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lunedì 14 febbraio 2011

La dignità delle donne.





"I diamanti sono il miglior amico di una ragazza".
Questo scintillante personaggio interpretato da una splendida Marilyn Monroe è l'insuperata rappresentazione di "una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia - diciamo così - partecipe chi può concretarla". L'efficace espressione è di Piero Ostellino.

Dunque non da ora in questo senso la dignità della donna è in pericolo. In che modo le donne possono realmente affermare la loro dignità? Con lo studio ed il lavoro prima di tutto.
Scrive il professor Luca Ricolfi su Panorama del 3 febbraio 2011 (pag. 89):
"Non passa giorno senza che la stampa denunci il dramma dell'occupazione in Italia. Due milioni di disoccupati 1 miliardo di ore di cassa integrazione nel solo 2010, quasi 30 giovani su 100 alla ricerca di un lavoro. E poi il dramma del precariato, la difficoltà di conquistare un lavoro stabile e farsi una famiglia".

"Tutto vero". "Però... Però le cose non sono semplici come sembrano. Ancora alla fine del 2008, a crisi ampiamente iniziata, le aziende lamentavano una drammatica mancanza di laureati, in particolare nei settori tecnico-scientifici: ingegneria, matematica, biologia, geologia, chimica, farmacia, agraria. Ed è di pochi giorni fa la notizia che nei prossimi anni potremmo trovarci a dovere importare 15-20 mila medici dall'estero, specie in alcune specialità in sofferenza: anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria, chirurgia.
In breve, è vero che i laureati non trovano lavoro, ma è anche vero che ci sono in giro troppo pochi laureati nei settori pregiati. I giovani preferiscono le lauree deboli, facili e a basso contenuto scientifico, oppure si indirizzano in massa verso lauree erroneamente ritenute forti, come economia, giurisprudenza e psicologia, dove la promessa di grandi guadagni è bilanciata dal fatto che i laureati sono troppi rispetto ai posti disponibili. Non va meglio sul versante dell'istruzione tecnica e professionale. Da anni le organizzazioni imprenditoriali lamentano la mancanza di pavimentatori, idraulici, elettricisti, informatici, esperti di telecomunicazioni, infermieri, operai specializzati, solo per fare qualche esempio. Però gli istituti tecnici e professionali sono snobbati dalle famiglie, che per i propri figli, e specialmente per le ragazze, preferiscono un'istruzione di tipo liceale, anche se spesso questa non si conclude né con una laurea né con l'acquisizione di un mestiere ben definito.
Per non parlare di quel che accade nel caso dei lavori più umili, particolarmente diffusi in un paese arretrato come l'Italia. Qui i posti di lavoro che si creano ogni anno sono moltissimi, ma agli italiani interessano sempre meno. Basti pensare che fra la fine del 2007 e la fine del 2010, nel cuore della crisi, gli immigrati conquistavano più di 500 mila nuovi posti di lavoro, in gran parte in occupazioni a basso contenuto professionale, sebbene il livello medio di istruzione degli stranieri sia comparabile a quello degli italiani.
Alla fine, a ben rifletterci, il problema della disoccupazione in Italia ha due facce. La mancanza di una seria politica industriale ha fatto sì che nel nostro Paese i posti di lavoro altamente qualificati scarseggiassero. Nello stesso tempo le scelte delle famiglie, ostili al lavoro manuale non meno che agli studi impegnativi, hanno finito per illudere un'intera generazione, cui ora risulta difficilissimo cogliere le non molte occasioni che il mercato del lavoro ancora offre".

Già ora, complessivamente, in Italia le donne si laureano più e meglio degli uomini. Ma siano in testa anche nell'accettare la sfida posta dal mercato del lavoro nei termini esposti da Ricolfi. Siano le prime a dedicarsi agli studi e ai lavori più impegnativi. Non temano mercato e concorrenza, severi con le imprese che non impiegano i più capaci. E scelgano uomini determinati a fare altrettanto. Sarà l'intero paese a ringraziare, reso migliore dal lavoro, non dalla retorica.




giovedì 10 febbraio 2011

Il parlamento nelle democrazie liberali contemporanee.

Luigi Einaudi (1874 - 1961) è stato uno dei pochi grandi liberali italiani. Giurista ed economista, fu governatore della Banca d'Italia, titolare di ministeri economici nei governi De Gasperi e secondo presidente della Repubblica italiana.

"I parlamenti non sono società di cultura od accademie scientifiche. Sono organi, il cui scopo unico è quello di formare governi stabili e di controllarne l'azione. Come disse il primo ministro del primo governo laburista, Ramsay Mac Donald, le elezioni non si fanno per contare le opinioni, per fare il censimento (census, in inglese) delle sette, dei ceti, dei partiti, dei movimenti, dei gruppi sociali, religiosi, politici, ideologici in cui si fraziona una società, la quale sia composta di uomini vivi e pensanti; ma si fanno per mettersi d'accordo in primissimo luogo sul nome della persona che in qualità di primo ministro sarà chiamato a governare il paese, e in secondo luogo sul nome di coloro che collaboreranno con lui o che ne criticheranno l'operato. Le elezioni hanno cioè per scopo di creare il consenso (consensus e non census) intorno ad un uomo ed al suo gruppo di governo ed intorno a chi oggi sarà il suo critico e domani ne prenderà il posto se gli elettori gli daranno ragione. Se non si vuole l'anarchia, questo e non una sterile accademica rassegna di opinioni è lo scopo unico preciso di un buon sistema elettorale".

