzo di carta e la serenità dei figli. E tuttavia torme di quei medesimi genitori, assetati di vacanze e intrattenimento, non trovano di meglio che mettere alla sbarra gli insegnanti, evidentemente incapaci di motivare a sufficienza i loro figli".

"Una sorta di strabismo etico ci fa distogliere lo sguardo dai veri responsabili dei drammi piccoli e grandi del mondo, e indirizza il nostro bisogno di “individuare i colpevoli” solo sui colpevoli facilmente perseguibili o stigmatizzabili, anche quando sono semplici comparse".

Nel caso dei vertici della Chiesa cattolica gioca un importante ruolo una discutibile applicazione dell'etica della responsabilità che i cattolici lodevolmente adottano. Secondo questo principio,  tanto caro a Karl Popper, dobbiamo scegliere ponendo sempre attenzione alle prevedibili conseguenze delle nostre decisioni. Alcuni tra i principali pastori della Chiesa evidentemente ritengono che accusare duramente e direttamente i responsabili di eclatanti crimini di massa, mettendo in luce le loro reali motivazioni, produrrebbe un aumento delle violenze, delle distruzioni e delle persecuzioni.
 Si tratta in realtà di valutare se il tempestivo impiego di una forza militare soverchiante, soprattutto in presenza di convinzioni religiose chiaramente legate al successo militare, sarebbe potuto essere vantaggioso, proprio sotto il profilo umanitario, rispetto all'attuale approccio contraddittorio ed esitante.
Analoghe considerazioni possono risultare appropriate relativamente agli altri contesti  delineati. Del resto il severo richiamo alla responsabilità individuale non è estraneo alla Tradizione cattolica. Basti citare san Paolo, che richiamò i cristiani di Tessalonica con queste parole:

"chi non vuol lavorare neppure mangi" (Tessalonicesi 2 - 3,10).

Una corretta attribuzione delle responsabilità pare insomma la necessaria premessa di una fruttuosa ricerca di possibili soluzioni, pur nella consapevolezza che ciò che risulta vantaggioso per alcuni danneggia nel contempo altri. Bisogna scegliere.

domenica 23 agosto 2015

Economia del debito. La toppa è peggiore del buco.



Sul Corriere della Sera del 22 agosto 2012 Federico Fubini delinea la tendenza della crisi economica mondiale, nata dal debito pubblico e privato e resa ancora più esplosiva dal suo incremento fuori controllo:

"L’obiettivo dei banchieri centrali - centrato in gran parte - era placare il panico, ridurre i tassi d’interesse, evitare una corrosiva deflazione dei prezzi. Ma pochi all’inizio si sono chiesti esattamente dove sarebbero finiti quei soldi, una volta in circolazione. Ora che siamo più vicini al primo aumento dei tassi d’interesse della Fed in dieci anni, lo sappiamo. Lo si vede nei tremori dei Paesi emergenti, dove si teme la fine dei finanziamenti esteri a basso costo che per anni hanno sostenuto intere economie".

"Quella coltre protettrice di denaro...ha permesso al Brasile, o al Messico, o all’Indonesia di rinviare la resa dei conti con i problemi di casa: infrastrutture inadeguate, corruzione dilagante, Stato di diritto inaffidabile". 

"Da lì viene però anche il secondo filo rosso che lega la crisi di Wall Street a questi giorni. Nel novembre 2008, il premier di Pechino Wen Jiabao reagì al crash di Lehman Brothers con un maxi-pacchetto di stimolo per evitare che la Cina finisse aspirata nella recessione americana. Varò un piano da 470 miliardi di dollari per costruire nuove città, raddoppiare la capacità produttiva di pannelli solari, auto o acciaio. È stata una stagione di ulteriori eccessi negli investimenti improduttivi: città fantasma, aeroporti vuoti, stock di prodotti accatastati ad arrugginire nei porti della costa. In pochi anni il debito totale della Cina (banche escluse) è salito dal 140% al 248% del Pil. Ormai la seconda economia del mondo è costretta a frenare, e con essa anche la domanda globale di petrolio, rame, grano o legumi, i cui prezzi infatti stanno crollando".

