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martedì 7 maggio 2013

Disoccupazione negli Stati Uniti. C'è poco da stare allegri.



Pressochè unanime è stato l'entusiasmo manifestato per la recente riduzione del tasso di disoccupazione USA. Ma la lettura dei dati pubblicati dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti porta a diverse conclusioni:

"Total nonfarm payroll employment rose by 165,000 in April, and the unemployment
rate was little changed at 7.5 percent, the U.S. Bureau of Labor Statistics
reported today. Employment increased in professional and business services, 
food services and drinking places, retail trade, and health care.

The unemployment rate, at 7.5 percent, changed little in April but has
declined by 0.4 percentage point since January. The number of unemployed
persons, at 11.7 million, was also little changed over the month; however,
unemployment has decreased by 673,000 since January. (See table A-1.)

Among the major worker groups, the unemployment rate for adult women
(6.7 percent) declined in April, while the rates for adult men (7.1
percent), teenagers (24.1 percent), whites (6.7 percent), blacks (13.2
percent), and Hispanics (9.0 percent) showed little or no change. The
jobless rate for Asians was 5.1 percent (not seasonally adjusted),
little changed from a year earlier. (See tables A-1, A-2, and A-3.)

In April, the number of long-term unemployed (those jobless for 27
weeks or more) declined by 258,000 to 4.4 million; their share of the
unemployed declined by 2.2 percentage points to 37.4 percent. Over the
past 12 months, the number of long-term unemployed has decreased by
687,000, and their share has declined by 3.1 percentage points. (See
table A-12.)

The civilian labor force participation rate was 63.3 percent in April,
unchanged over the month but down from 63.6 percent in January. The
employment-population ratio, 58.6 percent, was about unchanged over
the month and has shown little movement, on net, over the past year.
(See table A-1.)

In April, the number of persons employed part time for economic
reasons (sometimes referred to as involuntary part-time workers)
increased by 278,000 to 7.9 million, largely offsetting a decrease in
March. These individuals were working part time because their hours
had been cut back or because they were unable to find a full-time job.
(See table A-8.)".

Dalle statistiche governative emerge che:

- la riduzione del tasso di disoccupazione è percentualmente modestissima

- i nuovi posti di lavoro sono stati creati soprattutto nel settore della ristorazione, del commercio al dettaglio e dell'assistenza sanitaria

- tali nuovi posti sono stati occupati soprattutto da donne adulte

-  da gennaio il numero dei maggiori di sedici anni occupati o che cercano attivamente lavoro si è complessivamente ridotto mentre il tasso di occupazione resta sostanzialmente invariato.

-  il numero di occupati part time per ragioni economiche (lavoratori part time involontari che non sono riusciti a trovare lavoro a tempo pieno) è aumentato.

Il quadro che emerge non corrisponde ai tratti di un'economia che esce dalla crisi. Il nuovo lavoro creato è in larga misura di bassa qualità. Nel paese in crisi i fast food e i supermercati acquistano clienti che prima si rivolgevano a ristoranti e negozi. In una società invecchiata l'assistenza sanitaria offre maggiori occasioni di lavoro. Non solo ogni entusiasmo pare ingiustificato, ma restano solide ragioni per guardare con apprensione alle prospettive della società e della economia americane.
I recenti dati sulla disoccupazione USA non rappresentano insomma un valido argomento contro la politica economica proposta e adottata dalla Germania. Permane plausibile la lettura della crisi che guida i governanti tedeschi. Nella economia globalizzata bisogna incrementare produttività, competitività e innnovazione produttiva, realizzando incisive riforme strutturali. Proprio queste rappresentano l'alternativa al rigore recessivo che tutti vogliono evitare.
Occorre sottolineare che nella competizione economica globale si fronteggiano interi sistemi paese, appesantiti o avvantaggiati da tradizioni, istituzioni, ordinamenti giuridici, strutture produttive, relazioni industriali, politiche fiscali, welfare. C'è molto da fare. Chi illude e si illude non rende un buon servizio ai meno fortunati.


martedì 30 aprile 2013

Unione europea. Meno lavoro nelle telecomunicazioni.