Einaudi conosceva bene l'evoluzione delle democrazie parlamentari nella prima metà del Novecento. In particolare appare qui chiaro il riferimento alla forma di governo inglese, caratterizzata dalla preminenza del primo ministro rispetto al resto del governo ed alla maggioranza parlamentare.
Il futuro presidente della repubblica mostra di essere ben consapevole delle esigenze delle società e delle economie occidentali. I processi decisionali pubblici devono conformarsi ad elevati standards di efficienza.
Egli cita i fondamentali compiti di controllo ed ispettivi del parlamento, chiamato ad esaminare l'attività della pubblica amministrazione.
Una lezione pienamente attuale, che ci richiama alla realtà.


lunedì 31 gennaio 2011

Debito pubblico e crescita economica. La chiave è nel Mezzogiorno.

Nel dicembre scorso l'ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, intervenendo ad un convegno, ha riproposto il ricorso ad un'imposta patrimoniale:

"L'Italia dice di non aver bisogno di essere garantita, ed è vero perchè ha un alto risparmio pubblico ed un basso debito privato. Cosa vuol dire? Che in qualche modo l'Italia è in grado di pagarsi il debito, c'è liquidità. E perchè non comincia a ripagarlo, visto che ha tutto questo risparmio privato e così poco debito privato? L'Istat ha detto che il nostro debito totale ammonta a circa 30.000 euro per italiano. Non è così gigantesco. Un terzo di questo debito abbattuto metterebbe l'Italia in una zona di assoluta sicurezza. Potrebbe arrivare a circa l'80 per cento del Pil. Un terzo significa, probabilmente, imporre ad un terzo degli italiani, teoricamente, di pagare un terzo dei 30.000. E' così spaventoso spalmare, tra chi ha di più rispetto a chi ha di meno, 10.000 euro per risolvere un problema che così grave?"

La proposta presta il fianco a numerose critiche. Si tratterebbe di una misura incostituzionale, andando a colpire il risparmio. Mentre la Costituzione impone alla Repubblica non solo di tutelarlo, ma di incoraggiarlo (art.47).

Una eventuale imposta patrimoniale contribuirebbe, inoltre, a creare un clima sfavorevole all'emersione delle fonti di reddito, dei redditi e dei risparmi stessi. Ma soprattutto tale proposta sembra derivare dalla errata convinzione che un incremento della spesa pubblica, ora precluso dall'ingente ammontare del debito, rappresenti la soluzione migliore per rimettere in moto lo sviluppo.

In una recentissima lettera al Corriere della Sera il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, pressato dai noti eventi, suggerisce una prospettiva alternativa.
Berlusconi delinea "un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani".

Dichiara inoltre: "Prima di mettere sui ceti medi un’imposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, un’imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta".

Il programma prospettato va nella direzione giusta, puntando ad un aumento della produzione di ricchezza vero, non ad una redistribuzione inefficiente della ricchezza già esistente, mascherata da crescita. Ma richiede ulteriori coraggiosi sviluppi.
Il grosso problema dell'Italia è costituito dal suo Mezzogiorno. Lì la spesa pubblica è di peggiore qualità e più improduttiva. Ma soprattutto lì, in proporzione, il contributo alla produzione nazionale dei giovani, delle donne e delle imprese è minore. Un forte aumento della base impositiva meridionale determinerebbe una svolta virtuosa del debito pubblico nazionale.
Pare ragionevole prevedere che una rigorosa repressione della criminalità organizzata associata ad ampie ed intense misure di liberalizzazione e defiscalizzazione possano mettere finalmente in moto un processo di sviluppo sano e duraturo.
Ma l'intervento deve essere coraggioso, mirato e capace di incidere sui tanti fattori rilevanti. Non si deve esitare a sganciare completamente gli accordi sindacali aziendali dai contratti collettivi nazionali, prevedendo anche la possibilità di retribuzioni più basse.
Gli incentivi fiscali devono essere applicati agli investimenti privilegiando la riduzione delle imposte sui redditi da nuovo lavoro e da nuove imprese. Si deve cioè premiare non ogni iniziativa, ma le iniziative imprenditoriali realmente vitali e capaci di produrre lavoro e ricchezza.
Particolarmente importante è incentivare l'accesso al lavoro e all'impresa di giovani e donne. Obiettivo da raggiungere senza nuova spesa pubblica, ma agendo particolarmente sulle clausole contrattuali e sulle retribuzioni di ingresso.
Si tratta di assumere un atteggiamento spregiudicato, che fronteggi con il massimo realismo le nuove difficoltà create dalla globalizzazione. Consapevoli che un aumento delle retribuzioni potrà arrivare esclusivamente da un incremento della produttività delle imprese e dell'efficienza del sistema, da un più alto livello di innovazione e da un aumento della qualità dei prodotti e dei servizi.
E' una terapia dura, capace di produrre molte legittime resistenze. Sappiamo inoltre quanto i politici in democrazia sono preoccupati di ottenere consensi, senza i quali non si governa. Ma sono le circostanze stesse ad imporre lungimiranza e medicine amare.




venerdì 21 gennaio 2011

Il Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer. Parla l'ambasciatore USA Richard Gardner.