Nei grandi paesi emergenti, o recentemente emersi, la gravità del problema appare con violenta evidenza. Da Il Sole 24 Ore del 23 agosto 2015:

"...i principali fattori che determinano la capacità di un’economia emergente di emergere veramente, in modo sostenibile, sono la politica, le policy e l’operato delle istituzioni di governance. Per essere più precisi, anche se i Paesi possono cavalcare le ondate di crescita e sfruttare i cicli delle materie prime nonostante istituzioni politiche disfunzionali, il vero e proprio banco di prova si presenta nei periodi meno propizi, quando un Paese deve invertire la rotta".

"Nessuna delle democrazie di Brasile, Indonesia, Turchia e Sudafrica sta riuscendo ad assolvere uno dei compiti basilari per qualsiasi sistema politico: mediare tra gruppi d’interesse confliggenti per permettere che prevalga un interesse pubblico più ampio che permetta all’economia di evolvere in modo flessibile, in modo che le risorse siano trasferite da impieghi che sono diventati infruttuosi ad altri con maggiori potenzialità. Un’economia bloccata, che non permette una tale distruzione creativa e un tale adattamento alle nuove circostanze, non potrà crescere in modo sostenibile".

Una profonda crisi provocata dall'insostenibilità del debito pubblico e privato è stata tamponata incrementandolo e favorendo i peggiori debitori, determinando così una rovinosa allocazione delle risorse. La più difficile e impopolare alternativa era ed è rappresentata dalla paziente ricostruzione dei fattori di una sana e vitale crescita dell'economia reale. Riduzione della spesa pubblica consentita dalla creazione di un welfare sostenibile e orientato a favorire la produzione, conseguente diminuzione della pressione fiscale, miglioramento del capitale umano con la diffusione delle competenze matematiche, scientifiche e tecniche, riforma delle regole del mercato e delle istituzioni economiche, diretta a disincentivare la speculazione e a permettere una virtuosa allocazione delle risorse imperniata sull'aumento degli investimenti privati. 
Queste le misure necessarie che un governo lungimirante dovrebbe realizzare. I governi di quasi tutti i paesi hanno invece scelto un approccio monetario di ispirazione macroeconomica, spesso mal consigliati da economisti non stimabili eppure stimati. La politica per l'ennesima volta non ha conseguito i propri obiettivi fondamentali. Chi lavora o cerca un lavoro che non c'è scoprirà amaramente che la toppa è peggiore del buco.

sabato 15 agosto 2015

Mezzogiorno. Perseverare è diabolico.




       Il Mezzogiorno non riesce a superare lo stallo, una arretratezza che non ha trovato rimedio. Nicola Rossi su Il Foglio del 7 agosto 2015 delinea con lucidità i termini della questione:

"...bisogna essere fermi agli anni 80 per pensare che il problema del Mezzogiorno sia un problema di risorse (e anche allora i dubbi non mancavano). Bisogna aver passato gli ultimi vent'anni su Marte per pensare che la soluzione stia nei contratti di sviluppo o nel supporto pubblico ad attività economiche spesso fuori mercato. Più precisamente, bisogna essere terribilmente a corto di idee per pensare che si possa invertire un trend facendo esattamente le stesse cose che lo hanno determinato".

"Il peso dell'operatore pubblico nell'economia meridionale è largamente superiore a quello osservato nell'economia centro-settentrionale ed è andato crescendo nell'ultimo quindicennio. Per fare solo un esempio, i beni e servizi messi a disposizione del settore privato dall'operatore pubblico nel Mezzogiorno valevano nel 2000 poco meno del 30 per cento del prodotto dell'area (contro il 15 per cento circa del centro-nord). Oggi si attestano intorno al 34 per cento (contro il 17 per cento del centro-nord). Ciò nonostante (o forse esattamente per questo motivo) il Mezzogiorno non regge il confronto in tutti ma proprio in tutti gli indicatori di efficacia ed efficienza dell'operatore pubblico". 

"L'istruzione, la giustizia civile, la sanità, la sicurezza e l'ordine pubblico, la qualità dei servizi ambientali, i trasporti pubblici locali, il servizio idrico, la gestione dei rifiuti, i servizi di cura: in tutti i campi in cui servirebbe un operatore pubblico efficiente (se non altro come regolatore), nel Mezzogiorno manca pur non mancando le risorse. Rapida traduzione per chi vuole correre a fare un bagno: in un'economia e in una società già strutturalmente deboli, quelli che si moltiplicano senza sosta sono soprattutto (o solo) i canali di intermediazione politica e burocratica e con essi il volume di risorse quotidianamente sottratto alle scelte dei singoli e a una allocazione efficiente. C'è bisogno di aggiungere molto altro? Ci vuole così tanto per capire che le risorse pubbliche nel Mezzogiorno non sono la soluzione ma sono spesso e volentieri parte integrante del problema?".