Su corrierecomunicazioni.it, quotidiano online d'informazione sull'ICT, Luciana Maci delinea le inquietanti prospettive occupazionali del settore telecomunicazioni in Europa:

"I carrier europei potrebbero tagliare la forza lavoro del 30% nei prossimi 5 anni, per una perdita complessiva di oltre 300.000 posti: lo sostiene Franca Salis Madinier, presidente del sindacato Uni Europa Icts, che rappresenta i dipendenti del settore tlc in 27 Paesi europei. Ed entro dieci anni, prosegue Madinier, potrebbero addirittura risultare dimezzati i posti di lavoro nelle telco del continente, che a tutt’oggi ammontano complessivamente a circa 1,1 milioni.
Secondo un approfondimento pubblicato oggi da Bloomberg, alcuni dei licenziamenti potrebbero essere dovuti alla decisione degli operatori di dislocare la forza lavoro fuori dall’Unione europea, in aree dove il costo del lavoro è inferiore e ci sono legislazioni meno restrittive sull’impiego".

"Secondo gli analisti interpellati da Bloomberg, tra gli elementi che portano inevitabilmente a una riduzione della forza lavoro c’è la costante evoluzione delle tecnologie: l’upgrade dal rame alla fibra ottica e le reti Lte/4G, con maggiori livelli di self-management,  sono fattori che inducono verso il consolidamento. Così, in un clima di forte crisi dell’eurozona e con la guerra dei prezzi tra operatori mobili, gli investitori continuano ad invocare tagli più netti sul fronte della forza lavoro".

Alcuni dei principali datori di lavoro europei danno così un rilevante contributo alla riduzione dell'occupazione. Le dispute tra fautori e critici del cosiddetto rigore infuriano, mentre si attribuiscono virtù taumaturgiche all'allargamento della base monetaria e alle politiche di bilancio accomodanti. Ma sempre più competitività e produttività sembrano il cuore del problema.
Ciò che ci avvantaggia come consumatori di beni e servizi spesso oggi ci pone in difficoltà come produttori. Assetti raggiunti in sistemi protetti si rivelano inefficienti ed insostenibili nella economia globalizzata. Bisogna sciogliere nodi che appaiono inestricabili, controllare pressioni e tendenze difficili da spiegare prima che da piegare, imparare dagli errori compiuti.

martedì 23 aprile 2013

Un programma per l'Italia.




Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 22 aprile 2013 delineano un programma per l'Italia:

"In campo economico ci sono due priorità: abbassare le tasse su lavoro e investimenti e far ripartire il credito a famiglie e imprese".
"Il taglio della pressione fiscale deve essere significativo. Ridurre le tasse di qualche miliardo non basta per far ripartire la fiducia e l'economia. Un obbiettivo di 4 punti di Pil (circa 50 miliardi), che ci allineerebbe alla pressione fiscale tedesca, non è irraggiungibile nell'arco di qualche anno".
"Dove trovare le risorse? 10-12 miliardi di sussidi si possono abolire da domani, come da mesi chiede Confindustria".
"La situazione del Paese è troppo grave per potersi permettere il lusso di continuare a finanziare servizi sostanzialmente gratuiti per tutti, anche per i ricchi, a partire da università e sanità. Ai ricchi va offerto uno scambio: meno tasse, ma in compenso cominceranno a pagare alcuni servizi. Uno studente universitario costa allo Stato, in media, 7 mila euro l'anno. I ricchi, dopo che gli sono state abbassate le tasse, devono pagarne 10. Con i 3 che avanzano si possono finanziare borse di studio per i meno abbienti meritevoli. Lo stesso vale per la sanità che non può essere gratuita per tutti".
"La commissione Ceriani ha individuato 30 miliardi di agevolazioni fiscali, molte delle quali concesse a chi urlava di più. Qualcosa si può recuperare subito. Gli incentivi alle energie rinnovabili costano a famiglie e imprese (che li pagano in bolletta), oltre 10 miliardi l'anno. Una parte di questi denari sono una rendita concessa a chi ha investito nelle rinnovabili".
"Secondo, far ripartire il credito. Le banche oggi non prestano perché ... non hanno abbastanza capitale. Occorre urgentemente costituire delle bad bank , cioè togliere i crediti andati a male dai bilanci delle banche - spostandoli in nuove società, appunto le cosiddette bad bank - perché solo banche "ripulite" possono attirare nuovi investitori e così rafforzare il loro patrimonio".
"Dopo un intervento radicale su tasse e spese (non prima), con Bruxelles si potrà negoziare".

