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sabato 14 agosto 2010

Giovanni Giolitti. Memorie della mia vita







Mentre si prepara la celebrazione dell'Unità d'Italia ricordiamo il primo vero grande statista dell'Italia unita, Giovanni Giolitti. Piemontese, di estrazione borghese e formazione giuridica, segnò con la sua opera un'intera stagione politica italiana. I suoi governi modernizzarono il paese e ne allargarono la base democratica.
Cercò di evitare la Prima guerra mondiale e la partecipazione ad essa dell'Italia. Tentò di coinvolgere i socialisti nel governo. Lavorò per inserire il movimento fascista nelle istituzioni costituzionali e smorzarne così l'impeto eversivo. Ad altri in larga misura è imputabile il fallimento di questi obiettivi.
Le Memorie della mia vita sono un documento fondamentale per la comprensione di una grande parte della storia dello stato italiano unitario e dei suoi problemi. Da esse emergono l'Italia che è stata e quella che sarebbe potuta essere.
Si possono interamente e gratuitamente leggere qui:

Volume I

Volume II

Alcune brevi citazioni evocano con immediatezza i tratti antiretorici e pragmatici del suo carattere e la sua lucida e lungimirante intelligenza.

"Quando sopraggiunse la guerra del cinquantanove, avevo diciassette anni; ero figlio unico di madre vedova, e non potevo lasciarla."

Poi, sulla Prima guerra mondiale:

"Ricordavo i due tentativi dell'Austria, che avevo concorso a sventare, per aggredire la Serbia nell'anno precedente, e sentivo e sapevo che il partito militare austriaco mirava ostinatamente a tale scopo; ma io confidavo che le ragioni della pace, che erano così grandi e universali, avrebbero prevalso contro quella criminale infatuazione. La guerra con la Serbia era voluta dai militaristi austriaci come mezzo per sanare le discordie interne, con l'illusione che essa potesse rimanere isolata; ma io pensavo che le altre potenze, che non avevano quelle ragioni e non potevano farsi illusioni sul contegno della Russia di fronte ad una tale provocazione, e che avrebbero dovuto comprendere l'enormità del disastro che la guerra europea sarebbe stata per tutti, avrebbero all'ultimo trovato un compromesso ed una transazione che evitasse l'immane rovina."

"...io osservavo che non si può portare il proprio Paese alla guerra per ragione di sentimento verso altri popoli, ma solo per la tutela del suo onore e dei suoi primari interessi. Tali sono le ragioni pratiche...per le quali io esprimevo parere contrario all'entrata dell'Italia in guerra; e le quali, per quanto riguarda le previsioni della durata della guerra, delle sue difficoltà e dei sacrifizi di uomini e di ricchezza che essa implicava, furono poi pienamente confermate dagli avvenimenti."




Per approfondire: Aldo A. Mola - "Giovanni Giolitti. Il senso dello Stato"





domenica 8 agosto 2010

Riforme liberali. Riforme per il consenso, consenso per le riforme.




Uno dei pochi genuini intellettuali liberali che l'Italia può vantare, Piero Ostellino, ha scritto sul Corriere della Sera:

"...il presidente del Consiglio ha un solo modo di ripristinare la propria leadership appannata. Recuperare la vecchia spinta propulsiva liberale della prima ora. Interpretare le esigenze economiche e sociali e le pulsioni di «piccoli», imprese, professionisti e autonomi...".

Qui Ostellino, certo perché costretto negli spazi angusti di un quotidiano, salta alcuni passaggi fondamentali. Quale dovrebbe essere la struttura di un programma liberale? Quali le condizioni per la sua realizzazione? E' molto diffusa nell'opinione pubblica una visione caricaturale del liberalismo, concepito come assenza di regole che consente abusi e sopraffazioni. Il liberalismo è favore per la libertà individuale ma, proprio in vista di questo obiettivo fondamentale, richiede invece ai governi che vogliano ispirarsi ad esso un impegno vasto e multiforme. Appare ancora insuperata l'indicazione dei compiti di un governo liberale che Adam Smith destinò a contrassegnare il libro quinto del suo La ricchezza delle nazioni:

" Al primo dovere del sovrano, quello di proteggere la società dalla violenza e dall'aggressione di altre società indipendenti, si può adempiere solo per mezzo di una forza militare."