Nel Mezzogiorno italiano sono eclatanti e smisurati i problemi che affliggono l'intero paese. L'intermediazione pubblica delle risorse è eccessiva e largamente inefficiente. Le istituzioni pubbliche sottraggono spazio e risorse a una società che può e deve trovare in sè le motivazioni e i mezzi per arrestare il declino e ripartire. Il settore pubblico rientri nei propri argini e svolga con efficienza i propri compiti fondamentali.  Il dibattito pubblico si riorienti e determini una chiara consapevolezza: è assurdo tentare di curare un alcolista cronico somministrando generosamente bottiglie di superalcolici.

sabato 8 agosto 2015

Health saving account. Il conto corrente sanitario.




Il conto corrente sanitario (health saving account) è un conto corrente obbligatorio o incentivato con agevolazioni fiscali vincolato al pagamento delle spese sanitarie. Le somme depositate dal titolare o da altri diventano di proprietà dello stesso. Se non utilizzate per cure mediche si accumulano con finalità previdenziali. In diversi paesi rappresenta una diffusa alternativa alle assicurazioni sanitarie private. Chi lo sceglie è spinto a prevenire le malattie con uno stile di vita più sano e ricorre ai trattamenti sanitari senza il filtro imposto dalle assicurazioni.
Sono numerosi gli strumenti che consentirebbero di ridurre l'ampiezza del costosissimo e inefficiente servizio sanitario nazionale. A chi giova un sistema siffatto, che rappresenta uno degli alibi più suggestivi di un'intermediazione pubblica della ricchezza prodotta dal paese che supera il cinquanta per cento? Come ridurre la pressione fiscale senza incidere sui settori più ampi della spesa pubblica? Come dare efficiente osservanza all'art. 32 della Costituzione italiana, che garantisce cure gratuite solo agli indigenti?
Non esiste una reale possibilità che l'Italia riprenda la via dello sviluppo senza l'adozione di soluzioni coraggiose che facciano perno sulla responsabilità e la libertà del cittadino. Il dibattito pubblico va in altre direzioni, ma la realtà s'impone sempre.

domenica 2 agosto 2015

Il calabrone Italia non riesce a volare.




I recenti dati sull'occupazione italiana sono deludenti. Antonella Cinelli su Reuters del 31 luglio 2015 ne ha dato così conto:

" Il tasso di disoccupazione italiano nel mese di giugno torna a salire, al 12,7% dal 12,5% di maggio, con quello giovanile che fa registrare il livello più alto dal 1977 confermando la lentezza delle ripresa dell'economia dopo un triennio di recessione".

"I dati sui disoccupati sono una cattiva notizia per il governo di Matteo Renzi che sulla riforma del mercato del lavoro ha puntato gran parte del suo prestigio politico.
La fotografia dell'Istat è giunta pochi minuti prima che Eurostat attestasse un tasso di disoccupazione dell'Eurozona fermo all'11,1% e a pochi giorni dal rapporto del Fondo monetario internazionale secondo il quale l'Italia impiegherà 20 anni per tornare ai livelli occupazionali precedenti la crisi economico-finanziaria".

"A giugno il tasso di occupazione è pari al 55,8%, in calo di 0,1 punti percentuali su mese e invariato su anno. Gli occupati sono 22,297 milioni, 22.000 in meno rispetto a maggio e 40.000 in meno su anno.
Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni è cresciuto al 44,2% dal 42,4% del mese precedente, record dall'inizio delle serie storiche".

Secondo una nota leggenda il calabrone, in italiano correttamente il bombo, non dovrebbe volare perché troppo pesante in rapporto alla superficie alare. Nella realtà vola tranquillamente, grazie alla velocità del battito delle ali.
Il calabrone Italia invece, appesantito da pressione fiscale, spesa pubblica fuori controllo, welfare insostenibile, fallimento delle autonomie regionali, criminalità organizzata, burocrazia, qualità del capitale umano e declino demografico, non dovrebbe volare e non vola. 
Per riprendere a volare deve rapidamente intervenire sulle zavorre che lo frenano, nel rispetto degli ordini di grandezza. Purtroppo le misure proposte da governo e opposizione sono risibili per pochezza o addirittura controproducenti e pericolose. Il dibattito pubblico non riesce a denunciarne l'inadeguatezza. Non è un miracolo che fa volare il calabrone e non sarà un miracolo a ridare al nostro paese la capacità di volare.

lunedì 27 luglio 2015

25 luglio 1943. Il regime mussoliniano cadde sotto i colpi dei suoi migliori esponenti.