Il taglio dei sussidi alle imprese consente non solo di realizzare risparmi ma anche di ridurre i tratti clientelari del nostro capitalismo. La fortuna dei nostri imprenditori deve dipendere sempre meno dalle relazioni con il potere politico e sempre più dalla capacità di competere con successo nella economia globalizzata grazie alla qualità di prodotti e servizi offerti. Mentre la ristrutturazione del welfare nella direzione indicata dai professori Alesina e Giavazzi imprime al sistema maggiore efficienza, massimamente se è sempre possibile la scelta diretta tra diversi fornitori di servizi in concorrenza tra loro. Chi paga un servizio è spinto a chiedere il suo adeguamento a standard qualitativi più elevati e comunque a pretendere prestazioni soddisfacenti.
Di queste riforme il paese ha bisogno subito, prima che il declino diventi inarrestabile. Le resistenze saranno forti perchè larghi settori del ceto medio italiano sono insieme vittime e beneficiari dell'attuale assetto sclerotico, inefficiente e clientelare. Occorrono coraggio e lungimiranza. Doti rarissime in una Italia sempre assetata di benessere e sicurezza immediati e inconciliabili.



mercoledì 17 aprile 2013

Il welfare degli enti locali. Fare meglio con meno.




Elisabetta Gualmini è professore ordinario di Scienza della Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche  dell'Università di Bologna. Dal 12/07/2011 è presidente della fondazione di ricerca "Istituto Carlo Cattaneo".  In un articolo su La Stampa del 15 aprile 2013 delinea le condizioni e le prospettive del welfare gestito dagli enti locali italiani. Scrive la professoressa Gualmini:

"Come quando si gioca a palla avvelenata, durante la crisi più dura del secondo dopoguerra, lo Stato ha scaricato gran parte degli obblighi del risanamento finanziario alle regioni e agli enti locali".
" È il “decentramento della penuria”, andato in scena, a forza di sottrazioni, dal 2008 ad oggi, per un totale di oltre 33.000 milioni di euro. Per intenderci, i colpi di accetta sono arrivati a ridurre della metà le risorse degli enti locali (-45% nel 2013)".  
 "I welfare locali sono dunque stati rimaneggiati e riaggiustati con un mix di risposte che vanno dal tutto pubblico al tutto privato, ma che tendono in ogni caso alla de-istituzionalizzazione della cura e quindi richiedono una alleanza con la generazione di mezzo...".
"Il cambiamento dei modelli organizzativi. La rete dei servizi è stata completamente ridisegnata nei territori. Come gli aeroporti, le strutture ospedaliere sono delle reti con al centro ospedali più grandi e altamente specializzati e intorno piccoli presidi per degenze ordinarie e a ciclo breve... Tutto cucito insieme da finanziamenti che solo per il 61% sono pubblici, mentre il restante 39% sono privati (tra contratti outdoor per i fornitori e compartecipazione dei cittadini)".
" Il discorso sul welfare ha dunque bisogno di un nuovo repertorio di soluzioni, di un nuovo lessico e di un rapporto virtuoso tra pubblico e privato".

Nelle democrazie occidentali contemporanee i problemi della finanza pubblica hanno origine in larga misura nel welfare, compreso quello decentrato, e lì devono in altrettanto larga misura trovare soluzione. L' attuale "decentramento della penuria" chiama gli enti locali ad una sua ricostruzione secondo nuove linee guida.
Il rinnovato welfare dovrà sempre più poggiare sulla disciplina pubblica di strumenti privati, dare applicazione coerente al principio di sussidiarietà, che riserva il sostegno pubblico a chi non ce la fa da solo, consentire ai cittadini la scelta del fornitore di prestazioni, in regime di concorrenza. Con effetti positivi anche sotto il profilo dell' equità: devono essere eliminati i tratti regressivi del sistema attuale, dove spesso le imposte pagate dai meno abbienti  consentono di fornire servizi gratuiti o semigratuiti ai benestanti. 
Gli amministratori locali italiani devono fare meglio con meno. Missione impossibile per chi ha saputo dare pessima prova quando le risorse parevano infinite?

mercoledì 10 aprile 2013

Russia. La saturazione dell'impero.

