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sabato 8 agosto 2015

Health saving account. Il conto corrente sanitario.




Il conto corrente sanitario (health saving account) è un conto corrente obbligatorio o incentivato con agevolazioni fiscali vincolato al pagamento delle spese sanitarie. Le somme depositate dal titolare o da altri diventano di proprietà dello stesso. Se non utilizzate per cure mediche si accumulano con finalità previdenziali. In diversi paesi rappresenta una diffusa alternativa alle assicurazioni sanitarie private. Chi lo sceglie è spinto a prevenire le malattie con uno stile di vita più sano e ricorre ai trattamenti sanitari senza il filtro imposto dalle assicurazioni.
Sono numerosi gli strumenti che consentirebbero di ridurre l'ampiezza del costosissimo e inefficiente servizio sanitario nazionale. A chi giova un sistema siffatto, che rappresenta uno degli alibi più suggestivi di un'intermediazione pubblica della ricchezza prodotta dal paese che supera il cinquanta per cento? Come ridurre la pressione fiscale senza incidere sui settori più ampi della spesa pubblica? Come dare efficiente osservanza all'art. 32 della Costituzione italiana, che garantisce cure gratuite solo agli indigenti?
Non esiste una reale possibilità che l'Italia riprenda la via dello sviluppo senza l'adozione di soluzioni coraggiose che facciano perno sulla responsabilità e la libertà del cittadino. Il dibattito pubblico va in altre direzioni, ma la realtà s'impone sempre.

domenica 2 agosto 2015

Il calabrone Italia non riesce a volare.




I recenti dati sull'occupazione italiana sono deludenti. Antonella Cinelli su Reuters del 31 luglio 2015 ne ha dato così conto:

" Il tasso di disoccupazione italiano nel mese di giugno torna a salire, al 12,7% dal 12,5% di maggio, con quello giovanile che fa registrare il livello più alto dal 1977 confermando la lentezza delle ripresa dell'economia dopo un triennio di recessione".

"I dati sui disoccupati sono una cattiva notizia per il governo di Matteo Renzi che sulla riforma del mercato del lavoro ha puntato gran parte del suo prestigio politico.
La fotografia dell'Istat è giunta pochi minuti prima che Eurostat attestasse un tasso di disoccupazione dell'Eurozona fermo all'11,1% e a pochi giorni dal rapporto del Fondo monetario internazionale secondo il quale l'Italia impiegherà 20 anni per tornare ai livelli occupazionali precedenti la crisi economico-finanziaria".

"A giugno il tasso di occupazione è pari al 55,8%, in calo di 0,1 punti percentuali su mese e invariato su anno. Gli occupati sono 22,297 milioni, 22.000 in meno rispetto a maggio e 40.000 in meno su anno.
Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni è cresciuto al 44,2% dal 42,4% del mese precedente, record dall'inizio delle serie storiche".

Secondo una nota leggenda il calabrone, in italiano correttamente il bombo, non dovrebbe volare perché troppo pesante in rapporto alla superficie alare. Nella realtà vola tranquillamente, grazie alla velocità del battito delle ali.
Il calabrone Italia invece, appesantito da pressione fiscale, spesa pubblica fuori controllo, welfare insostenibile, fallimento delle autonomie regionali, criminalità organizzata, burocrazia, qualità del capitale umano e declino demografico, non dovrebbe volare e non vola. 
Per riprendere a volare deve rapidamente intervenire sulle zavorre che lo frenano, nel rispetto degli ordini di grandezza. Purtroppo le misure proposte da governo e opposizione sono risibili per pochezza o addirittura controproducenti e pericolose. Il dibattito pubblico non riesce a denunciarne l'inadeguatezza. Non è un miracolo che fa volare il calabrone e non sarà un miracolo a ridare al nostro paese la capacità di volare.

lunedì 27 luglio 2015

25 luglio 1943. Il regime mussoliniano cadde sotto i colpi dei suoi migliori esponenti.