"Il secondo dovere del sovrano, quello di proteggere, per quanto possibile, ogni membro della società dall'ingiustizia e dall'oppressione di ogni altro membro della società stessa, cioè il dovere di instaurare un'esatta amministrazione della giustizia"

"Il terzo e ultimo dovere del sovrano o della repubblica è quello di erigere e conservare quelle pubbliche istituzioni e quelle opere pubbliche che, per quanto estremamente utili a una grande società, sono però di natura tale che il profitto non potrebbe mai rimborsarne la spesa a un individuo o a un piccolo numero di individui, sicché non ci si può aspettare che un individuo o un piccolo numero di individui possa erigerle o conservarle...opere e istituzioni di questo genere sono principalmente quelle per facilitare il commercio della società e quelle per promuovere l'istruzione della popolazione".

Questi principi conducono ad una azione riformatrice capace di rafforzare l'autorevolezza dei governi e di procurare loro consensi. Ciò però è meno semplice di quanto appare. Una parte di queste riforme pesa su una spesa pubblica che già pone notevoli problemi. Ma alcune di esse possono costare anche sotto il profilo del consenso. Tanti sono i beneficiari di assetti e metodi corporativi ed illiberali, anche tra i soggetti citati da Ostellino. Basti pensare alla necessaria riforma degli ordini professionali. Mentre il tentativo di riformare giustizia e scuola sta già provocando resistenze che non sembrano guardare tutte all'interesse del paese.
Dunque non è facile procedere nel senso auspicato da Ostellino. E' necessaria una cultura liberale diffusa che non c'è. Mentre potrebbe mancare il consenso proprio a quelle riforme che lo stesso Ostellino considera idonee a crearlo.

venerdì 30 luglio 2010

L' informazione militante. Purchè non sia la sola.


In una lettera a Lord Coleraine del 31 maggio 1970, che si può leggere in Karl POPPER, Dopo La società aperta, ed. 2009, pagg. 385 e 386, il filosofo austriaco scrive:

" Per motivi a me del tutto ignoti, la propaganda di sinistra ha ottenuto una vittoria in quasi tutti i Paesi occidentali che può essere definita solo come completa. Sembra che essi si siano accaparrato il monopolio nel controllo di tutti i "mass-media" (la loro orribile terminologia). Come ciò possa essere accaduto non so..."

Questo pare vero in larga misura anche oggi. Il giornalismo militante "liberal", progressista, mostra ancora una straordinaria capacità di costruire reti e collegamenti, di conquistare redazioni, ordini professionali, scuole di giornalismo.
Il primo organizzatore e l'insuperato maestro di questa forma di militanza è stato con ogni probabilità il vecchio Willi Munzenberg. Comunista tedesco al servizio dei sovietici, editore ed organizzatore apparentemente indipendente di movimenti, campagne propagandistiche ed eventi culturali, diffuse idee e visioni del mondo tuttora presenti e vive nella opinione pubblica delle democrazie occidentali. Molti, di solito senza sapere nulla di lui, oggi applicano ancora i suoi metodi ed adottano le sue tattiche.
Non è possibile separare i fatti dalle opinioni. Informare vuol dire inevitabilmente anche formare. Individuare i fatti rilevanti e presentarli in un modo piuttosto che in un altro è necessariamente il frutto di una scelta. Ogni giornalista informando tenta di convincere, di accreditare una lettura della realtà.
Ma il giornalista militante va oltre. Cerca di influenzare la vita politica, di aiutare o danneggiare politici o movimenti politici. Tenta addirittura di redigere l'agenda politica, di diventare l'effettivo titolare dell'indirizzo politico. La ricerca della verità viene in subordine. La verità è per lui solo un sottoprodotto eventuale, uno strumento di cui talvolta avvalersi.
Tutto sommato meglio il giornalista che cerca lo scoop per guadagnare di più e vivere nel lusso. E' meno pericoloso per la libertà. E qualche volta finisce pure per darle una mano.

martedì 20 luglio 2010

Cristianesimo e condizione femminile. I musulmani alla scoperta dell'Europa.