Dal gennaio all'agosto 1968 si svolse il dramma della cosiddetta Primavera di Praga. Il Partito comunista cecoslovacco, guidato dal neosegretario Alexander Dubcek, tentò di riformare il regime comunista. Il tentativo fu stroncato dall'invasione di un corpo di spedizione del Patto di Varsavia. Il Partito comunista italiano espresse un "grave dissenso". Ma Armando Cossutta, dirigente del PCI che aveva stretti rapporti coi Sovietici, ha dichiarato: "D'Alema sostiene che dopo Praga la sua generazione divenne antisovietica. Lo trovo sorprendente. Ci fu gelo nei rapporti, ma mai rottura, non scegliemmo mai la strada del disinteresse. D'Alema sa, e lo ha anche detto, che ci trovavamo nel pieno della Guerra fredda e che l'imperialismo Usa operava ancora in Vietnam".

Nel 1972 Enrico Berlinguer diventò segretario del PCI. Tra il 1974 ed il 1975 il parlamento italiano si occupò del finanziamento dei partiti. Previde forme di finanziamento pubblico e sanzioni penali per i finanziamenti fuori legge. Ciononostante, nel solo periodo dal 1973 al 1979, secondo la documentazione sovietica esaminata dal professor Zaslavsky e citata da Ernesto Galli della Loggia nel suo Tre giorni nella storia d' Italia, il Partito comunista italiano ricevette dall'Unione Sovietica 32-33 milioni di dollari.

Nella seconda metà degli anni Settanta i Sovietici alterarono l'equilibrio delle forze nucleari di teatro in Europa dispiegando i missili a medio raggio SS-20, montati su rampe mobili, con una gittata di 5000 chilometri e tre testate. In risposta, e su richiesta di Helmut Schmidt, cancelliere socialdemocratico della Germania Occidentale, il Patto Atlantico decise nel 1979 di dare inizio contemporaneamente all'installazione dei missili americani Pershing e Cruise nel territorio europeo e a una trattativa con i Sovietici per cercare una riduzione al più basso livello possibile di queste armi nucleari di teatro.
Scrive Helmut Schmidt nel suo Uomini al potere (1988, pag. 78):
"D'altro canto, però, Mosca potè osservare come, nel corso del 1979, proprio la risoluzione di Guadalupa aveva scatenato reazioni contrastanti nell'opinione pubblica degli Stati aderenti al Patto Atlantico. Il Cremlino legò, così, grandi speranze all'opposizione dilagante in diversi paesi e, con ogni mezzo, cercò di alimentarla".
Le direttive sovietiche furono prontamente eseguite in Italia dal Partito comunista di Berlinguer, che si oppose strenuamente allo spiegamento in territorio italiano dei missili americani cruise. Nonostante tale opposizione queste armi furono collocate in Sicilia, a Comiso, con il consenso dei governi italiani dell'epoca e l'appoggio parlamentare determinante del Partito socialista italiano di Bettino Craxi.

Risale invece al 2005 una conversazione al Council on Foreign Relations di New York con Richard N. Gardner, ambasciatore americano in Italia durante la presidenza Carter (1977-1981), brani della quale vengono di seguito riportati e riassunti.

"There was a great debate in this house, at the council and in other places—what was Italian communism? Was it Euro-communism that sounded—you know, you call it Euro-communism, sounded rather benign? Was this fellow, Berlinguer really a social democrat? Or were these people really so tied to Moscow and so linked to Marxism and Leninism that if they took over it would be a real threat to NATO?"

Cos'era il comunismo italiano? Berlinguer era davvero un socialdemocratico? Questa gente avrebbe potuto rappresentare una reale minaccia per la Nato?

"I took that very seriously. I said, we are going to combat the communists, but using public diplomacy. We’re not going to finance political parties. We’re not—there are going to be no dirty tricks. We’re not going to manipulate events. Carter and Brzezinski insisted on that as well. And that was the way we approached the problem."

L'amministrazione USA adottò una diplomazia pubblica. Non finanziò i partiti politici. Non manipolò gli eventi.

"Now, we’re getting to the, you know, heart of the problem. I truly believe that if the communists had gotten into the government, it would have been a disaster for the United States and for NATO because—don’t forget, this political party was receiving large financial subsidies from the Soviet Union throughout this whole period. In fact, the subsidies didn’t stop until the late 1980s".

Credo che se i comunisti fossero entrati nel governo, sarebbe stato un disastro per gli Stati Uniti e la NATO. I comunisti italiani hanno ricevuto grandi finanziamenti dai Sovietici, fino alla fine degli anni Ottanta (nel 1989 cade il Muro di Berlino, nel 1991 viene meno l' Unione Sovietica)

"Berlinguer, despite the reputation he had in some quarters as being very evolved towards social democracy, repeatedly affirmed his links to the Soviet Union, to the Soviet foreign policy, to Marxism-Leninism. I quote all those speeches here. And what really annoyed me—and I think you’ll understand why—how annoyed I was—was when Berlinguer and leaders of the communist party, after the kidnaping of Aldo Moro, tried to convince the people of Italy that behind the Moro kidnaping was the United States. And the argument was, Moro was going to bring the communists to power, which was not true. He assured me many times—Aldo Moro—that he wasn’t going to do that. And therefore, the Americans did this to prevent the communist entry into the government".