Lo zar Alessandro III

Su Russia OGGI un importante articolo del ministro russo degli Esteri Lavrov pubblicato sulla rivista International Affair n° 3  del 2013. Lavrov espone le nuove Linee Guida in Politica Estera della Federazione Russa, ratificate dal presidente Putin il 12 febbraio 2013.
Scrive il ministro degli Esteri:

"Lo scopo principale dell’attività internazionale della Russia è la creazione di condizioni esterne favorevoli alla crescita economica, alla sua transizione verso modelli innovativi e all’innalzamento del tenore di vita delle persone.
È evidente che per garantire il graduale accrescimento delle potenzialità del Paese è necessario un contesto internazionale di stabilità, ed è per questo che la Russia considera la tutela della pace e della sicurezza mondiale non solo come uno dei suoi doveri principali in quanto membro della comunità internazionale e del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche la chiave per la realizzazione dei propri interessi".
"Siamo convinti che il metodo migliore per evitare che la concorrenza globale possa sfociare in conflitti di forza consista nel lavorare instancabilmente affinchè le nazioni più rilevanti nel contesto mondiale, la cui posizione sia determinata in base a parametri geografici e di civilizzazione, abbiano garantito il ruolo di guida della collettività.
Gli sforzi della diplomazia russa sono pertanto volti a influenzare positivamente i processi globali che concorrono alla formazione di un sistema di relazioni internazionali policentrico stabile e, per quanto possibile, autoregolantesi, in cui la Russia riveste a pieno diritto il ruolo di centro chiave".

Nell'articolo è esplicito il richiamo alla visione dello zar Alessandro III che, proprio alla sua salita al trono (1881), delineò una politica estera al servizio dello sviluppo interno del suo impero. Le attuali Linee Guida russe prefigurano un assetto internazionale policentrico, un approccio multidirezionale ed una diplomazia reticolare, in cui la tutela della pace diventa condizione della piena realizzazione delle potenzialità economiche, sociali e culturali della Federazione russa. 
Questo grande paese - adottando l'efficace espressione bismarckiana - è "saturo" di territorio e di ricchezze naturali, ma resta lontano dall'obiettivo di modernizzarsi profondamente e diffusamente, nel rispetto dei principi dello stato di diritto ed estendendo i benefici della prosperità economica a larghi settori della popolazione. Una "saturazione", quest'ultima, che può essere conseguita solo con una equilibrata politica estera.

mercoledì 3 aprile 2013

Storia e capitale civico.


Nel suo recente Manifesto capitalista Luigi Zingales scrive:

"A colmare il divario fra ciò che sappiamo e ciò che dovremmo sapere per prendere una decisione davvero consapevole ci pensa la fiducia: fiducia nella controparte e, più in generale, nell'intero sistema". "La fiducia facilita le transazioni perché consente di risparmiare sui costi di controllo e verifica: è un lubrificante essenziale per gli ingranaggi dell'economia" (p. 250)
"La fiducia è solo un esempio di ciò che chiamo "capitale civico", ossia l'insieme delle aspettative e dei valori che favoriscono la cooperazione" (p. 253).
"Il capitale civico è un fattore produttivo al pari di quello fisico e umano. Nei Paesi in cui è più elevato, c'è meno corruzione e più sicurezza pubblica, la pubblica amministrazione lavora meglio e le aziende private crescono in maniera più efficiente" (p. 254).
"Le ricerche su come si costruisce il capitale civico sono ancora agli albori". "Anche in questo caso la storia gioca un ruolo fondamentale" (p. 254).
In questa prospettiva giova citare alcune considerazioni di Montesquieu, che visitò l'Italia tra l'agosto 1728 e il luglio 1729.