Quello dell'influenza del cristianesimo sulla condizione della donna occidentale è un tema controverso e lungamente dibattuto. Sembra però prevalere la convinzione che la religione tradizionalmente dominante in Occidente abbia svolto in quest'ambito un ruolo negativo. E' opinione comune che quindici secoli di egemonia cristiana abbiano costituito un lungo periodo di limitazione della libertà della donna, di lesione della sua dignità e di repressione sessuale. Ma è davvero così?
Almeno qualche dubbio fanno sorgere le testimonianze dei musulmani che hanno visitato l'Europa cristiana dal nono al diciannovesimo secolo, prima che il disincanto e la secolarizzazione che hanno progressivamente segnato gli ultimi duecento anni ed in particolare il Secondo dopoguerra mutassero di nuovo radicalmente costumi, visioni del mondo ed assetti giuridici. Il merito di aver raccolto e reso accessibili al grande pubblico queste testimonianze è del professor Bernard Lewis, uno dei più autorevoli studiosi dell'Islam e del Medio Oriente del Novecento. Nel suo I musulmani alla scoperta dell'Europa, ed. 2004, pagg. 351 e segg., Lewis scrive:

"Dall'esame dei libri di viaggio tramandatici, possiamo asserire che, fino al XIX secolo, i visitatori musulmani in Europa furono tutti, senza eccezione, uomini.
Tuttavia, la maggior parte di essi esprime qualche osservazione sul tema della donna e del suo ruolo nella società...: l'istituzione cristiana del matrimonio monogamico, l'assenza di norme sociali che limitino in modo sostanziale la libertà della donna e la considerazione in cui sono tenute anche dalle persone di elevato rango destano immancabilmente meraviglia, sebbene mai ammirazione, nei visitatori provenienti dalle terre islamiche".

"Un fatto che non poteva lasciare indifferenti gli osservatori musulmani sia dell'età medievale che dell'età moderna era, per esprimerci con i loro termini, la licenziosa libertà delle donne e la straordinaria mancanza di virile gelosia negli uomini"

"C'era un connotato della società cristiana che puntualmente sconcertava gli stranieri musulmani: il rispetto con cui venivano trattate le donne in pubblico. Evliya osserva:

In quel paese vidi una cosa straordinaria. Se l'imperatore incontra una donna per strada ed è a cavallo, si ferma e cede il passo alla donna. Se, invece, egli è a piedi e incontra una donna, si ferma in atteggiamento cortese. Poi la donna saluta l'imperatore ed egli si leva il cappello e si rivolge alla donna con deferenza e riprende il cammino solo dopo che ella sia passata. E' uno spettacolo straordinario.
In questo paese, come pure in altre terre degli infedeli, l'ultima parola spetta alle donne, che vengono onorate e riverite per amore di Madre Maria".

Di straordinaria importanza queste ultime parole di Evliya. Viene messo in rilievo il consapevole rapporto tra tradizione cristiana e trattamento riservato alla donna.
Le fonti musulmane qui citate rappresentano testimonianze certamente dirette a stupire il lettore. Ma la preoccupazione di sorprendere, di meravigliare, non le rende meno significative. Emerge un quadro sostanzialmente inaspettato, capace di porre in discussione più d'un luogo comune.

Bernard LEWIS, I musulmani alla scoperta dell'Europa, prima edizione, 2004.



sabato 10 luglio 2010

Soldi e politica. L'altra faccia della luna.