Dino Grandi


Ha scritto Elena Aga Rossi:

"La caduta di Mussolini il 25 luglio fu il risultato di due successive iniziative, entrambe maturate all'interno del regime: il voto di sfiducia del Gran Consiglio, il massimo organo del fascismo, e la decisione del re Vittorio Emanuele di chiedere le dimissioni al duce. Mussolini aveva accettato di convocare il Gran Consiglio del fascismo, che non si riuniva dal 1939, probabilmente per affrontare gli oppositori interni e metterli in minoranza; invece dopo un'accesa discussione che si prolungò per diverse ore, la mozione presentata da Grandi in cui si chiedeva al re di riassumere i poteri costituzionali fu messa ai voti e fu approvata con diciannove voti contro sette. Il giorno seguente il re prese finalmente l'iniziativa non soltanto di sostituire Mussolini con il generale Badoglio, ma anche di farlo arrestare, cogliendo totalmente di sorpresa il duce, convinto di poter contare sull'appoggio del re. In poche ore veniva posto fine in maniera  indolore ad un regime durato venti anni. L'opposizione antifascista non ebbe alcun ruolo nel rovesciamento di Mussolini... (Elena AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, 2006, p. 71).

Furono i più intelligenti e lungimiranti gerarchi fascisti, Dino Grandi, Giuseppe Bottai, il genero del duce Galeazzo Ciano, a offrire al re l'occasione di far cadere Mussolini nei modi previsti dalle leggi costituzionali. Questi stessi esponenti del regime, con Italo Balbo ucciso in Libia poco dopo l'entrata in guerra, si erano opposti strenuamente alla partecipazione dell'Italia al conflitto a fianco della Germania nazista.
Singolare paese questo, che spesso si fa governare dai peggiori. Mussolini, uomo privo di vere intelligenza e cultura, avido di potere, all'interno del movimento fascista ebbe la meglio su Grandi e Balbo, poi emarginati. Il peggiore prevalse sui migliori, ma cadde per iniziativa di questi.

domenica 19 luglio 2015

La Chiesa cattolica e la Rivoluzione francese. Il seme del totalitarismo.




La Rivoluzione francese viene spesso presentata come la fucina delle libertà e dei diritti contemporanei. Quasi una necessaria conseguenza pare a molti l'ostilità della Chiesa cattolica  verso quelle idee e quei rapidi mutamenti. Diverse indicazioni si traggono dalla insuperata storia della Rivoluzione francese di Furet e Richet (Francois FURET e Denis RICHET, La Rivoluzione francese, Tomo primo, 1998, p. 154 e segg.):

"La maggior parte del clero e dei fedeli avevano sposato la causa patriottica. L'abolizione della decima ... e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici... non avevano gravemente compromesso i rapporti fra Chiesa e Stato".

"Fra Chiesa e Stato... si scaverà a poco a poco un abisso su due punti particolari: la tolleranza e l'intervento del potere temporale in campo spirituale".

"... assai più grave fu la pretesa dei legislatori...di avere poteri decisionali sovrani in materie attinenti al campo spirituale e a quello temporale al tempo stesso".

Così furono sciolte le congregazioni religiose fondate sui voti perpetui, tranne quelle che si dedicavano all'assistenza e all'insegnamento. Fu votata la Costituzione civile del clero, che sottrasse al papa l'investitura spirituale. I preti che esercitavano funzioni pubbliche furono obbligati a prestare giuramento alla Costituzione.

"...lo scisma provocherà  nella mentalità collettiva una pericolosa spaccatura...Nella strategia controrivoluzionaria entrano così in linea delle formidabili masse di manovra".

La Rivoluzione francese non riuscì, a differenza di quella americana, a consolidarsi come movimento dei diritti e delle libertà. Ne seguì l'ostilità dei cattolici, che nacque soprattutto come resistenza all'emergere di tendenze totalitarie. Qui è il seme del totalitarismo che insanguinò il Novecento. Questa è la chiave di lettura  per comprendere i rapporti successivi tra la Chiesa e la sinistra europea.                                                                                                                            

domenica 12 luglio 2015

Crisi. Le disuguaglianze che fanno male.