Nel suo Viaggio in Italia (1990) scrive:

" I sudditi del Papa si lamentano del governo dei preti, ma non c'è governo più mite. Il Papa manda denaro in quasi tutti i paesi dei suoi Stati" (p. 279).
" Durante quasi tutti i miei viaggi ho notato che più il popolo è miserabile, più è furbo e imbroglione. A Modena, dove il popolo è oppresso dalle imposte, non si può scambiare una moneta d'argento senza essere derubati; a Bologna, invece, dove sta bene, ci si può fidare di più, eppure sono a 2 poste l'una dall'altra" (p. 289).

Il grande precursore francese del liberalismo sottolinea la relazione tra regime, prosperità e capitale civico. A Bologna, ben governata dal papa re, non mancano la prosperità e la fiducia. Ma se il regime contribuisce a  determinare il capitale civico, è a sua volta da questo influenzato? Con ogni probabilità sì, soprattutto nelle democrazie contemporanee. In esse la domanda politica è importante almeno quanto l'offerta ed è orientata anche dal capitale civico. 


  

lunedì 25 marzo 2013

Scuola. Meglio pagarla di tasca propria.




Nel suo recente Manifesto capitalista Luigi Zingales ha sottolineato il carattere regressivo del sistema universitario italiano:

"Mentre uno studente costa mediamente all'erario 15.000 euro all' anno, la tipica matricola paga poco più di 1000 euro. Ciò sostiene artificialmente la domanda per un prodotto di scarsa qualità".
"Per sensibilizzare i consumatori alla qualità del prodotto è necessario far pagare loro il costo reale del prodotto. Paradossalmente un'iniziativa altamente progressista. L'università quasi gratuita è una redistribuzione dai poveri (che pagano le imposte ma non vanno all'università) ai ricchi (che ottengono in servizi universitari più di quanto pagano)".
"E per evitare che la retta universitaria sia un ostacolo per gli studenti capaci ma indigenti, basta trasformare l'attuale sussidio in finanziamenti...". (op.cit., 2012, p. 231 e seg.)

Considerazioni analoghe si trovano ne La ricchezza delle nazioni, l'opera più nota ed influente di Adam Smith. Il grande precursore del pensiero economico liberale contemporaneo più di due secoli fa, a proposito dell'istruzione inferiore, ma con rilievi di portata generale, osservò che:

"Lo stato può facilitare l'apprendimento di queste parti dell'istruzione creando in ogni parrocchia o distretto una piccola scuola, nella quale i bambini possano essere istruiti per un compenso così modesto che anche un lavoratore comune possa pagarlo, e in cui il maestro sia pagato in parte, ma non esclusivamente, dallo Stato, perché se fosse pagato esclusivamente, o anche principalmente, dallo Stato imparerebbe presto a trascurare il suo mestiere" ( Adam SMITH, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Libro Quinto, I, Parte III).

Istruzione, sanità, previdenza e assistenza sociali sono rese non solo finanziariamente sostenibili ma anche più efficienti dalla compresenza di disciplina pubblica e strumenti privati. Minore pressione fiscale in cambio di maggiori responsabilità per i ceti medi italiani, chiamati a individuare e a premiare i migliori fornitori di servizi, abbattendo chiusure corporative e steccati ideologici.
Questo è un programma davvero rivoluzionario che purtroppo non troviamo tra quelli di chi dice di voler cambiare tutto.

martedì 19 marzo 2013

Il vescovo di Roma nella prospettiva ecumenica.


Secondo il vigente codice di diritto canonico della Chiesa cattolica

"Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente" (can.331).

Tale potestà del successore di Pietro nell'episcopato romano è uno dei principali ostacoli all'unità dei cristiani. Le altre grandi chiese cristiane infatti riconoscono o possono riconoscere un primato d'onore del vescovo di Roma ma non una sua potestà piena, immediata e universale su tutti i cristiani.
La Chiesa cattolica  persegue il superamento delle divisioni tra le chiese cristiane, con una lucida comprensione dei problemi che rallentano il processo di unificazione. Tra essi particolare  attenzione desta quello rappresentato dal cosiddetto primato petrino, sopra delineato.
Sull'impegno ecumenico resta insuperato il magistero di Giovanni Paolo II che nella lettera enciclica Ut unum sint ha dato alla Chiesa cattolica un compito preciso:

" Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina"

"Ma ... è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero .... Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (95).