Berlinguer ripetutamente confermò i suoi legami con l'Unione Sovietica, con la politica estera sovietica, con il Marxismo-Leninismo. Mi ha infastidito che Berlinguer e i capi del PCI abbiano tentato di convincere gli italiani che dietro il rapimento di Moro c'erano gli Stati Uniti. Il loro argomento era che Moro stesse portando i comunisti al governo. Ma lui mi assicurò più volte che non l'avrebbe fatto.


"But I quickly became convinced that their entry into government with ministerial positions would have meant a fundamental reorientation in Italy, both in its domestic economic policy and its foreign policy. And, had they come in, we would never have deployed the cruise missiles, and that’s another part of the story—(inaudible)—I want to get to".

L'entrata dei comunisti nel governo avrebbe significato un riorientamento fondamentale della politica italiana, interna ed estera. E non avremmo mai schierato i missili cruise.

"Brezhnev thought he could intimidate us—and Europe, in particular—by deploying the SS20 missiles, which were very powerful, sophisticated, mobile weapons, capable of hitting anyplace in Western Europe; and the Backfire bomber. And Helmut Schmidt in his famous speech in London at the IISS said, this is changing the whole equation. This is putting in doubt the American deterrent because this is a threat to Europe. And will the Americans risk New York and Washington if we’re hit by these terrible new weapons?"

Brezhnev pensava di poter intimidire noi e l'Europa con le nuove potenti armi. Schmidt disse che esse mutavano l'intero equilibrio e mettevano in dubbio il deterrente americano perchè erano una minaccia per l'Europa. Gli americani avrebbero messo a rischio New York e Washington se gli europei fossero stati colpiti da queste terribili nuove armi?

"So Helmut Schmidt said, we’ve got to balance this. We have to restore the Euro strategic balance. We must put some weapons in Europe to countervail these weapons. So Schmidt then said, I’ve got a problem politically. I’m a Social Democrat. This is not easy for me. I need one other country in Western Europe, not counting Britain—it’s got to be a continental country—to take something, either the cruise or Pershing missiles.
Well, they asked Belgium, no; Netherlands, no; Denmark, no; Greece and Turkey out to lunch, whatever."

Schmidt disse: dobbiamo ripristinare l'equilibrio strategico europeo. Ma ho un problema politico, essendo un socialdemocratico. Ho bisogno che un altro paese continentale europeo occidentale prenda dei missili cruise o Pershing.

"So, they said, my God! We’ve got to get the Italians. And the National Security Council said, the Italians! I mean, look, they’ve got the largest communist party in Western Europe. It will never happen. So I get a telegram—Gardner, the buck stops with you. You’ve got to do it.
Well, by great good luck—by great good luck—in June of 1979, for the first time in the post-war period, the communists lost votes. And the communist threat to enter the government ended. That was a miracle because then the next month, a wonderful man—Francesco Cossiga—became prime minister, formed a government without the communists. I went to see him, gave him a top secret document explaining why we needed Italy to help us.
He said, look, this is not going to be easy in our parliament. But if you tell me it’s required for western security, I will do it. And he went to Bettino Craxi, the socialist leader—and remember, the socialist party had never supported NATO. They were not friendly to the U.S".

Nel giugno del 1979, fortunatamente, per la prima volta nel dopoguerra, i comunisti persero voti. E la minaccia comunista di entrare nel governo terminò. Un uomo meraviglioso - Francesco Cossiga - diventò primo ministro e formò un governo senza i comunisti. E andò da Bettino Craxi, leader di un partito socialista che non aveva mai sostenuto la NATO. I socialisti non erano amici degli USA.

Well, despite that description, the Bettino Craxi, who has perhaps a bad reputation with many of you because of the corruption scandals, he took the decision to support it.
So with the government of Cossiga, which was a minority government, and the vote of the socialists, we got the cruise missiles approved in the Italian parliament, against the opposition, of course, of the communists and radicals.

Bettino Craxi decise di sostenerlo. Così con il governo di minoranza di Cossiga e il voto dei socialisti, il parlamento italiano approvò i missili cruise, contro l'opposizione dei comunisti e della sinistra radicale.

Anche le parole di Gardner mettono in luce le responsabilità morali e politiche dei dirigenti del Partito comunista italiano. Mentre le grandi democrazie occidentali fronteggiavano l'Unione Sovietica, uno dei peggiori e più crudeli regimi totalitari della storia, i comunisti italiani ne accettavano i finanziamenti e ne eseguivano le direttive.



mercoledì 12 gennaio 2011

La NEP sovietica e la turbo economia cinese contemporanea. Il ruolo dell'utopia comunista.