Papa Francesco e gli economisti più noti, i politici emergenti e i clienti del bar sotto casa, tutti parlano delle disuguaglianze, delle loro origini, portata e conseguenze. Alberto Mingardi sul Corriere della Sera del 12 luglio 2012 offre un'analisi saldamente ancorata al pensiero liberale:

"Per la gran parte della storia umana, la normalità è stata la stagnazione. Davanti al grande fatto della storia moderna, a questa incredibile moltiplicazione di pani, pesci e bocche da sfamare, l'intellettuale occidentale alza il ditino. Al capitalismo rimprovera di rendere i ricchi sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. A dire il vero, il capitalismo ha inventato gli uni e gli altri. La società tradizionale era fatta di «stazioni»: uno doveva restare laddove era nato. Il denaro non determinava la classe sociale di appartenenza: lo faceva la nascita. La società di mercato ha aperto il recinto. La rivoluzione industriale trasforma la mobilità sociale, da fatto episodico, nella quotidianità di milioni di persone".

"Ma il problema non risiede nella distanza fra i ricchi e i poveri: quanto, piuttosto, nel modo in cui i ricchi sono diventati tali. Bisogna constatare che alcune, strepitose fortune sono possibili non perché subiamo un eccesso di «neoliberismo» (libera iniziativa, deregolamentazione, eccetera): ma perché lo Stato intermedia, in Europa, grosso modo la metà del Pil. Il pubblico si sostituisce al mercato come arbitro del successo: fabbrica norme che, ovviamente in nome di un qualche interesse superiore, decidono il risultato della gara competitiva prima della partenza. Nell'«1 per cento» dei più ricchi, c'è chi non vive della preferenza che gli accordano i consumatori: ma di appalti, innovazioni lautamente sussidiate, rendite privatamente lucrose e pubblicamente giustificate in nome di qualche interesse superiore. Non è un fenomeno nuovo, nella storia del «capitalismo reale». Mai però aveva interessato settori tanto ampi delle nostre economie".

"... oggi appare in pericolo una delle più apprezzate «creazioni» del capitalismo: la classe media. Le diseguaglianze appaiono più tollerabili quando prevale un'impressione di dinamismo sociale. I figli degli operai hanno potuto diventare dottori non solo grazie all'istruzione pubblica e gratuita ma soprattutto perché una certa, sobria «serenità» finanziaria era un obiettivo a portata di tutti. Oggi la tassazione strangola i redditi delle classi medie. La mobilità sociale è passata anche attraverso il risparmio. Le rinunce dei padri pagavano gli studi e la prima casa dei figli. I tassi per impieghi del risparmio poco rischiosi sono ormai stabilmente prossimi allo zero: il che va benissimo per chi può permettersi scommesse ardimentose, ma umilia le «formichine»".

"Ma tasse e scelte di politica monetaria oggi frenano quel dinamismo sociale che del capitalismo è stato un (apprezzato) sottoprodotto. L'obiettivo di chi accende i riflettori sulle disuguaglianze è giustificare imposte più alte sui «ricchi», non ridurre le rendite che alcuni percepiscono per buona grazia del sovrano".

L'ottimo articolo di Mingardi ci porta a delineare un programma realistico. Il pericolo più grande per i liberali è conservare un approccio ideologico, che non fa i conti con l'inadeguata diffusione della visione liberale e con la forza dei suoi avversari.
I puristi del liberalismo (ma non il nostro Luigi Einaudi) hanno a lungo avversato le idee di Wilhelm Röpke, l'economista consigliere di Adenauer. Quegli stessi puristi oggi guardano con ostilità all'economia tedesca, segnata anche da tratti dirigisti e statalisti. Eppure, per tanti versi, oggi la Germania costituisce l'ultima grande economia europea liberale. L'ultima importante opinione pubblica che resiste alle illusioni della politica monetaria è proprio quella tedesca. Il governo tedesco mette le sfide della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica al centro del dibattito pubblico.
La crisi greca pone l'Europa davanti a scelte decisive. Come ha ben scritto Danilo Taino sul Corriere della Sera del 12 luglio 2015:

"A Berlino si sospetta che Hollande voglia evitare che l’uscita di Atene dall’euro apra un varco per una riforma forte dell’eurozona. Una riforma che avverrebbe sulle linee della Germania, cioè di una maggiore integrazione non solo di bilancio ma anche delle riforme strutturali e in prospettiva del governo europeo. Sarebbe un’Europa sempre più tedesca, che Parigi non vuole. Meglio dunque la scelta conservatrice, dal punto di vista di Hollande: continuare con Atene come si è fatto per cinque anni, anche a costo di un nuovo programma di aiuti che difficilmente sarà risolutivo per la Grecia; l’importante è non creare il caso, la Grexit, che costringa a fare riforme «merkeliane»". 

Il riformismo liberale in Europa, e non solo, oggi si manifesta nel programma di riforme strutturali tedesco. Per molti liberali un rospo da ingoiare. Ma sarebbe un errore cadere in un massimalismo sterile, nemico del possibile.

domenica 5 luglio 2015

Grecia. Le ragioni di Merkel sono quelle dell'Europa.




Con il referendum si mette in scena un altro atto della tragedia greca dei nostri giorni.
Gian Luca Clementi  su Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2015 ha scritto:

"Ora che siamo al redde rationem per la Grecia, il comportamento della BCE e del Consiglio europeo, di cui la signora Merkel è membro di spicco, guiderà la determinazione delle aspettative di mercato per ulteriori episodi che potrebbero interessare altri paesi membri, tra cui l’Italia. La percezione che le istituzioni europee diano al governo greco ulteriore sostegno finanziario senza che quest’ultimo si impegni nell’implementare il fatidico piano di riforme, costituirebbe il segnale di via libera per gli Tsipras in erba che crescono rigogliosi ovunque la situazione economica avversa produca malcontento.
I vari Salvini e Grillo, per citare due tra i capipopolo del movimento populista no-euro in Italia, avrebbero un argomento efficace per convincere un elettorato sensibile che il governo dovrebbe sottrarsi al patronaggio delle istituzioni europee e calarsi senza indugio in programma di spese a gogò. È ovvio che, se avessero successo nella loro opera di convinzione, faremmo una fine davvero tragica. E con noi tutta l’Europa".

Sul Corriere della Sera del 1 luglio 2015 anche Danilo Taino sottolinea il ruolo di Merkel:

"In questa cornice, fare la scelta di dare denaro ad Atene senza un programma di riforme avrebbe voluto dire non solo mettersi contro tutti, in Germania e in Europa: avrebbe significato soprattutto rimuovere la pietra angolare dell’Eurozona a 19 Paesi, cioè il fatto che l’unico modo per sperare di stare assieme in un’Unione monetaria è rispettarne le regole. Superata quella linea rossa, liberi tutti, qualsiasi cosa sarebbe potuta succedere. Lunedì ha spiegato che se l’Europa rinnegasse i suoi principi «anche solo momentaneamente, nel medio e lungo termine ne soffrirebbe i danni». Tra cercare di vincere una battaglia sbagliata e cercare di vincere una guerra giusta, la cancelliera ha scelto la seconda strada. E ha dunque modificato il paradigma: salvare l’euro per salvare l’Europa non comporta più l’obbligo di salvare Atene". 