Passi decisivi verso l'attribuzione al servizio petrino di forme e contenuti compatibili con la piena comunione delle chiese cristiane sono stati realizzati dai due ultimi papi. Benedetto XVI, rinunciando al suo ufficio di Romano Pontefice e diventando vescovo emerito di Roma, ha sottolineato la centralità del ministero episcopale.
Il nuovo papa Francesco ha con chiarezza percorso la via indicata dal predecessore, con comportamenti la cui portata ecumenica può rivelarsi determinante. In questo senso va letta anche la decisione di rivolgersi ai fedeli durante il suo primo Angelus soltanto in lingua italiana.
Il vescovo di Roma ha parlato alla Chiesa di Roma prima che ai cristiani di tutto il mondo, chiamati  a vedere nel successore di Pietro il titolare di una potestà legata all'importanza della sede episcopale e che si esprime nel servizio all'unità della Chiesa universale.

martedì 12 marzo 2013

Il modello tedesco divide l'Europa.






Emerge con chiarezza un rinnovato modello tedesco, nato dalla riforma della tradizionale economia sociale di mercato. Al conseguimento di una maggiore competitività sono diretti la riduzione della pressione fiscale, la ristrutturazione del welfare, l'impostazione produttivistica di scuola e pubblica amministrazione tutta, il riassetto delle relazioni industriali, l'impulso all'innovazione produttiva, la disciplina della finanza pubblica.

"La Merkel invece si concentra sul futuro più immediato, sulla messa a punto entro giugno, di un patto europeo per la competitività". 
"Ora il copione si ripete a Varsavia ed è anche molto più facile da recitare. Il cancelliere venuto dall'Est in fondo gioca in casa, ne conosce bene la vecchia cultura e ne condivide quella nuova nata sulle macerie del comunismo. Perché è tutta imperniata sul recupero di competitività (in larga parte riuscito) di un modello di sviluppo aperto, fatto di costi e salari bassi, welfare leggero e regimi fiscali mirati a calamitare gli investimenti esteri. Che infatti piovono abbondanti, cinesi in testa. 
La ricetta piace alla Germania dell'economia sociale di mercato riformata. Tanto che medita di farne una sorta di laboratorio delle future riforme europee. I dati parlano chiaro: tra il 1999 e il 2012, grazie alla profonda revisione del suo modello nello scorso decennio, la competitività globale della Germania è salita del 22,5% contro un aumento dell'1,2% in Francia, dell'1,4 in Italia, del 3,3 in Spagna".
"Per colmare queste divergenze abissali, dopo aver imposto il fiscal compact, ora la Merkel sogna il patto per la competitività. Che naturalmente non passa per un euro più debole e neanche per una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese, ma sempre e soltanto per rigore e riforme strutturali a tappeto".

Per tentare di riprodurre questo modello i paesi periferici dell'Eurozona devono realizzare riforme strutturali profonde ed adottare una incisiva austerità fiscale e di bilancio. Hans-Werner Sinn, professore di economia e finanza pubblica all'università di Monaco di Baviera, su Il Sole 24 Ore del 9 marzo 2013:

"Temo che tra la quantità di austerità necessaria per riportare in equilibrio i conti e quella che la popolazione può tollerare senza disordini in strada, c'è un grande dislivello". 

Assistiamo infatti a un diffuso ed aspro rifiuto del cosiddetto rigore fiscale, monetario e di bilancio. Anche il risultato delle recenti elezioni italiane è in larga misura interpretabile in questo senso. Ma rappresenta un'alternativa efficace quella suggerita da Cerretelli con l'accenno alla prospettiva di "euro più debole" e di "una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese"? Bisogna dire chiaramente che questa alternativa non dà i risultati sperati.
A lungo esplorata dall'Amministrazione Obama, non ha consentito di fronteggiare con successo la crisi occupazionale e i problemi posti dalla globalizzazione della competizione economica, mentre si è rivelata insostenibile per gli effetti sulla finanza pubblica. Il perdurante squilibrio della bilancia  commerciale USA e i dati su occupazione/disoccupazione non consentono un giudizio meno severo. Anche le più recenti statistiche ufficiali devono essere lette in questo senso:

"Employment increased in professional and business 
services, construction, and health care". 
Nessun incremento nella manifattura.