Molti italiani, soprattutto giovani, e moltissimi stranieri non riescono a capire come l'elettorato italiano possa aver determinato con il suo voto l'attuale assetto politico. Sembra difficile da comprendere una scelta che indagini della magistratura, conflitti di interesse e notevoli anomalie dovrebbero precludere.
In realtà basta raccontare qualcosa del rapporto tra soldi e politica negli ultimi decenni. La Repubblica italiana è nata nel 1946 come repubblica dei partiti, soprattutto di partiti di massa, costosi e distributori impenitenti di impieghi, prebende, sinecure. Fin da subito uomini politici e partiti hanno avuto bisogno di denaro, lo hanno cercato e lo hanno ottenuto. La situazione internazionale, la gestione pubblica di attività economiche e certi tratti della società italiana hanno reso piuttosto agevole tutto ciò.
Alcune date e qualche numero. Tra il 1974 ed il 1975 il parlamento si occupa del finanziamento dei partiti. Prevede forme di finanziamento pubblico e sanzioni penali per i finanziamenti fuori legge. Dunque almeno da questa data la magistratura può colpire sistematicamente il passaggio illecito di denaro ai politici ed alla politica, di cui si avvantaggia pesantemente anche il Partito comunista italiano.
Nel solo periodo dal 1973 al 1979, secondo la documentazione sovietica esaminata dal professor Zaslavsky, esso riceve dall' Unione Sovietica 32-33 milioni di dollari. Eppure, stranamente, per quindici lunghi anni la magistratura non riesce ad intervenire se non sporadicamente e con indagini a carico soltanto di esponenti della maggioranza di governo.
Pochi casi, non più di cinque. Tra essi qualche scandalo: il caso Lockheed, quello Italcasse.
Molto rumore, un presidente della repubblica sicuramente innocente, Leone, costretto vergognosamente alle dimissioni da una campagna di stampa e dalla richiesta del PCI. Ma, appunto, nulla di sistematico. Basti pensare che dal 1987 al 1992 alla Camera non giunse nessuna richiesta di autorizzazione a procedere per reati di questo tipo.
Quando arriva il 1989 tutto comincia a muoversi. Nell'autunno, quasi contemporaneamente, cade il Muro di Berlino ed il parlamento italiano con voto unanime approva un'amnistia per i reati di finanziamento illecito dei partiti. Colpo di spugna, con il consenso di tutti. Nessuno, o quasi, grida allo scandalo.
Pochi anni dopo, dal 1992 al 1994, la magistratura italiana scatena l'operazione Mani pulite.
Inchieste promosse dalle principali procure, con numerosi arresti ed estese indagini patrimoniali, portano alla scomparsa di interi partiti politici di governo, la DC ed il PSI prima di tutti.
L'ex PCI resta sostanzialmente indenne, toccato solo marginalmente dalle indagini, senza conseguenze di rilievo. Lo schieramento politico italiano è azzerato nella sua parte moderata. Una storia italiana, certamente non priva di contraddizioni, zone d'ombra, interrogativi senza risposte convincenti, anomalie.
Quando Berlusconi si propone nel 1994 gli elettori moderati non hanno più chi li rappresenti e si stanno abituando alle anomalie, alle non invidiabili peculiarità italiane. Da allora accettano un'anomalia che ai loro occhi appare una risposta inevitabile ad altre anomalie che non possono accettare.



Per questo scritto devo molto ad un libro breve ma importante, che già ho consigliato su questo blog: Ernesto GALLI DELLA LOGGIA, Tre giorni nella storia d'Italia.



venerdì 2 luglio 2010

Il vecchio e il nuovo nella Voce della Russia.


I rapporti della Russia con  gli Stati Uniti e i loro tradizionali alleati attraversano una fase di profondo cambiamento. Il presidente Obama ha parlato di "reset", di nuovo inizio. Ma il processo era già avviato prima della sua elezione e probabilmente sopravviverà alle vicissitudini della sua presidenza.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e la dissoluzione dell'apparato ideologico marxista leninista i dirigenti russi hanno dovuto fronteggiare immensi problemi. Un'economia devastata, spinte centrifughe etnico-religiose, terrorismo, un'opinione pubblica caratterizzata da sentimenti nazionalisti ed antioccidentali, frutto in larga misura di decenni di martellante propaganda sovietica, l'enorme vicino cinese.
Le loro risposte sono state e sono incerte e contraddittorie, mentre gli Stati Uniti hanno gestito l'eredità di tanti decenni di dura contrapposizione faticando a comprendere nuovi limiti e nuove opportunità. Ma la convergenza di interessi e la consapevolezza della sua esistenza sembrano consolidarsi. Uno dei modi più diretti ed interessanti per misurare il nuovo e il vecchio è visitare il sito ufficiale della redazione italiana della Voce della Russia, radio internazionale di questo grande e composito paese.
Tra retorica stantia, stile burocratico, relitti di un pesante passato, troviamo dichiarazioni sorprendenti, resoconti di incontri inaspettati ed inusuali. Ci sono i nuovi contatti con il governo di Israele, i momenti di collaborazione con la NATO, l'impegno per salvaguardare simboli religiosi - il crocifisso - un tempo combattuti. E poi l'irritazione per alcune operazioni americane in ex repubbliche sovietiche ma anche l'impegno per contrastare l'avventura nucleare iraniana.
Non è irrealistico pensare di poter allargare il dominio di libertà e diritti non contro bensì insieme alla Russia. Ma occorre grande cautela. Medvedev e Putin vanno attesi alla prova dei fatti. Si comprenda però che una Russia allo sbando che imploda sotto il peso dei propri ritardi e delle proprie difficoltà non è mai stata e non è nell'interesse dell'Occidente.