Dino Grandi


Ha scritto Elena Aga Rossi:

"La caduta di Mussolini il 25 luglio fu il risultato di due successive iniziative, entrambe maturate all'interno del regime: il voto di sfiducia del Gran Consiglio, il massimo organo del fascismo, e la decisione del re Vittorio Emanuele di chiedere le dimissioni al duce. Mussolini aveva accettato di convocare il Gran Consiglio del fascismo, che non si riuniva dal 1939, probabilmente per affrontare gli oppositori interni e metterli in minoranza; invece dopo un'accesa discussione che si prolungò per diverse ore, la mozione presentata da Grandi in cui si chiedeva al re di riassumere i poteri costituzionali fu messa ai voti e fu approvata con diciannove voti contro sette. Il giorno seguente il re prese finalmente l'iniziativa non soltanto di sostituire Mussolini con il generale Badoglio, ma anche di farlo arrestare, cogliendo totalmente di sorpresa il duce, convinto di poter contare sull'appoggio del re. In poche ore veniva posto fine in maniera  indolore ad un regime durato venti anni. L'opposizione antifascista non ebbe alcun ruolo nel rovesciamento di Mussolini... (Elena AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, 2006, p. 71).

Furono i più intelligenti e lungimiranti gerarchi fascisti, Dino Grandi, Giuseppe Bottai, il genero del duce Galeazzo Ciano, a offrire al re l'occasione di far cadere Mussolini nei modi previsti dalle leggi costituzionali. Questi stessi esponenti del regime, con Italo Balbo ucciso in Libia poco dopo l'entrata in guerra, si erano opposti strenuamente alla partecipazione dell'Italia al conflitto a fianco della Germania nazista.
Singolare paese questo, che spesso si fa governare dai peggiori. Mussolini, uomo privo di vere intelligenza e cultura, avido di potere, all'interno del movimento fascista ebbe la meglio su Grandi e Balbo, poi emarginati. Il peggiore prevalse sui migliori, ma cadde per iniziativa di questi.

domenica 19 luglio 2015

La Chiesa cattolica e la Rivoluzione francese. Il seme del totalitarismo.




La Rivoluzione francese viene spesso presentata come la fucina delle libertà e dei diritti contemporanei. Quasi una necessaria conseguenza pare a molti l'ostilità della Chiesa cattolica  verso quelle idee e quei rapidi mutamenti. Diverse indicazioni si traggono dalla insuperata storia della Rivoluzione francese di Furet e Richet (Francois FURET e Denis RICHET, La Rivoluzione francese, Tomo primo, 1998, p. 154 e segg.):

"La maggior parte del clero e dei fedeli avevano sposato la causa patriottica. L'abolizione della decima ... e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici... non avevano gravemente compromesso i rapporti fra Chiesa e Stato".

"Fra Chiesa e Stato... si scaverà a poco a poco un abisso su due punti particolari: la tolleranza e l'intervento del potere temporale in campo spirituale".

"... assai più grave fu la pretesa dei legislatori...di avere poteri decisionali sovrani in materie attinenti al campo spirituale e a quello temporale al tempo stesso".

Così furono sciolte le congregazioni religiose fondate sui voti perpetui, tranne quelle che si dedicavano all'assistenza e all'insegnamento. Fu votata la Costituzione civile del clero, che sottrasse al papa l'investitura spirituale. I preti che esercitavano funzioni pubbliche furono obbligati a prestare giuramento alla Costituzione.

"...lo scisma provocherà  nella mentalità collettiva una pericolosa spaccatura...Nella strategia controrivoluzionaria entrano così in linea delle formidabili masse di manovra".

