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martedì 4 giugno 2013

Banca d'Italia. Un paese in ritardo.




Nelle sue recenti Considerazioni finali all'Assemblea Ordinaria dei Partecipanti il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha sottolineato alcuni tratti strutturali della crisi italiana che purtroppo non trovano adeguato spazio nel dibattito pubblico:

"Le origini finanziarie e internazionali della crisi, cui si è soprattutto rivolta l’attenzione delle autorità di politica economica, non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali.  Lo mostra, già nei dieci anni antecedenti la crisi, l’evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i principali paesi sviluppati. 
Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni. L’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica; ha implicazioni per le modalità di accumulazione del capitale materiale e immateriale, la specializzazione e l’organizzazione produttiva, il sistema di istruzione, le competenze, i percorsi occupazionali, le caratteristiche del modello di welfare e la distribuzione dei redditi, le rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo, il  funzionamento  dell’amministrazione  pubblica.  È  un  aggiustamento che necessita del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive.
Le imprese sono chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull’innovazione,  sulla  capacità  di  essere  presenti  sui  mercati  più  dinamici. Hanno mostrato di saperlo fare in altri momenti della nostra storia. Alcune lo stanno facendo. Troppo poche hanno però accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico". 

Mentre dei vizi e delle insufficienze della politica e dei politici italiani si parla molto, più o meno appropriatamente, non si dedica la necessaria attenzione alla struttura e alla condotta delle imprese italiane. Alcune sono state "capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti... degli ultimi venticinque anni", operano con successo nella economia globalizzata, esportano e puntellano il PIL italiano.
 Molte altre non sono invece riuscite a rinnovarsi, a finanziarsi senza ricorrere prevalentemente al credito bancario, a raggiungere dimensioni idonee, a innovare prodotti e processi produttivi. Altre ancora hanno vissuto del sostegno pubblico o costituiscono esempi di vero e proprio capitalismo clientelare. Questa parte dell'imprenditoria rappresenta un aspetto importante della crisi italiana. Tra drammi personali e difficoltà congiunturali lo spazio per intervenire appare stretto.
Visco tocca anche la questione del modello di welfare. Esso diventa sostenibile solo se è correttamente applicato il principio di sussidiarietà. Chi non ce la fa da solo deve  ricevere l'aiuto pubblico. Gli altri devono pagare meno tasse, provvedere da sè ai propri bisogni e premiare i fornitori di servizi più efficienti.
Dal governatore della Banca d'Italia un efficace richiamo al realismo e all'unità di intenti.

martedì 28 maggio 2013

Cina. Costituzione, modernizzazione e sviluppo produttivo.



L'attuale Costituzione della Repubblica Popolare Cinese è entrata in vigore nel 1982 e ha subito significative revisioni  tra il 1988 e il 2004, realizzate per disporre una più larga tutela dell'impresa, della proprietà privata e dei diritti umani.
E' una costituzione rigida. Formalmente rende la Cina uno stato di diritto e garantisce le libertà e i diritti fondamentali degli individui. Non adotta la cosiddetta separazione dei poteri, ma tale separazione, nella configurazione immaginata dalla maggioranza dei costituzionalisti occidentali contemporanei, non appartiene realmente alla tradizione liberale. Per rendersene conto basta leggere davvero lo Spirito delle leggi di Montesquieu e considerare con attenzione il tradizionale sistema britannico, solo recentemente riformato con l'introduzione della Corte Suprema.
Rispetto alle costituzioni liberaldemocratiche vigenti, quella cinese si distingue soprattutto per l'attribuzione di un indefettibile ruolo di guida al partito comunista, per l'enfasi sull'obiettivo della modernizzazione (Preambolo) e per la corrispondenza stabilita tra ampiezza della tutela sociale e livello dello sviluppo economico (art. 14).
Su AGI China 24 Antonia Cimini accenna al dibattito sul costituzionalismo in corso in Cina:

"Un altro quotidiano ufficiale e molto più popolare del primo, il Global Times, ha rincarato la dose in questi giorni con un editoriale intitolato "Il costituzionalismo è un trucchetto per negare il modello di sviluppo cinese"".