L'insurrezione dei marinai a Kronstadt, repressa nel sangue dai capi bolscevichi nel marzo del 1921, chiuse un triennio tragico per la Russia. La guerra civile ed il tentativo di costruire immediatamente il comunismo avevano provocato la caduta della produzione industriale ed agricola, con una terribile carestia. I milioni di morti, gli scioperi e le rivolte indussero Lenin a fare un "passo indietro" per consolidare il regime. Il 15 marzo 1921, mentre era in corso il X Congresso del partito, propose e fece adottare una nuova politica economica: la NEP.
La svolta condusse alla sostituzione delle requisizioni dei prodotti agricoli con una imposta in natura, ad una parziale liberalizzazione del commercio e dell'industria, all'ingresso di investitori ed imprenditori stranieri. Fu accompagnata dall'eliminazione di ogni opposizione. Il partito bolscevico rafforzò il monopolio del potere, realizzando una completa coincidenza fra lo stato ed il partito stesso.
L'approvvigionamento alimentare della popolazione urbana migliorò. Solo la produzione industriale raggiunse il livello prebellico, non anche il salario reale degli operai. Crebbe la disoccupazione.
Scrivono, con riferimento a questa effimera fase della storia russa, nella loro insuperata Storia dell'URSS (pagg. 142 e 143 ed. 1984), gli storici Geller e Nekric:

"L'epoca divenne "fulva" perchè, accanto alla nuova gerarchia di valori creata dalla rivoluzione, si rispolverava la vecchia. I nepmany - questi capitalisti autorizzati dal potere sovietico - non partecipano alla direzione dello stato; vivono, in certo senso, su una specie di vulcano, con l'incertezza del domani; ma, intanto, dispongono di denaro e possono acquistare tutto quello che può desiderare la loro anima nepmana. Nelle città si assiste all'apertura di case da gioco e di cabarets, compaiono fiacres e macchine di lusso, pellicce e gioielli.
Ma la nuova politica economica era inevitabilmente destinata a suscitare malcontento nelle file del partito comunista al potere, perchè appariva un totale tradimento degli ideali rivoluzionari. Era il periodo in cui affiorava la famosa domanda indignata: per cosa ci siamo battuti?"

Non solo i nuovi imprenditori, ma le riforme stesse erano sospesi in una precarietà dai tratti spesso surreali. Questa NEP non produsse una rapida industrializzazione ed una piena occupazione. L'utopia, l'ideologia, il sogno rivoluzionari prevalsero.
Scrive il compianto professor Victor Zaslavsky nella sua Storia del sistema sovietico ( pag. 79, II ed., rist. 2009):

"...la NEP ha rappresentato nella storia del potere sovietico l'unico tentativo di abbinare un'economia di mercato controllata dallo Stato al sistema politico monopartitico che mirava a realizzare un programma radicale di modernizzazione. Il fallimento di questo tentativo ha avuto conseguenze determinanti per l'evoluzione del sistema in direzione dello stalinismo".

La Nuova politica economica, il cui fallimento era già evidente nel 1926, venne abbandonata definitivamente da Stalin nel dicembre del 1929. Si compirono la collettivizzazione violenta delle campagne, l'industrializzazione a tappe forzate e la militarizzazione dell'intero apparato produttivo.

I comunisti conquistarono il potere in Cina, esclusa Taiwan, nel 1949. Per quasi trent'anni il regime costrinse il paese a soffrire le tragiche vicende dell'Unione Sovietica. La collettivizzazione violenta delle campagne, il tentativo di realizzare rapidamente l'utopia comunista, l'industrializzazione forzata ed inefficiente, la dura repressione del dissenso causarono milioni di vittime.
Nel 1976 muore Mao Tse-tung. Nel 1978 sale al potere Deng Xiaoping, che intraprende cautamente l'edificazione di un'"economia socialista di mercato". Come nella vecchia NEP sovietica l'obiettivo è rappresentato, nel contempo, dalla conservazione al partito comunista dello stretto monopolio del potere e da una modernizzazione associata ad un rapido sviluppo economico.
Ma oggi il tragico vicolo cieco dell'utopia comunista è già stato percorso fino in fondo. Tutti i crimini e gli errori possibili sono stati commessi. Gli astuti e lungimiranti attuali dirigenti cinesi ne sono ben consapevoli. Essi tentano di costruire un autoritarismo sofisticato capace di essere un pericoloso competitore delle democrazie occidentali, anche sotto il profilo dell'efficienza.


Da leggere:

- Mihail GELLER e Aleksandr NEKRIC, Storia dell'URSS dal 1917 a oggi.

- Victor ZASLAVSKY, Storia del sistema sovietico.

- Francois FURET, Il passato di un'illusione.

- Bertrand RUSSELL, Teoria e pratica del bolscevismo.

- Arthur KOESTLER, Freccia nell'azzurro.

- Arthur KOESTLER, La scrittura invisibile.





domenica 2 gennaio 2011

Gli intellettuali italiani tra impegno politico e ricerca della verità.