sabato 26 giugno 2010

Il declino dell' intelligenza europea. Da Henri Pirenne e Johan Huizinga a Dan Brown.

Qualche giorno fa, in Belgio, nell'ambito di una scrupolosa inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa cattolica, un magistrato ha ordinato di perquisire la cripta della cattedrale di Mechelen.
Nulla è stato trascurato. Sono state cercate prove contro i pedofili perfino dentro le tombe dei cardinali Van Roey e Suenens. Purtroppo gli inquirenti hanno dovuto usare il martello pneumatico.
Solo pochi decenni fa in questa florida regione europea le persone destinate a svolgere ruoli di rilievo si formavano con le opere di autori come Henri Pirenne o Johan Huizinga. Ora evidentemente sono i romanzi di Dan Brown ad avere il privilegio di scolpire queste belle intelligenze.

domenica 20 giugno 2010

Le liberalizzazioni. Perchè è necessario modificare la costituzione.

La costituzione della repubblica italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 è stata poi modificata profondamente, sia ricorrendo alle procedure previste dalla costituzione stessa nell'articolo 138 per la sua revisione, sia con il mutamento della cosiddetta costituzione materiale cioè della prassi costituzionale.
Per esempio, nel rispetto dell' art. 138, negli anni Novanta è stato ridefinito in senso assai restrittivo l'istituto dell'immunità parlamentare, fino ad alterare l'equilibrio tra poteri e organi costituzionali stabilito dall'Assemblea costituente eletta nel 1946.
Mediante l'evoluzione della prassi costituzionale poi, almeno a partire dalla presidenza Pertini, si sono attribuiti al presidente della repubblica compiti di indirizzo politico e di controllo della costituzionalità delle leggi certamente eccedenti le attribuzioni originariamente previste ed esercitate.
In questi giorni si è riacceso il dibattito sulle liberalizzazioni. Il nostro paese ha bisogno di una crescita economica più vigorosa. La riduzione degli oneri burocratici ed amministrativi a carico degli imprenditori e degli ostacoli alla nascita di nuove imprese può dare un contributo notevole al conseguimento di tale obiettivo.
Molto si può fare con leggi ordinarie. E' però non solo possibile, come sopra ricordato, ma necessario procedere a modifiche della costituzione. Per più di una ragione. Una parte del dettato costituzionale pare non solo superata dagli eventi, ma  anche sbagliata nei suoi presupposti teorici e tale da imporre allo stato una condotta sterile o addirittura controproducente.
Basti pensare all'ultimo comma dell' articolo 41: " La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". La programmazione economica, mitica panacea tenacemente perseguita nel Secondo dopoguerra, quando effettivamente tentata non ha dato affatto i risultati sperati. Ha bensì contribuito allo sperpero di risorse e prodotto distorsioni ancora in atto. Sembra dunque assurdo continuare a prevederne l'attuazione.
E' inoltre opportuno costituzionalizzare il principio di favore per i controlli successivi e quello della responsabilizzazione degli imprenditori, per fornire un indirizzo all'azione della repubblica indipendente da effimere ristrette maggioranze parlamentari, ma non solo. Va sottolineato infatti che l'onere di adeguare l'imponente legislazione economica italiana a questi principi non può gravare soltanto sulle spalle di parlamento e governo. Idonee revisioni della costituzione consentirebbero alla magistratura di chiamare anche la Corte costituzionale a contribuire significativamente alle liberalizzazioni. La Corte potrebbe così intervenire sulla normativa da adeguare ai nuovi principi ridisegnandola direttamente o provocando l'intervento del legislatore ordinario.
Del resto la conformità alla costituzione dell'intera legislazione italiana è stata nella storia repubblicana in larga misura ottenuta proprio grazie all'intervento della Corte costituzionale.
Applichiamo dunque la costituzione. Modificandola.