In gioco, appunto, è il modello di sviluppo. Il regime autoritario consente il controllo delle tensioni sociali determinate dalla crescita economica e dalla modernizzazione a tappe forzate. Stabilisce consumo e accumulazione. Adotta uno stato sociale corto, produttivistico, che incentiva lavoro e risparmio. Attribuisce così un vantaggio competitivo nel confronto economico globale con le democrazie occidentali.
Con ogni probabilità i dirigenti cinesi non consentiranno l'occidentalizzazione dell'assetto costituzionale. Non solo per difendere il loro potere, ma per conservare al proprio paese gli attuali  vantaggi competitivi. Per l'Occidente democratico un compito durissimo: salvare la società aperta e nel contempo rendere possibile un'adeguata crescita economica. Il tempo delle illusioni è finito.

mercoledì 22 maggio 2013

Staffetta generazionale. Senza capire, senza osare.



Alberto Alesina sul Corriere della Sera del 22 maggio 2013:

"Un anno e mezzo fa l'ex ministro Elsa Fornero diceva agli italiani che avrebbero dovuto lavorare più a lungo: anche fino a 67 anni. Oggi il ministro Enrico Giovannini spiega loro che debbono lasciare l'impiego prima, per fare spazio ai giovani attraverso quella che viene chiamata «staffetta generazionale». Vale a dire, un dipendente accetta di lavorare meno ore, con meno stipendio o di andare in pensione con una qualche penalizzazione, purché la sua azienda assuma un giovane.

Non sono chiarissime le conseguenze sulle imprese e i loro costi. Da un lato un giovane all'inizio della carriera ha un salario più basso, ma ci sarebbero costi legati all'inserimento del giovane al lavoro. Il saldo, positivo o negativo, dipenderebbe comunque da quanto meno si pagano gli anziani che passano al part time.

Insomma: la staffetta in sé e per sé non aiuterà la crescita. Anzi, sembra quasi un triste riconoscimento che l'unico modo per impiegare i giovani è chiedere ai genitori di scansarsi dal loro lavoro, cosa che suona come un'ammissione di incapacità a far crescere le ore di lavoro totali. Quindi la si venda per quello che è: una misura un po' disperata per cercare di aiutare una generazione in grave difficoltà in un modo che però non aiuta ad attaccare alla radice i problemi di un Paese fermo da due decenni".

La proposta presta dunque il fianco, tra gli altri, a un rilievo che dovrebbe risultare devastante: "non aiuta ad attaccare alla radice i problemi di un Paese fermo da due decenni".
L'Italia è ferma da due decenni perchè nella economia globalizzata competitività e produttività italiane sono largamente insufficienti. Se non si inizia immediatamente ad aggredire questo problema il paese non sfuggirà ad un rapido declino.
Occorre intraprendere profonde riforme strutturali. Ristrutturare il welfare secondo il principio di sussidiarietà, rendendolo sostenibile. Rivedere il meccanismo dei trasferimenti agli enti locali. Ricostruire la Pubblica Amministrazione, concentrando l'attenzione su settori decisivi come scuola e giustizia. Tagliare così la spesa pubblica per ridurre la pressione fiscale. Agevolare la realizzazione delle infrastrutture necessarie ed abbassare il costo dell'energia, conciliando le esigenze di tutela ambientale con quella di innescare uno sviluppo adeguato e vitale.
Si tratta evidentemente di un "vasto programma", ma non esistono alternative. O questo o il baratro. Eppure, sorprendentemente, se ne parla sempre meno. Più il baratro si avvicina, meno si va al cuore del problema. Non si capisce, non si osa. Non si capisce perchè manca una diffuso approccio realistico e genuinamente critico. Non si osa perchè la miopia politica e la pochezza morale impediscono di perseguire obiettivi alti.