Karl Popper ha più volte affermato che non ci può essere informazione che non esprima una tendenza, che sia pura esposizione di fatti, separata da opinioni, valutazioni e preferenze.
L'insegnamento del grande filosofo austriaco pare anche su questo punto condivisibile.
Ma gli intellettuali italiani sembrano scegliere addirittura una diversa prospettiva. Molti interventi, perfino di figure eminenti per autorevolezza, mostrano un desiderio di influenzare le vicende politiche così scoperto e diretto da far pensare ad una sottovalutazione dell'intelligenza dei lettori.
Rappresenta una chiara manifestazione di tale discutibile tendenza questo editoriale sul Corriere della Sera del professor Mario Monti, ex commissario europeo e attuale presidente dell'Università Bocconi. Il tema è quello della crisi italiana, il titolo "Meno illusioni per dare speranza". Scrive il professor Monti:

"Esistono in Italia due illusionismi. Essi sono riconducibili, sia detto senza alcuna ironia, alla dottrina di Karl Marx e alla personalità di Silvio Berlusconi".
"Se Marx ha alimentato un sogno sul futuro, del quale in Italia sopravvivono tracce significative, Berlusconi ha fatto di più. Egli è riuscito ad alimentare, in moltissimi italiani, un sogno sul presente, per il quale la verifica sulla realtà dovrebbe essere più facile".

Dunque l'influenza di Silvio Berlusconi sarebbe almeno pari, quanto a perniciosità e forza, a quella di quasi un secolo di marxismo-leninismo, capillarmente diffuso dal più grande ed astuto partito comunista dell'Occidente? Una simmetrica analogia la cui istituzione è coerentemente accompagnata dalla secca liquidazione del bipolarismo italiano:

"Ma in molti altri casi, basta pensare alle libere professioni, il potere delle corporazioni ha impedito che le riforme andassero in porto o addirittura venissero intraprese. E lì non si tratta di tenaci fiammelle rivendicative fuori tempo (ma che almeno vorrebbero tutelare fasce deboli della società), bensì di corposi interessi privilegiati che, pur di non lasciar toccare le loro rendite, manovrano un polo contro l'altro: veri beneficiari del bipolarismo italiano!".

Significativo infine è l'elogio del ministro dell' istruzione del governo Berlusconi, Mariastella Gelmini:

"Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili".

Insomma, mentre il presidente del consiglio esercita la sua perniciosa influenza, il suo coraggioso ministro Gelmini realizza una importante riforma. Da notare che questa contrapposizione tra capacità ed opera dei singoli ministri e ruolo negativo del loro presidente del consiglio si trova in un contemporaneo articolo di RepubblicaIl competente ed attivo ministro degli esteri Frattini tenta di riportare in Italia Battisti dal Brasile. Silvio Berlusconi combina guai.
Dovremmo dunque pensare che Berlusconi, non compiendo il proprio dovere di indirizzo e coordinamento, disattenda la Costituzione. Stabilisce infatti l'art. 95 che: "Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri". Altrimenti dovremmo ritenere che i singoli ministri non applichino le direttive ricevute. A fin di bene, s'intende.
Al presidente del consiglio che, secondo l'art. 92 della Costituzione, propone al presidente della repubblica i ministri da nominare, resta il merito di aver indicato persone capaci? Queste insomma sono le analisi che circolano in Italia. Del resto ogni paese ha gli intellettuali che si merita.



giovedì 23 dicembre 2010

Handel a Roma: un protestante tra i papisti.

George Frideric Handel (così si firmò nella seconda parte della sua vita il musicista tedesco diventato suddito inglese) nacque a Halle nel 1685 e morì in Inghilterra nel 1759. Grande compositore dell'età barocca, esercitò una profonda influenza sulla musica occidentale e riscosse un immenso successo già in vita. Visse in Italia dal 1706 al 1710 e dopo un breve soggiorno in Germania si trasferì in Inghilterra. Nel 1727 ottenne la naturalizzazione inglese. Le sue composizioni riflettono un'ampia conoscenza della musica europea contemporanea, in particolare degli autori e degli stili tedeschi, italiani e britannici.
 Memorie della vita del fu G. F. Handel, è con ogni probabilità la prima biografia di un compositore. Redatta da un ecclesiastico inglese, John Mainwaring, che raccolse i racconti del suo assistente John Christopher Smith, fu pubblicata soltanto un anno dopo la morte dello stesso Handel, nel 1760. Lo scritto è importante non soltanto nell'ambito della storia musicale. Come altri documenti del genere contribuisce efficacemente a delineare una più viva e realistica immagine della vita e della cultura dell'epoca.
Da non perdere, tra molti altri, il brano delle Memorie che narra l'approccio del protestante Handel all'ambiente cattolico controriformistico romano. A Roma infatti il compositore tedesco frequentava i palazzi degli influenti cardinali Colonna, Ottoboni e Pamphili e di alcuni dei più importanti esponenti della nobiltà pontificia.
Scrive Mainwaring (pag. 36 ed.1985 a cura di Lorenzo Bianconi): "Siccome era in famigliarità con parecchie persone dell'ordine sacro, ma aveva persuasioni affatto ripugnanti a costoro, è facile immaginare che alcuni di loro si condolessero con lui su tale argomento. Perchè come si può pensare che codesti buoni cattolici, che gli volevano davvero bene, non si sforzassero di trarlo fuori dalla strada della dannazione? Messo alle strette da uno di codesti infiammati ecclesiastici, rispose che non era capace né disposto a entrare in questioni del genere, ma che era ben deciso di morire fedele alla confessione, vera o falsa che fosse, nella quale era nato e cresciuto. Spenta la speranza di una vera conversione, si tentò di indurlo a un ossequio quantomeno esteriore. Ma né argomenti né profferte sortirono effetto alcuno, se non quello di confermarlo anche più nei principii del protestantesimo. Invero furono in pochi a esercitare su di lui tali pressioni. I più lo consideravano un uomo di onesti anche se errati principii, e quindi concludevano che non sarebbe stato facile indurlo a mutarli.
In Roma Handel compose una sorta di oratorio intitolato Resurrezione, e centocinquanta cantate, oltre a varie sonate e altre musiche.
Da Roma andò a Napoli, dove (come in altre città) aveva a disposizione un palazzo, ed era assistito con tavola, carrozza ed ogni altra comodità".
Handel, nel difendere le sue convinzioni, mostra tutta la fermezza e la fierezza del suo carattere. Ma certamente da questo racconto emerge un ambiente cattolico dai tratti assai più tolleranti di quelli che certe leggende propongono.