Di quale Europa abbiamo bisogno? Come fronteggiare i  problemi della competizione economica mondiale? Come tornare a una crescita sana, vitale, capace di creare nuova occupazione?
La risposta del governo tedesco è chiara: conti pubblici sotto controllo, welfare sostenibile, tutela del risparmio, ricostituzione di un adeguato capitale umano con la diffusione delle competenze tecnico-scientifiche, riforma del diritto del lavoro, innovazione produttiva, riduzione della pressione fiscale, ripresa degli investimenti privati, ripristino di una normale certezza del diritto.
Nel dibattito pubblico tedesco emergono i problemi dell'economia reale e possibili soluzioni. E' un chiaro segnale della capacità del paese di affrontare costruttivamente la crisi. Angela Merkel, chiedendo alla Grecia uno sforzo serio e riforme incisive, rifiuta l'Europa delle illusioni e del declino produttivo per promuovere quella dello sviluppo, della produzione, dell'innovazione, della competitività, di un realistico approccio ai problemi posti dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie.
Le ragioni di Merkel sono dunque quelle dell'Europa. 

venerdì 26 giugno 2015

Al gioco delle banche centrali vince il mondo della finanza.




Anche il quotidiano della Confindustria ha cantato le lodi delle misure non convenzionali adottate dalle principali banche centrali. Ora, finalmente, la disillusione pare prendere il sopravvento. Su Il Sole 24 Ore del 26 giugno 2015 Enrico Marro presenta una efficace sintesi:

"L'iperattività delle banche centrali, che stanno inondando il mondo di liquidità con tassi a zero, ha incoronato un vincitore indiscusso: i mercati finanziari".

Il “divaricarsi” della forbice tra profitti di Borsa e crescita reale ha portato a un parallelo divaricarsi della forbice tra ricchi e poveri... E non si tratta solo degli States: l'allargamento delle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza è un fenomeno mondiale".

"Ma la politica monetaria delle banche centrali ha incoronato un altro vincitore. «Abbassando i tassi di interesse e dichiarando un obiettivo più alto di inflazione, la banca centrale favorisce tutti gli indebitati – spiega Alessandro Picchioni, Responsabile investimenti di WoodPecker Capital - specialmente quelli cronici»". 

"Fin qui i vincitori. Vediamo i perdenti. Secondo Picchioni, non c'è dubbio che il “taxpayer” sia il predestinato a perdere nella partita delle banche centrali: «abbassando i tassi di interesse e dichiarando un obiettivo più alto di inflazione, la banca centrale favorisce tutti gli indebitati, specialmente quelli cronici, il tutto alle spese del “taxpayer” che a parità di carico fiscale si vede ridotto il proprio potere d'acquisto». Senza contare che le classi media e bassa, già vittime della tendenza alla polarizzazione delle retribuzioni, sono state tagliate fuori dalla profittevole corsa delle Borse perché prive di ampie risorse finanziarie".

"«Molto spesso in queste circostanze si crea anche una frattura importante nell'ambito della categoria – spiega ancora Picchioni - per cui, vuoi per un malfunzionamento dell' ”ascensore sociale”, vuoi per la progressiva concentrazione di ricchezza nelle mani di una sparuta minoranza, la maggioranza dei “taxpayers”, sempre più povera, finisce per perdere progressivamente potere di acquisto e con questo fiducia nel futuro»". 

L'occupazione non migliora, si divarica la forbice tra ricchi e poveri, la pressione fiscale non diminuisce, l'"ascensore sociale" non funziona, i risparmiatori vengono penalizzati per favorire i grandi debitori. Questa è la realtà della economia influenzata dalle misure delle banche centrali. 
Ci sono alternative? Bisogna intervenire sui fattori di crescita dell'economia reale. Diffondere le conoscenze matematiche, scientifiche e tecniche, ridurre la spesa pubblica applicando anche ad essa il principio di progressività e controllando le dinamiche delle prestazioni sociali, diminuire così la pressione fiscale, ripristinare gli stimoli all'impegno individuale, eliminare la burocrazia non necessaria, uniformare le regole nella economia globalizzata, raggiungere una buona certezza del diritto, disciplinare l'immigrazione per consentire una adeguata remunerazione di alcuni dei più importanti lavori non qualificati, aprire le professioni alla concorrenza, colpire il capitalismo relazionale e clientelare.
Questa è l'alternativa alla demagogia e alle illusioni spacciate da chi vuole perpetuare i vecchi privilegi e/o crearne di nuovi.

sabato 20 giugno 2015

Napoleone a Waterloo. La storia fatta da criminali.