Sul Corriere della Sera del 21 maggio 2013 Giuseppe De Rita, pur con non condivisibile nostalgia, ha colto nel segno, ma soltanto a metà:

"Il messaggio profondo della politica oggi sta proprio nel diffondere, anzi imporre, l'appiattimento al basso della cultura collettiva, della dinamica sociale. Ed è colpa ben più grave dei vizi di casta, perché inquina la chimica intima della società, ne riduce le dinamiche in avanti e le speranze".

In realtà si tratta di un circolo vizioso. La politica italiana è inadeguata perchè è espressione di una società povera culturalmente e moralmente. Manca così a tale società la grande politica indispensabile per fronteggiare i suoi problemi. Cosa fare? Portare il dibattito pubblico nella direzione giusta. Per capire e per osare.

martedì 14 maggio 2013

Russia. Primo bilancio del terzo mandato di Putin.



Russia Oggi " fa parte del progetto Russia Beyond the Headlines, finanziato dalla Rossiyskaya Gazeta". "Rossiyskaya Gazeta, uno dei principali quotidiani russi", è anche "la gazzetta ufficiale del governo russo, sede della pubblicazione ufficiale di leggi, decreti e dichiarazioni ufficiali delle istituzioni statali".
Su Russia Oggi del 1 maggio 2013 Yulia Ponomareva delinea un primo bilancio del terzo mandato di Putin: "In attesa di risultati economici significativi, il Presidente tenta di consolidare la sua base d’appoggio facendo leva su valori conservatori".

"È rimasto come prima il politico più popolare di Russia, ma il trend parla chiaro: nel primo anno del suo terzo mandato presidenziale la fiducia nei suoi confronti è calata dal 60 al 52 per cento. L’ultima campagna elettorale si è svolta sullo sfondo delle più grandi manifestazioni antigovernative nella storia della Russia recente, alla quale hanno preso parte principalmente i rappresentanti della classe media cittadina".

Putin "“Ha scelto la linea di consolidamento dei suoi”, afferma Alexei Makarkin. I “suoi”, cioè la base dell’elettorato putiniano, sono, secondo i dati dei sociologi, gli abitanti delle piccole città e dei paesi con un’istruzione media e che non usano Internet. “Si può consolidare facendo leva sui valori tradizionali, sull’antiliberalismo e l’antioccidentalismo - ritiene Makarkin. - Con la legge sugli agenti stranieri è stato identificato un nemico, l’inchiesta sulle Pussy Riot ne ha additato un altro”.

Un difficile nuovo inizio dunque per il presidente Putin, che per ora non raggiunge gli obiettivi prefissati. Lontano resta quello, importantissimo, di diversificare l'economia. Come l'Unione Sovietica di Breznev, la Russia di Putin compensa le insufficienti produttività e competitività del sistema con lo sfruttamento delle risorse naturali: 

"Secondo i dati del servizio federale doganale nel 2012 la produzione di combustibili ed energie hanno costituito la base dell’export russo oltre i confini della Csi; la loro incidenza nella struttura commerciale dell’esportazione in quei Paesi ammonta al 73 per cento. La quota di esportazione delle automobili e delle attrezzature è del 3,6 per cento.
Gli investimenti stranieri diretti del 2012 si sono ridotti quasi del 20 per cento, arrivando a 39 miliardi di dollari. “Alla fine dello scorso anno è ripresa una crescita anticipata degli stipendi rispetto alla produttività del lavoro (crescita dell’Ulc, il costo unitario del lavoro), il che rende l’industria russa ancora meno allettante per gli investimenti, - concludono gli esperti dell’Alta scuola economica. - La struttura e la qualità dell’economia non cambiano”".