  Del periodo romano è l'oratorio "Il Trionfo del Tempo e del Disinganno", di cui è parte Tu del ciel ministro eletto, splendidamente eseguito da Roberta Invernizzi


sabato 18 dicembre 2010

Cuba: repressione e miseria dietro il mito della rivoluzione.

Il regime cubano ha recentemente impedito al dissidente Guillermo Farinas di lasciare il paese per ritirare il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, promosso dal Parlamento Europeo.
Bisogna denunciare con chiarezza la drammatica condizione dei cubani. Da sempre il regime castrista imprigiona, tortura e uccide gli oppositori. Ma dopo la caduta dell'Unione Sovietica, con la fine delle sue sovvenzioni dirette ed indirette, anche la situazione economica si è notevolmente deteriorata. Si tratta del cosiddetto "periodo speciale" aperto nei primi anni Novanta e non ancora davvero terminato.
L'URSS cedeva a Cuba petrolio a prezzi inferiori a quelli di mercato ed acquistava zucchero a prezzi superiori. Forniva aiuti finanziari come corrispettivo dell'attività di sovversione svolta dal regime prevalentemente, ma non solo, in America Latina e dell'intervento dell'esercito cubano nel continente africano, soprattutto nelle guerre del Corno d'Africa e nei conflitti scoppiati nelle ex colonie portoghesi Angola e Mozambico.
Cessati gli aiuti sovietici le condizioni di vita sono drasticamente peggiorate. Solo recentemente Cina e Venezuela sono intervenute a sostegno del regime, con forniture a condizioni di favore.
Il governo accusa gli Stati Uniti di essere la causa delle difficoltà economiche cubane. Ma l'embargo statunitense, "el bloqueo", da tempo non è in grado di rappresentare un serio ostacolo alle relazioni economiche di Cuba con il resto del mondo. La situazione presente ha piuttosto origine nell'inefficienza economica del regime, che a differenza di altri regimi comunisti non ha intrapreso un percorso di liberalizzazione economica e non ha tratto vantaggi dalla globalizzazione, evidentemente consapevole che tale apertura avrebbe posto a rischio la sua stessa sopravvivenza.
Un testimone, che pochi giorni fa ha visitato le principali città cubane al di fuori dei comuni circuiti turistici e che deve rimanere segreto per non porre in pericolo i suoi contatti locali, non solo conferma quanto già si sa sulle condizioni di vita, sulla delazione diffusa e sulla repressione poliziesca della dissidenza, ma apre nuovi squarci sulla realtà della sanità e dell'istruzione, fiori all'occhiello del regime.
Sembra che le prestazioni sanitarie non siano in realtà gratuite. Mentre infatti l'opera dei medici in senso stretto non deve essere pagata, non sono gratuiti molti dei materiali e dei farmaci che gli operatori sanitari devono usare. Succede, ad esempio, che l'anestesia durante un'estrazione dentaria debba essere pagata. Come pure che si debbano pagare i punti di sutura necessari per chiudere ferite. I pazienti sono spesso così costretti ad indebitarsi pesantemente per ottenere banali cure mediche ed odontoiatriche. Considerazioni analoghe possono essere fatte per il sistema scolastico. L'accesso ad esso è garantito a tutti. Ma la qualità dell'apprendimento è minata dal pesante indottrinamento ideologico, mentre l'esercizio delle professioni è soggetto a regole e limiti rigidissimi, con retribuzioni assai modeste anche con riferimento agli standards cubani.
Emerge insomma l'immagine di una società immersa nella miseria e nella paura, dove si diffonde un fatalismo senza concrete speranze di rinnovamento.
Altre notizie si possono leggere qui.

giovedì 9 dicembre 2010

Personal computer e telefonino, conoscenza e comunicazione, dieta tecnologica e mobilità sociale.