La Rivoluzione francese non riuscì, a differenza di quella americana, a consolidarsi come movimento dei diritti e delle libertà. Ne seguì l'ostilità dei cattolici, che nacque soprattutto come resistenza all'emergere di tendenze totalitarie. Qui è il seme del totalitarismo che insanguinò il Novecento. Questa è la chiave di lettura  per comprendere i rapporti successivi tra la Chiesa e la sinistra europea.                                                                                                                            

domenica 12 luglio 2015

Crisi. Le disuguaglianze che fanno male.






Papa Francesco e gli economisti più noti, i politici emergenti e i clienti del bar sotto casa, tutti parlano delle disuguaglianze, delle loro origini, portata e conseguenze. Alberto Mingardi sul Corriere della Sera del 12 luglio 2012 offre un'analisi saldamente ancorata al pensiero liberale:

"Per la gran parte della storia umana, la normalità è stata la stagnazione. Davanti al grande fatto della storia moderna, a questa incredibile moltiplicazione di pani, pesci e bocche da sfamare, l'intellettuale occidentale alza il ditino. Al capitalismo rimprovera di rendere i ricchi sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. A dire il vero, il capitalismo ha inventato gli uni e gli altri. La società tradizionale era fatta di «stazioni»: uno doveva restare laddove era nato. Il denaro non determinava la classe sociale di appartenenza: lo faceva la nascita. La società di mercato ha aperto il recinto. La rivoluzione industriale trasforma la mobilità sociale, da fatto episodico, nella quotidianità di milioni di persone".

"Ma il problema non risiede nella distanza fra i ricchi e i poveri: quanto, piuttosto, nel modo in cui i ricchi sono diventati tali. Bisogna constatare che alcune, strepitose fortune sono possibili non perché subiamo un eccesso di «neoliberismo» (libera iniziativa, deregolamentazione, eccetera): ma perché lo Stato intermedia, in Europa, grosso modo la metà del Pil. Il pubblico si sostituisce al mercato come arbitro del successo: fabbrica norme che, ovviamente in nome di un qualche interesse superiore, decidono il risultato della gara competitiva prima della partenza. Nell'«1 per cento» dei più ricchi, c'è chi non vive della preferenza che gli accordano i consumatori: ma di appalti, innovazioni lautamente sussidiate, rendite privatamente lucrose e pubblicamente giustificate in nome di qualche interesse superiore. Non è un fenomeno nuovo, nella storia del «capitalismo reale». Mai però aveva interessato settori tanto ampi delle nostre economie".

"... oggi appare in pericolo una delle più apprezzate «creazioni» del capitalismo: la classe media. Le diseguaglianze appaiono più tollerabili quando prevale un'impressione di dinamismo sociale. I figli degli operai hanno potuto diventare dottori non solo grazie all'istruzione pubblica e gratuita ma soprattutto perché una certa, sobria «serenità» finanziaria era un obiettivo a portata di tutti. Oggi la tassazione strangola i redditi delle classi medie. La mobilità sociale è passata anche attraverso il risparmio. Le rinunce dei padri pagavano gli studi e la prima casa dei figli. I tassi per impieghi del risparmio poco rischiosi sono ormai stabilmente prossimi allo zero: il che va benissimo per chi può permettersi scommesse ardimentose, ma umilia le «formichine»".

"Ma tasse e scelte di politica monetaria oggi frenano quel dinamismo sociale che del capitalismo è stato un (apprezzato) sottoprodotto. L'obiettivo di chi accende i riflettori sulle disuguaglianze è giustificare imposte più alte sui «ricchi», non ridurre le rendite che alcuni percepiscono per buona grazia del sovrano".

L'ottimo articolo di Mingardi ci porta a delineare un programma realistico. Il pericolo più grande per i liberali è conservare un approccio ideologico, che non fa i conti con l'inadeguata diffusione della visione liberale e con la forza dei suoi avversari.
I puristi del liberalismo (ma non il nostro Luigi Einaudi) hanno a lungo avversato le idee di Wilhelm Röpke, l'economista consigliere di Adenauer. Quegli stessi puristi oggi guardano con ostilità all'economia tedesca, segnata anche da tratti dirigisti e statalisti. Eppure, per tanti versi, oggi la Germania costituisce l'ultima grande economia europea liberale. L'ultima importante opinione pubblica che resiste alle illusioni della politica monetaria è proprio quella tedesca. Il governo tedesco mette le sfide della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica al centro del dibattito pubblico.
La crisi greca pone l'Europa davanti a scelte decisive. Come ha ben scritto Danilo Taino sul Corriere della Sera del 12 luglio 2015:

"A Berlino si sospetta che Hollande voglia evitare che l’uscita di Atene dall’euro apra un varco per una riforma forte dell’eurozona. Una riforma che avverrebbe sulle linee della Germania, cioè di una maggiore integrazione non solo di bilancio ma anche delle riforme strutturali e in prospettiva del governo europeo. Sarebbe un’Europa sempre più tedesca, che Parigi non vuole. Meglio dunque la scelta conservatrice, dal punto di vista di Hollande: continuare con Atene come si è fatto per cinque anni, anche a costo di un nuovo programma di aiuti che difficilmente sarà risolutivo per la Grecia; l’importante è non creare il caso, la Grexit, che costringa a fare riforme «merkeliane»". 

Il riformismo liberale in Europa, e non solo, oggi si manifesta nel programma di riforme strutturali tedesco. Per molti liberali un rospo da ingoiare. Ma sarebbe un errore cadere in un massimalismo sterile, nemico del possibile.

domenica 5 luglio 2015

Grecia. Le ragioni di Merkel sono quelle dell'Europa.




Con il referendum si mette in scena un altro atto della tragedia greca dei nostri giorni.
Gian Luca Clementi  su Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2015 ha scritto:

"Ora che siamo al redde rationem per la Grecia, il comportamento della BCE e del Consiglio europeo, di cui la signora Merkel è membro di spicco, guiderà la determinazione delle aspettative di mercato per ulteriori episodi che potrebbero interessare altri paesi membri, tra cui l’Italia. La percezione che le istituzioni europee diano al governo greco ulteriore sostegno finanziario senza che quest’ultimo si impegni nell’implementare il fatidico piano di riforme, costituirebbe il segnale di via libera per gli Tsipras in erba che crescono rigogliosi ovunque la situazione economica avversa produca malcontento.
I vari Salvini e Grillo, per citare due tra i capipopolo del movimento populista no-euro in Italia, avrebbero un argomento efficace per convincere un elettorato sensibile che il governo dovrebbe sottrarsi al patronaggio delle istituzioni europee e calarsi senza indugio in programma di spese a gogò. È ovvio che, se avessero successo nella loro opera di convinzione, faremmo una fine davvero tragica. E con noi tutta l’Europa".

Sul Corriere della Sera del 1 luglio 2015 anche Danilo Taino sottolinea il ruolo di Merkel:

"In questa cornice, fare la scelta di dare denaro ad Atene senza un programma di riforme avrebbe voluto dire non solo mettersi contro tutti, in Germania e in Europa: avrebbe significato soprattutto rimuovere la pietra angolare dell’Eurozona a 19 Paesi, cioè il fatto che l’unico modo per sperare di stare assieme in un’Unione monetaria è rispettarne le regole. Superata quella linea rossa, liberi tutti, qualsiasi cosa sarebbe potuta succedere. Lunedì ha spiegato che se l’Europa rinnegasse i suoi principi «anche solo momentaneamente, nel medio e lungo termine ne soffrirebbe i danni». Tra cercare di vincere una battaglia sbagliata e cercare di vincere una guerra giusta, la cancelliera ha scelto la seconda strada. E ha dunque modificato il paradigma: salvare l’euro per salvare l’Europa non comporta più l’obbligo di salvare Atene". 

Di quale Europa abbiamo bisogno? Come fronteggiare i  problemi della competizione economica mondiale? Come tornare a una crescita sana, vitale, capace di creare nuova occupazione?
La risposta del governo tedesco è chiara: conti pubblici sotto controllo, welfare sostenibile, tutela del risparmio, ricostituzione di un adeguato capitale umano con la diffusione delle competenze tecnico-scientifiche, riforma del diritto del lavoro, innovazione produttiva, riduzione della pressione fiscale, ripresa degli investimenti privati, ripristino di una normale certezza del diritto.
Nel dibattito pubblico tedesco emergono i problemi dell'economia reale e possibili soluzioni. E' un chiaro segnale della capacità del paese di affrontare costruttivamente la crisi. Angela Merkel, chiedendo alla Grecia uno sforzo serio e riforme incisive, rifiuta l'Europa delle illusioni e del declino produttivo per promuovere quella dello sviluppo, della produzione, dell'innovazione, della competitività, di un realistico approccio ai problemi posti dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie.
Le ragioni di Merkel sono dunque quelle dell'Europa. 


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