"In February, the number of long-term unemployed (those jobless for 27 weeks 
or more) was about unchanged at 4.8 million. These individuals accounted for 
40.2 percent of the unemployed.
The employment-population ratio held at 58.6 percent in February. The civilian 
labor force participation rate, at 63.5 percent, changed little. 
The number of persons employed part time for economic reasons, at 8.0 million, 
was essentially unchanged in February. These individuals were working part 
time because their hours had been cut back or because they were unable to 
find a full-time job.
In February, 2.6 million persons were marginally attached to the labor force, 
the same as a year earlier. (The data are not seasonally adjusted.) These 
individuals were not in the labor force, wanted and were available for work, 
and had looked for a job sometime in the prior 12 months. They were not 
counted as unemployed because they had not searched for work in the 4 weeks 
preceding the survey".
 Il numero dei disoccupati di lunga durata, dei non occupati e degli occupati a tempo parziale per motivi economici resta molto lontano dai livelli auspicati.

Ma come fare accettare alla ricalcitrante opinione pubblica dei paesi più colpiti dalla crisi le  necessarie riforme? Iniettando robuste dosi di equità nell'attività riformatrice e di verità nel dibattito pubblico. Il peso del cambiamento più deve essere sopportato da chi in passato ha tratto maggior vantaggio dalle relazioni clientelari, dalle rendite di posizione, dalle chiusure corporative, dai privilegi più odiosi. Mentre devono essere posti a disposizione dei cittadini  elementi che consentano di formare opinioni più costruttive perchè meglio corrispondenti alla struttura dei problemi. 




martedì 5 marzo 2013

Einaudi e De Gasperi. L'Italia ricostruita con il rigore.








Luigi Einaudi, governatore della Banca d'Italia, ministro delle Finanze e del Tesoro e poi ministro del Bilancio nei Governi De Gasperi, difese strenuamente il valore della lira e limitò rigidamente la spesa pubblica. Questa condotta economica rese possibile la ricostruzione italiana dopo la Seconda guerra mondiale.






Randolfo Pacciardi fu dal 1948 al 1953 ministro della Difesa nei governi De Gasperi. Ha ricordato il secondo presidente della Repubblica italiana con queste  parole:

"Il prestigio di Einaudi in materia economica era indiscusso ed era a lui che spettava l'ultima parola sulle proposte di legge dei singoli ministri. Era rigidissimo. Le sedute del Consiglio dei Ministri con De Gasperi erano interminabili. Einaudi sembrava disinteressarsi delle lunghe discussioni che non riguardavano la sua specifica competenza. Si faceva portare regolarmente un brodo alle 11 del mattino e riteneva che quello fosse il tonico migliore per tener desta la sua attenzione. E' avvenuto anche a me di tentare di profittare a tarda ora della sonnecchiante distrazione di Einaudi per varare proposte di legge che comportavano spese per la Difesa, ma al punto culminante il Ministro del Bilancio si risvegliava regolarmente per dire di no. La difesa della lira faceva parte, egli diceva, del problema generale della difesa del paese".
"Pella, come Ministro del Tesoro aveva davvero le spalle al sicuro. Con questi cerberi alle finanze dello Stato non si facevano davvero spese inutili. Il raddrizzamento della situazione economica nei governi cosiddetti centristi lo si deve certamente a Einaudi" (Protagonisti grandi e piccoli, 1972, p. 186).

Oggi, quando il declino dell'Italia appare una prospettiva difficile da evitare, la lezione di Einaudi e De Gasperi è più che mai attuale. Mentre la demagogia contraddistingue i discorsi e la propaganda dei loro sedicenti eredi, si deve riaffermare con forza il valore della politica economica che consentì di ricostruire l'Italia devastata dalla guerra. 




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