Su Panorama del 9 dicembre 2010 il professor Luca Ricolfi, sociologo e esperto di analisi dei dati, riflette su un dato già noto, la diversa diffusione di PC e telefonini in ogni paese, tale da consentire l'individuazione per ciascun paese di un proprio "stile" tecnologico.
Scrive Ricolfi: "... sarebbe un errore credere che le tecnologie si sviluppino secondo percorsi simili in tutti i paesi, o anche solo in quelli avanzati...Anche se le varie tecnologie tendono oggi a convergere, la sorgente di tutto sta in due oggetti radicalmente diversi: il computer, originariamente nato per il calcolo scientifico e amministrativo, e poi evoluto, grazie a internet, in strumento di gestione dell'informazione e della conoscenza; e il cellulare, nato per ampliare le possibilità di comunicazione e di interazione. Ed è proprio rispetto a queste due radici distinte, computer e telefonino, conoscenza e comunicazione, che i vari paesi hanno imboccato strade diverse. Ci sono paesi in cui si è affermata una dieta tecnologica dominata dal computer: è il caso dei paesi scandinavi, della Germania, del Giappone. E ci sono paesi in cui si è affermata una dieta tecnologica dominata dal telefonino: è il caso dei paesi mediterranei, Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, con il nostro Paese a guidare la graduatoria mondiale".
Come conclude lo stesso professor Ricolfi, i paesi avanzati preferiscono il computer, quelli arretrati il telefonino. Resta da spiegare perchè ciò accade. Viene prima di tutto da pensare alle modalità di avanzamento sociale e professionale, al modo ed alla misura in cui la mobilità sociale si realizza.
Dove conoscenza e informazione sono premiate, dove rappresentano uno strumento importante di ascesa sociale e professionale, l'intero paese avanza, mentre il computer prevale sul telefonino. Dove invece sono prevalentemente le relazioni personali a determinare la posizione professionale e quella sociale, dove la comunicazione interpersonale svolge un ruolo decisivo, i paesi arrancano e domina il telefonino, sia pure sempre più intelligente.
Giustamente osserva Luca Ricolfi: "Forse, a ben pensarci, non dovremmo essere così fieri di tutta la tecnologia che ci portiamo addosso".
Gli articoli di Luca Ricolfi su La Stampa si possono leggere qui, in La voce di Luca Ricolfi:

giovedì 2 dicembre 2010

Scuola italiana: leggiamo la Costituzione.

Gli articoli 33 e 34 della Costituzione italiana disciplinano direttamente scuola ed istruzione:


"L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull' istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".


"La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso".


Il dettato costituzionale è chiaro. Viene disegnata una scuola meritocratica e selettiva dove il diritto di "raggiungere i gradi più alti degli studi" è riservato ai "capaci e meritevoli" ed è reso effettivo, per i "privi di mezzi", "con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso".
Siamo dunque ben lontani dallo "stipendificio/diplomificio/laureificio" poi realizzato dai governi della Repubblica. Una riforma della scuola italiana che si ispiri alla Costituzione deve mirare all'efficienza ed all'eccellenza. Deve cioè avere come primo obiettivo la qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento e concentrare su di esso le risorse disponibili.
La scuola non è un ammortizzatore sociale con il compito di assumere i diplomati e i laureati che il mercato del lavoro non riesce ad assorbire. Ad essa è attribuita la funzione di preparare adeguatamente i giovani al lavoro ed a una cittadinanza attiva e responsabile.
Proprio grazie alla scuola i "capaci e meritevoli", anche "privi di mezzi", devono accedere a una ripristinata mobilità sociale, idonea a premiare il merito e a rendere così più dinamico ed efficiente l'intero paese.
Tra gli intellettuali italiani impegnati a promuovere una radicale riforma del sistema scolastico si distingue per coerenza e lucidità il professor Dario Antiseri. Egli ne auspica un rinnovamento imperniato sul principio di sussidiarietà, sui "buoni scuola" e sui "crediti d'imposta", sull'abolizione del "valore legale" dei titoli di studio.
Le considerazioni di Antiseri, chiare sotto il profilo dei principi ispiratori, vanno invece sviluppate e precisate da un punto di vista tecnico giuridico e quanto alla loro compatibilità con le norme costituzionali.
A proposito dei "buoni" e dei "crediti" l'obiezione più frequente fa riferimento alla disposizione "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato" (art. 33 Cost.). Si tratta di un rilievo superabile se si tiene conto che, con un insegnamento di qualità almeno equivalente, all'attribuzione dei buoni ed alle minori entrate fiscali corrisponde una minor spesa per le scuole statali.
Più complessa è la questione dell'abolizione del "valore legale" dei titoli di studio. La proposta intende rispondere ad un problema grave. Attualmente atenei ed istituti fanno spesso a gara nel rilasciare lauree e diplomi con maggior facilità invece di competere sul piano della qualità dell'insegnamento.
Ma, da un lato, del concetto di "valore legale" appare difficile dare una definizione generale sulla base della legislazione vigente. Da un altro, bisogna fare i conti con il dettato costituzionale: "E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale" (art. 33 Cost).
Da un altro lato ancora, pur riguardando la difficoltà soprattutto le pubbliche amministrazioni, rimane in primo piano la necessità di fissare criteri e strumenti che consentano ad esse di confrontarsi in modo semplice, controllabile ed efficace con la prevedibile ulteriore proliferazione di corsi, istituti e titoli.
La proposta abolizione del "valore legale" insomma non può non essere tradotta in una riforma della certificazione pubblica della qualità dell'insegnamento e della preparazione personale. Certificazione che dovrà essere rigorosa, con effetti ben definiti e rispettosa della libertà dell'impresa e dell'insegnamento. Come sempre pare da privilegiare un approccio comparativo, che conduca ad un attento esame delle soluzioni adottate nei paesi dove libertà e qualità dell'insegnamento superiore raggiungono un livello soddisfacente.



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