Due secoli sono passati dall'ultima battaglia di Napoleone: Waterloo. Dopo tale definitiva sconfitta uscì di scena. Questo ennesimo massacro dove le sue truppe furono vittime e carnefici è in questi giorni ricordato in modi spesso discutibili. Il bicentenario rappresenta in realtà una buona occasione per riflettere sulla storia del potere politico. Su questo tema  scrisse lucidamente Karl Popper:

"Non esiste una storia dell'umanità, ci sono solo molte storie dei vari aspetti della vita umana. E uno di questi è la storia del potere politico. Questa viene innalzata a storia universale. Ma ritengo che ciò costituisca un'offesa a ogni onesta concezione dell'umanità. Non è per nulla meglio che considerare la storia della malversazione, o del latrocinio, o del veneficio, come storia dell'umanità; infatti, la storia della politica non è nient'altro che la storia del crimine internazionale  e dell'omicidio  di massa, compresi, a dire il vero, alcuni dei tentativi per eliminarli. Questa storia viene insegnata nelle scuole, e molti dei più grandi criminali vengono presentati come eroi".

"Una storia concreta dell'umanità, se ne esistesse una, dovrebbe essere la storia di tutti gli uomini. Dovrebbe essere la storia di tutte le speranze, di tutte le lotte  e di tutte le sofferenze umane. Non esiste infatti nessun uomo che sia più importante di un altro. Chiaramente, questa storia concreta non può essere scritta. Dobbiamo procedere per astrazioni, esclusioni, scelte. Ma con questo arriviamo a molte storie; e, fra esse, a quella storia del crimine internazionale e dell'omicidio di massa che  è stata propagandata come la storia dell'umanità". (Karl POPPER, C'è un senso nella storia?, in Dopo La società aperta, 2009, p. 152).

Napoleone, come i suoi rivali, è stato un grande criminale, uno dei grandi assassini protagonisti della storia del potere. Dunque la guerra è sempre ingiusta? Mai più la guerra? Questa è un'altra storia.

sabato 13 giugno 2015

2015. L'Italia secondo la Corte dei conti.




L'11 giugno 2015 la Corte dei conti ha presentato il  Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica. Con tale documento "la Corte dei conti fornisce al Parlamento e al Governo una valutazione sull'adeguatezza e sulla rispondenza degli strumenti individuati a presidio del coordinamento della finanza pubblica. Un esame che è preceduto, come ogni anno, da una analisi degli andamenti macroeconomici e da una valutazione delle prospettive della finanza pubblica nel successivo triennio, anche alla luce dei risultati di consuntivo dell’esercizio passato". Le considerazioni della Corte sono di grande interesse:

"...la spesa primaria corrente è invece aumentata di 16 miliardi, spingendo in direzione di un maggiore indebitamento. Il Rapporto sottolinea, tuttavia, come quest’ultimo risultato sia, però, attribuibile alla sola componente per prestazioni sociali: al netto di questa voce, la spesa primaria corrente è diminuita, nel periodo, di quasi 21 miliardi".

"Un ambiente macroeconomico espansivo sarà necessario per un effettivo allentamento della pressione fiscale. Non possono infatti sottovalutarsi le incertezze che riguardano la possibilità di realizzare pienamente il programma di spending review, a motivo degli ampi risparmi già conseguiti per le componenti più flessibili (redditi e consumi intermedi) e per il permanere di un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali. E’ questo un punto di snodo che deve portare all’attenzione il fatto che un duraturo controllo sulle dinamiche di spesa può ormai difficilmente prescindere da una riscrittura del patto sociale che lega i cittadini all’azione di governo e che abbia al proprio centro una riorganizzazione dei servizi di welfare".