 ""Uno degli eventi economici chiave del 2012 è stata l’entrata della Russia nell’Organizzazione del commercio mondiale (Wto). “Il prossimo periodo di inserimento nel Wto sarà per la Russia molto difficile, - riconosce Alexei Portanskij, direttore dell’Ufficio studi per l’adesione della Russia al Wto. - Se prenderanno il sopravvento scenari statici o legati alle materie prime non potremo ottenere niente dall’ingresso al Wto. A vendere idrocarburi e altre materie prime siamo capaci anche senza il Wto”".

La Russia resta a metà del guado. Con la Cina non condivide i campi di "rieducazione" per i dissidenti e il brutale ampio ricorso alla pena di morte, ma neppure l'economia manifatturiera in espansione. Delle democrazie occidentali non accoglie pienamente la libertà di espressione e la tutela dei diritti umani. Le insufficienti prestazioni economiche e sociali di tali democrazie non orientano verso Occidente la modernizzazione russa, chiusa in una via nazionale che si rivela a sua volta asfittica e inefficiente.

"“Putin è giunto alla conclusione che se iniziasse a cambiare, potrebbe diventare vulnerabile -, afferma con convinzione Alexei Makarkin, primo vice presidente del Centro di tecniche politiche. - Non scenderà a compromessi, ritenendo che potrebbero provocarne degli altri”". Già più di un secolo e mezzo fa, nel suo brillante L'antico regime e la rivoluzione, Tocqueville aveva scritto:

"...l'esperienza insegna che per un cattivo governo il momento più pericoloso è sempre quello in cui esso comincia a riformarsi. Soltanto un gran genio può salvare il principe che si propone di dar sollievo ai propri sudditi dopo una lunga oppressione. Il male sopportato pazientemente come inevitabile diviene intollerabile non appena si concepisca l'idea di liberarsene. Allora tutti gli abusi che si sopprimono sembrano rivelare meglio quelli che restano e renderne più penosa la sensazione: il male è diminuito, è vero, ma la sensibilità si è fatta più viva" (Libro terzo, capitolo IV, 1996, p. 213).

martedì 7 maggio 2013

Disoccupazione negli Stati Uniti. C'è poco da stare allegri.



Pressochè unanime è stato l'entusiasmo manifestato per la recente riduzione del tasso di disoccupazione USA. Ma la lettura dei dati pubblicati dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti porta a diverse conclusioni:

"Total nonfarm payroll employment rose by 165,000 in April, and the unemployment
rate was little changed at 7.5 percent, the U.S. Bureau of Labor Statistics
reported today. Employment increased in professional and business services, 
food services and drinking places, retail trade, and health care.

The unemployment rate, at 7.5 percent, changed little in April but has
declined by 0.4 percentage point since January. The number of unemployed
persons, at 11.7 million, was also little changed over the month; however,
unemployment has decreased by 673,000 since January. (See table A-1.)

Among the major worker groups, the unemployment rate for adult women
(6.7 percent) declined in April, while the rates for adult men (7.1
percent), teenagers (24.1 percent), whites (6.7 percent), blacks (13.2
percent), and Hispanics (9.0 percent) showed little or no change. The
jobless rate for Asians was 5.1 percent (not seasonally adjusted),
little changed from a year earlier. (See tables A-1, A-2, and A-3.)

In April, the number of long-term unemployed (those jobless for 27
weeks or more) declined by 258,000 to 4.4 million; their share of the
unemployed declined by 2.2 percentage points to 37.4 percent. Over the
past 12 months, the number of long-term unemployed has decreased by
687,000, and their share has declined by 3.1 percentage points. (See
table A-12.)

The civilian labor force participation rate was 63.3 percent in April,
unchanged over the month but down from 63.6 percent in January. The
employment-population ratio, 58.6 percent, was about unchanged over
the month and has shown little movement, on net, over the past year.
(See table A-1.)

In April, the number of persons employed part time for economic
reasons (sometimes referred to as involuntary part-time workers)
increased by 278,000 to 7.9 million, largely offsetting a decrease in
March. These individuals were working part time because their hours
had been cut back or because they were unable to find a full-time job.
(See table A-8.)".