lunedì 14 giugno 2010

Il problema degli Ebrei secondo Karl Popper. Perchè oggi bisogna difendere Israele.


I genitori di Popper, nato in Austria, venivano da una famiglia di fede ebraica, anche se presto decisero di convertirsi al protestantesimo. Dunque il filosofo austriaco conosceva bene il problema della condizione degli Ebrei in Europa. Racconta Popper in La ricerca non ha fine - Autobiografia intellettuale -seconda edizione, 1978, pagg. 108 e 109:

"Dopo lunga riflessione, mio padre decise che il vivere in una società stragrandemente cristiana imponeva l'obbligo di recare la minima offesa possibile - l'obbligo di farsi assimilare.
Ma ciò voleva dire recare offesa al giudaismo organizzato. E voleva anche dire essere denunciato come vile, come un uomo che aveva paura dell'antisemitismo.
Tutto questo era comprensibile. Ma la risposta fu che l'antisemitismo era un male di cui dovevano aver paura tanto gli ebrei quanto i non-ebrei, e che era compito di tutte le persone di origine ebraica di fare del loro meglio per non provocarlo: molti ebrei, inoltre, si fusero con la popolazione: l'assimilazione era all'opera.
Certo è ben comprensibile che le persone che venivano disprezzate in ragione della loro origine razziale avrebbero reagito dicendo di esserne orgogliose. Ma l'orgoglio razziale non è solo una cosa stupida, ma pure sbagliata, anche nel caso in cui sia provocato dall'odio razziale.
Ogni nazionalismo o razzismo è un male, e il nazionalismo ebraico non rappresenta un'eccezione".

Popper è guidato dalla convinzione che ciascuno è responsabile della propria condotta e delle sue conseguenze, in particolare delle sofferenze ingiuste provocate. Seguendo questo criterio nel 1989 si rifiutò di firmare un "Appello Mondiale" a favore di Salman Rushdie, autore di un romanzo secondo molti musulmani recante ingiurie all'Islam e per questo minacciato di morte dai fondamentalisti islamici. Alla contesa seguirono scontri ed uccisioni. In questa occasione così scrisse a Isaiah Berlin:

"Infatti, sappiamo tutti che l'Ayatollah è di gran lunga il peggiore criminale. E ovviamente Rushdie dovrebbe essere protetto dalla polizia. Possiamo anche dispiacerci per lui. Ma mi dispiace molto di più per le persone che sono state uccise in questo conflitto. Credo che ogni libertà implichi dei doveri: usare responsabilmente la propria libertà."

La lettera a Berlin si può leggere in Karl POPPER, Dopo la società aperta, ed. 2009, pag.308.