" Poca attenzione è stata, infatti, rivolta al fatto che le condizioni di sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica richiedono, al nostro paese, la costruzione di una traiettoria macroeconomica ambiziosa, caratterizzata da saggi di crescita del Pil e della produttività non inferiori all’1,5 per cento anno e da un ritorno della disoccupazione al tasso del 7 per cento. Si tratta di uno scenario non conseguibile in assenza di interventi profondi, capaci di accelerare la dinamica della produttività totale dei fattori. E’ in questo ambito di sostenibilità che deve tornare centrale la discussione sul programma di riforme strutturali".

L'incremento della spesa corrente per prestazioni sociali determina un aumento insostenibile dell'indebitamento pubblico. Permane "un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali".  Per ridurre adeguatamente la spesa pubblica e la pressione fiscale occorre riformare il welfare, ridisegnando i confini dell'intervento pubblico e lo stesso perimetro dello stato. Sono necessarie profonde riforme strutturali, capaci di migliorare la produttività e incidere sui principali fattori di crescita. Il dibattito pubblico deve riorientarsi, concentrandosi su questi temi fondamentali.
L'analisi della Corte basta a suggerire un serio programma di governo e una efficace attività di riforma, entrambi assenti da lungo tempo. Purtroppo quando la democrazia non si accompagna a una costante educazione alla libertà e alla responsabilità la demagogia è destinata a prevalere. 

domenica 7 giugno 2015

Tocqueville. In una società libera l'individuo non è solo.




Su Il Sole 24 Ore del 16 maggio 2015 Fabrizio Forquet  ci ha richiamati alla realtà:

"Ma non è certo solo un problema di pensioni. Dopo anni di Pil in continua ascesa, l’Italia negli anni 70 si è potuta dare il servizio sanitario pubblico più universale dell’Occidente. Un fiore all’occhiello (per molti versi, non tutti) del nostro welfare. Ma non più sostenibile nella sua universalità con il saldo di entrate e uscite che il settore pubblico oggi si ritrova. A meno di non affossare definitivamente il sistema produttivo con un livello di tassazione inaccettabile. Il nuovo contesto economico, evidentemente, impone anche qui di superare la teoria dei diritti intoccabili e di avviare una serena discussione sulla riduzione del perimetro dello Stato, aprendo a forme di copertura assicurativa per le fasce di reddito più elevate".

Per ridurre le tasse occorre ridurre la spesa pubblica. Per diminuire adeguatamente la spesa pubblica bisogna tornare alla Costituzione, applicando anche a tale spesa il principio di progressività.  E' dunque necessario ridisegnare il perimetro dello stato, lasciando alla maggior parte dei cittadini la responsabilità della propria salute, della educazione dei giovani, di un reddito sufficiente in caso di malattia e vecchiaia.
Ma in una società libera gli individui educati alla libertà non sono atomi sciolti da ogni relazione. Tocqueville, uno dei grandi precursori del liberalismo contemporaneo, ha scritto:

"...presso i popoli democratici tutti i cittadini sono indipendenti e deboli, non possono quasi nulla da soli e nessuno di loro può obbligare gli altri a prestargli aiuto. Quindi, se non imparano ad aiutarsi liberamente, cadono tutti nell'impotenza".

"Presso i popoli democratici sono le associazioni che devono tenere il posto delle forze individuali fatte sparire dall'eguaglianza delle condizioni".

"Fra le leggi che reggono le società umane, ve ne è una che appare più chiara e precisa di tutte le altre:  perchè gli uomini restino civili o lo divengano, bisogna che l'arte di associarsi si sviluppi e si perfezioni presso di loro nello stesso rapporto con cui si accresce l'eguaglianza delle condizioni". (Alexis DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America).


Anche nel delicato settore oggi lasciato al welfare associazioni, comitati e cooperative consentono agli individui di conseguire risultati altrimenti irraggiungibili.


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