Dalle statistiche governative emerge che:

- la riduzione del tasso di disoccupazione è percentualmente modestissima

- i nuovi posti di lavoro sono stati creati soprattutto nel settore della ristorazione, del commercio al dettaglio e dell'assistenza sanitaria

- tali nuovi posti sono stati occupati soprattutto da donne adulte

-  da gennaio il numero dei maggiori di sedici anni occupati o che cercano attivamente lavoro si è complessivamente ridotto mentre il tasso di occupazione resta sostanzialmente invariato.

-  il numero di occupati part time per ragioni economiche (lavoratori part time involontari che non sono riusciti a trovare lavoro a tempo pieno) è aumentato.

Il quadro che emerge non corrisponde ai tratti di un'economia che esce dalla crisi. Il nuovo lavoro creato è in larga misura di bassa qualità. Nel paese in crisi i fast food e i supermercati acquistano clienti che prima si rivolgevano a ristoranti e negozi. In una società invecchiata l'assistenza sanitaria offre maggiori occasioni di lavoro. Non solo ogni entusiasmo pare ingiustificato, ma restano solide ragioni per guardare con apprensione alle prospettive della società e della economia americane.
I recenti dati sulla disoccupazione USA non rappresentano insomma un valido argomento contro la politica economica proposta e adottata dalla Germania. Permane plausibile la lettura della crisi che guida i governanti tedeschi. Nella economia globalizzata bisogna incrementare produttività, competitività e innnovazione produttiva, realizzando incisive riforme strutturali. Proprio queste rappresentano l'alternativa al rigore recessivo che tutti vogliono evitare.
Occorre sottolineare che nella competizione economica globale si fronteggiano interi sistemi paese, appesantiti o avvantaggiati da tradizioni, istituzioni, ordinamenti giuridici, strutture produttive, relazioni industriali, politiche fiscali, welfare. C'è molto da fare. Chi illude e si illude non rende un buon servizio ai meno fortunati.


martedì 30 aprile 2013

Unione europea. Meno lavoro nelle telecomunicazioni.





Su corrierecomunicazioni.it, quotidiano online d'informazione sull'ICT, Luciana Maci delinea le inquietanti prospettive occupazionali del settore telecomunicazioni in Europa:

"I carrier europei potrebbero tagliare la forza lavoro del 30% nei prossimi 5 anni, per una perdita complessiva di oltre 300.000 posti: lo sostiene Franca Salis Madinier, presidente del sindacato Uni Europa Icts, che rappresenta i dipendenti del settore tlc in 27 Paesi europei. Ed entro dieci anni, prosegue Madinier, potrebbero addirittura risultare dimezzati i posti di lavoro nelle telco del continente, che a tutt’oggi ammontano complessivamente a circa 1,1 milioni.
Secondo un approfondimento pubblicato oggi da Bloomberg, alcuni dei licenziamenti potrebbero essere dovuti alla decisione degli operatori di dislocare la forza lavoro fuori dall’Unione europea, in aree dove il costo del lavoro è inferiore e ci sono legislazioni meno restrittive sull’impiego".

"Secondo gli analisti interpellati da Bloomberg, tra gli elementi che portano inevitabilmente a una riduzione della forza lavoro c’è la costante evoluzione delle tecnologie: l’upgrade dal rame alla fibra ottica e le reti Lte/4G, con maggiori livelli di self-management,  sono fattori che inducono verso il consolidamento. Così, in un clima di forte crisi dell’eurozona e con la guerra dei prezzi tra operatori mobili, gli investitori continuano ad invocare tagli più netti sul fronte della forza lavoro".