Dunque l'autore della Società aperta e i suoi nemici pensava che gli Ebrei avrebbero dovuto fare ogni sforzo per integrarsi nelle società europee cui appartenevano per nascita. Ciò si risolve in una severa critica del sionismo contemporaneo, movimento nato nella seconda metà del Diciannovesimo secolo per dare una terra al popolo ebraico, poi individuata nel territorio dell'Israele biblico.
Il movimento sionista promosse il trasferimento in Palestina di centinaia di migliaia di ebrei a partire appunto dalla seconda metà dell'Ottocento. Dopo la Seconda guerra mondiale, l'Olocausto e sanguinosi contrasti la comunità internazionale prese atto della nuova situazione creatasi in Palestina e consentì la costituzione dello stato d'Israele. Le vicende di Israele nel Secondo dopoguerra mostrano la lungimiranza e la lucidità della posizione popperiana sul problema degli Ebrei.
Ma proprio seguendo questa stessa impostazione dobbiamo oggi prendere risolutamente la difesa di Israele.
Lo stato ebraico di Israele esiste da oltre sessanta anni, è la sola genuina democrazia del Medio Oriente, il solo sincero amico dell'Occidente nella regione. Centinaia di migliaia di famiglie ebree dipendono dalla sua esistenza per il loro presente ed il loro futuro. Metterla in discussione o soltanto porre in dubbio la legittimità dello stesso Israele nella sua forma attuale sarebbe criminale. Consentirne la caduta inoltre avvantaggerebbe i fondamentalisti islamici, che se ne attribuirebbero il merito presso i correligionari, avanzando ulteriori esorbitanti pretese.
Del resto in generale la storia del potere è storia di errori e di crimini. Se le origini storiche e il fondamento ideale e concettuale dovessero guidare il giudizio sul destino degli stati, quale di loro si salverebbe?





sabato 5 giugno 2010

Crocevia della storia. Stalin e Hitler trattarono una pace separata durante la Seconda guerra mondiale?.




Chi ha qualche interesse per la storia del Novecento sa che alla fine dell'estate del 1939 Tedeschi e Sovietici si accordarono per invadere la Polonia e spartirsi il suo territorio.
L'invasione della Polonia fu seguita dalla dichiarazione di guerra di Gran Bretagna e Francia alla Germania nazista. Cominciò così la Seconda guerra mondiale.
La collaborazione tra Tedeschi e Sovietici si spinse fino quasi alle soglie dell'alleanza formale.
Ma nel giugno del 1941 Hitler decise di attaccare l'Unione sovietica. Dopo i successi iniziali i Tedeschi non riuscirono a ottenere una vittoria decisiva. Si arrivò così, nell'incertezza, al giugno del 1943.
Americani e Britannici erano intanto impegnati su due fronti. In Estremo oriente contro i Giapponesi. In Europa, dopo aver costretto alla resa Tedeschi ed Italiani in Africa settentrionale, preparavano lo sbarco in Sicilia, poi realizzato in luglio. 

"In giugno Molotov si incontrò con Ribbentrop a Kirovograd, in quel momento 15 km. al di qua delle linee tedesche, per esaminare quali possibilità esistessero di porre fine alla guerra. Secondo ufficiali tedeschi che presero parte all'incontro in qualità di consiglieri tecnici, Ribbentrop proponeva come principale condizione di pace che la futura frontiera della Russia corresse lungo il Dnepr, mentre Molotov non si diceva disposto a prendere in considerazione alcuna soluzione che non prevedesse il ripristino delle frontiere originali; la discussione si protrasse a lungo per la difficoltà di conciliare queste due posizioni così lontane e fu infine interrotta quando sembrò che la notizia dell'incontro fosse trapelata, giungendo all'orecchio delle potenze occidentali. La sentenza veniva così di nuovo demandata al campo di battaglia."

La storiografia più recente ha sottoposto a serrata critica il valore scientifico degli scritti di Liddell Hart, coinvolto negli avvenimenti e spinto dalla preoccupazione di difendere il suo prestigio. In questa prospettiva merita particolare attenzione John J. MEARSHEIMER, Liddell Hart and the Weight of History , 2010, Cornell University Press. Mearsheimer esamina criticamente il lavoro di Liddell Hart presentando argomenti diretti a demolirne la credibilità. Come sempre è nessaria una valutazione attenta ed equilibrata.
Sul tentativo di pace separata dato per avvenuto da L. Hart prevale tra gli storici un forte scetticismo, fondatamente determinato dalla mancanza di fonti. Un tentativo di pace separata nei termini riferiti da L. Hart è dunque improbabile, ma non impossibile. La paranoia di Stalin, il suo cinico opportunismo e quello di Hitler, non ci consentono di escludere del tutto l'ipotesi. Il sorprendente patto Molotov Ribbentrop del 1939 deve far riflettere.



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