Alcuni dei principali datori di lavoro europei danno così un rilevante contributo alla riduzione dell'occupazione. Le dispute tra fautori e critici del cosiddetto rigore infuriano, mentre si attribuiscono virtù taumaturgiche all'allargamento della base monetaria e alle politiche di bilancio accomodanti. Ma sempre più competitività e produttività sembrano il cuore del problema.
Ciò che ci avvantaggia come consumatori di beni e servizi spesso oggi ci pone in difficoltà come produttori. Assetti raggiunti in sistemi protetti si rivelano inefficienti ed insostenibili nella economia globalizzata. Bisogna sciogliere nodi che appaiono inestricabili, controllare pressioni e tendenze difficili da spiegare prima che da piegare, imparare dagli errori compiuti.

martedì 23 aprile 2013

Un programma per l'Italia.




Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 22 aprile 2013 delineano un programma per l'Italia:

"In campo economico ci sono due priorità: abbassare le tasse su lavoro e investimenti e far ripartire il credito a famiglie e imprese".
"Il taglio della pressione fiscale deve essere significativo. Ridurre le tasse di qualche miliardo non basta per far ripartire la fiducia e l'economia. Un obbiettivo di 4 punti di Pil (circa 50 miliardi), che ci allineerebbe alla pressione fiscale tedesca, non è irraggiungibile nell'arco di qualche anno".
"Dove trovare le risorse? 10-12 miliardi di sussidi si possono abolire da domani, come da mesi chiede Confindustria".
"La situazione del Paese è troppo grave per potersi permettere il lusso di continuare a finanziare servizi sostanzialmente gratuiti per tutti, anche per i ricchi, a partire da università e sanità. Ai ricchi va offerto uno scambio: meno tasse, ma in compenso cominceranno a pagare alcuni servizi. Uno studente universitario costa allo Stato, in media, 7 mila euro l'anno. I ricchi, dopo che gli sono state abbassate le tasse, devono pagarne 10. Con i 3 che avanzano si possono finanziare borse di studio per i meno abbienti meritevoli. Lo stesso vale per la sanità che non può essere gratuita per tutti".
"La commissione Ceriani ha individuato 30 miliardi di agevolazioni fiscali, molte delle quali concesse a chi urlava di più. Qualcosa si può recuperare subito. Gli incentivi alle energie rinnovabili costano a famiglie e imprese (che li pagano in bolletta), oltre 10 miliardi l'anno. Una parte di questi denari sono una rendita concessa a chi ha investito nelle rinnovabili".
"Secondo, far ripartire il credito. Le banche oggi non prestano perché ... non hanno abbastanza capitale. Occorre urgentemente costituire delle bad bank , cioè togliere i crediti andati a male dai bilanci delle banche - spostandoli in nuove società, appunto le cosiddette bad bank - perché solo banche "ripulite" possono attirare nuovi investitori e così rafforzare il loro patrimonio".
"Dopo un intervento radicale su tasse e spese (non prima), con Bruxelles si potrà negoziare".

Il taglio dei sussidi alle imprese consente non solo di realizzare risparmi ma anche di ridurre i tratti clientelari del nostro capitalismo. La fortuna dei nostri imprenditori deve dipendere sempre meno dalle relazioni con il potere politico e sempre più dalla capacità di competere con successo nella economia globalizzata grazie alla qualità di prodotti e servizi offerti. Mentre la ristrutturazione del welfare nella direzione indicata dai professori Alesina e Giavazzi imprime al sistema maggiore efficienza, massimamente se è sempre possibile la scelta diretta tra diversi fornitori di servizi in concorrenza tra loro. Chi paga un servizio è spinto a chiedere il suo adeguamento a standard qualitativi più elevati e comunque a pretendere prestazioni soddisfacenti.
Di queste riforme il paese ha bisogno subito, prima che il declino diventi inarrestabile. Le resistenze saranno forti perchè larghi settori del ceto medio italiano sono insieme vittime e beneficiari dell'attuale assetto sclerotico, inefficiente e clientelare. Occorrono coraggio e lungimiranza. Doti rarissime in una Italia sempre assetata di benessere e sicurezza immediati e inconciliabili.



mercoledì 17 aprile 2013

Il welfare degli enti locali. Fare meglio con meno.




Elisabetta Gualmini è professore ordinario di Scienza della Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche  dell'Università di Bologna. Dal 12/07/2011 è presidente della fondazione di ricerca "Istituto Carlo Cattaneo".  In un articolo su La Stampa del 15 aprile 2013 delinea le condizioni e le prospettive del welfare gestito dagli enti locali italiani. Scrive la professoressa Gualmini:

"Come quando si gioca a palla avvelenata, durante la crisi più dura del secondo dopoguerra, lo Stato ha scaricato gran parte degli obblighi del risanamento finanziario alle regioni e agli enti locali".
" È il “decentramento della penuria”, andato in scena, a forza di sottrazioni, dal 2008 ad oggi, per un totale di oltre 33.000 milioni di euro. Per intenderci, i colpi di accetta sono arrivati a ridurre della metà le risorse degli enti locali (-45% nel 2013)".  
 "I welfare locali sono dunque stati rimaneggiati e riaggiustati con un mix di risposte che vanno dal tutto pubblico al tutto privato, ma che tendono in ogni caso alla de-istituzionalizzazione della cura e quindi richiedono una alleanza con la generazione di mezzo...".
"Il cambiamento dei modelli organizzativi. La rete dei servizi è stata completamente ridisegnata nei territori. Come gli aeroporti, le strutture ospedaliere sono delle reti con al centro ospedali più grandi e altamente specializzati e intorno piccoli presidi per degenze ordinarie e a ciclo breve... Tutto cucito insieme da finanziamenti che solo per il 61% sono pubblici, mentre il restante 39% sono privati (tra contratti outdoor per i fornitori e compartecipazione dei cittadini)".
" Il discorso sul welfare ha dunque bisogno di un nuovo repertorio di soluzioni, di un nuovo lessico e di un rapporto virtuoso tra pubblico e privato".

Nelle democrazie occidentali contemporanee i problemi della finanza pubblica hanno origine in larga misura nel welfare, compreso quello decentrato, e lì devono in altrettanto larga misura trovare soluzione. L' attuale "decentramento della penuria" chiama gli enti locali ad una sua ricostruzione secondo nuove linee guida.
Il rinnovato welfare dovrà sempre più poggiare sulla disciplina pubblica di strumenti privati, dare applicazione coerente al principio di sussidiarietà, che riserva il sostegno pubblico a chi non ce la fa da solo, consentire ai cittadini la scelta del fornitore di prestazioni, in regime di concorrenza. Con effetti positivi anche sotto il profilo dell' equità: devono essere eliminati i tratti regressivi del sistema attuale, dove spesso le imposte pagate dai meno abbienti  consentono di fornire servizi gratuiti o semigratuiti ai benestanti. 
Gli amministratori locali italiani devono fare meglio con meno. Missione impossibile per chi ha saputo dare pessima prova quando le risorse parevano infinite?

mercoledì 10 aprile 2013

Russia. La saturazione dell'impero.

Lo zar Alessandro III

Su Russia OGGI un importante articolo del ministro russo degli Esteri Lavrov pubblicato sulla rivista International Affair n° 3  del 2013. Lavrov espone le nuove Linee Guida in Politica Estera della Federazione Russa, ratificate dal presidente Putin il 12 febbraio 2013.
Scrive il ministro degli Esteri:

"Lo scopo principale dell’attività internazionale della Russia è la creazione di condizioni esterne favorevoli alla crescita economica, alla sua transizione verso modelli innovativi e all’innalzamento del tenore di vita delle persone.
È evidente che per garantire il graduale accrescimento delle potenzialità del Paese è necessario un contesto internazionale di stabilità, ed è per questo che la Russia considera la tutela della pace e della sicurezza mondiale non solo come uno dei suoi doveri principali in quanto membro della comunità internazionale e del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche la chiave per la realizzazione dei propri interessi".
"Siamo convinti che il metodo migliore per evitare che la concorrenza globale possa sfociare in conflitti di forza consista nel lavorare instancabilmente affinchè le nazioni più rilevanti nel contesto mondiale, la cui posizione sia determinata in base a parametri geografici e di civilizzazione, abbiano garantito il ruolo di guida della collettività.
Gli sforzi della diplomazia russa sono pertanto volti a influenzare positivamente i processi globali che concorrono alla formazione di un sistema di relazioni internazionali policentrico stabile e, per quanto possibile, autoregolantesi, in cui la Russia riveste a pieno diritto il ruolo di centro chiave".

Nell'articolo è esplicito il richiamo alla visione dello zar Alessandro III che, proprio alla sua salita al trono (1881), delineò una politica estera al servizio dello sviluppo interno del suo impero. Le attuali Linee Guida russe prefigurano un assetto internazionale policentrico, un approccio multidirezionale ed una diplomazia reticolare, in cui la tutela della pace diventa condizione della piena realizzazione delle potenzialità economiche, sociali e culturali della Federazione russa. 
Questo grande paese - adottando l'efficace espressione bismarckiana - è "saturo" di territorio e di ricchezze naturali, ma resta lontano dall'obiettivo di modernizzarsi profondamente e diffusamente, nel rispetto dei principi dello stato di diritto ed estendendo i benefici della prosperità economica a larghi settori della popolazione. Una "saturazione", quest'ultima, che può essere conseguita solo con una equilibrata politica estera.

mercoledì 3 aprile 2013

Storia e capitale civico.


Nel suo recente Manifesto capitalista Luigi Zingales scrive:

"A colmare il divario fra ciò che sappiamo e ciò che dovremmo sapere per prendere una decisione davvero consapevole ci pensa la fiducia: fiducia nella controparte e, più in generale, nell'intero sistema". "La fiducia facilita le transazioni perché consente di risparmiare sui costi di controllo e verifica: è un lubrificante essenziale per gli ingranaggi dell'economia" (p. 250)
"La fiducia è solo un esempio di ciò che chiamo "capitale civico", ossia l'insieme delle aspettative e dei valori che favoriscono la cooperazione" (p. 253).
"Il capitale civico è un fattore produttivo al pari di quello fisico e umano. Nei Paesi in cui è più elevato, c'è meno corruzione e più sicurezza pubblica, la pubblica amministrazione lavora meglio e le aziende private crescono in maniera più efficiente" (p. 254).
"Le ricerche su come si costruisce il capitale civico sono ancora agli albori". "Anche in questo caso la storia gioca un ruolo fondamentale" (p. 254).
In questa prospettiva giova citare alcune considerazioni di Montesquieu, che visitò l'Italia tra l'agosto 1728 e il luglio 1729.





Nel suo Viaggio in Italia (1990) scrive:

" I sudditi del Papa si lamentano del governo dei preti, ma non c'è governo più mite. Il Papa manda denaro in quasi tutti i paesi dei suoi Stati" (p. 279).
" Durante quasi tutti i miei viaggi ho notato che più il popolo è miserabile, più è furbo e imbroglione. A Modena, dove il popolo è oppresso dalle imposte, non si può scambiare una moneta d'argento senza essere derubati; a Bologna, invece, dove sta bene, ci si può fidare di più, eppure sono a 2 poste l'una dall'altra" (p. 289).

Il grande precursore francese del liberalismo sottolinea la relazione tra regime, prosperità e capitale civico. A Bologna, ben governata dal papa re, non mancano la prosperità e la fiducia. Ma se il regime contribuisce a  determinare il capitale civico, è a sua volta da questo influenzato? Con ogni probabilità sì, soprattutto nelle democrazie contemporanee. In esse la domanda politica è importante almeno quanto l'offerta ed è orientata anche dal capitale civico. 


  


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