Su Il Sole 24 ORE del 15 maggio 2015 Maitre_à_panZer offre un'analisi fuori del coro del mercato del lavoro inglese:
"La crescita più esaltante la osservo guardando la curva dei self-employed, che rimane sotto 100 fino alla metà del 2009 e poi inizia a crescere senza sosta, arrivando a sfiorare 120 nella seconda metà del 2014, scendendo poco sotto ai primi di quest’anno".
"Ne deduco che gran parte della crescita dell’occupazione nel mercato del Regno Unito dipende da loro: quelli che si sono messi in proprio. E non è strano che sia così: una volta che un lavoratore si mette in proprio e si cancella dalla lista dei disoccupati, automaticamente la sua posizione non viene più conteggiata nelle statistiche della disoccupazione".
"Questa curiosa evoluzione statistica, tuttavia, porta con sé una conseguenza che gli economisti chiamano “puzzle della produttività“. Un altro grafico, infatti, ci mostra l’andamento del Pil britannico, cresciuto del 4% dal 2008, e lo confronta con la produttività pro capite che, fatto 100 l’indice del 2008, viaggia da allora sotto quel livello.Ne deduco che uno può pure autoimpiegarsi e così far scendere la disoccupazione. Ma ciò non vuol dire che riesca a produrre e vendere qualcosa che sia statisticamente significativo".
A queste condivisibili considerazioni si possono aggiungere utilmente le statistiche sull'occupazione USA, ferma dall'inizio dell'anno e lontana dal tasso del 2007. Pare a molti che le economie statunitense e britannica abbiano retto meglio di altre l'urto della crisi. Ma dove finisce la propaganda e dove comincia la realtà?
La maggior parte dei governi, sostenuta con fedeltà canina da stimati economisti, non ha affrontato i grandi problemi di una disordinata globalizzazione e non ha inciso apprezzabilmente sui fattori fondamentali dell'economia reale. Fare i conti con la realtà è difficile. Troppo si è corso nella direzione sbagliata. Come tagliare spesa pubblica e tasse? Come ridurre il soffocante peso del welfare? Come ripristinare certezza del diritto e adeguati stimoli all'impegno individuale? Come migliorare il capitale umano fiaccato dalla caduta di tradizioni, educazione e istruzione? Come dare regole comuni alla economia globale?
Si tratta dunque di una realtà dura e refrattaria, dove ogni questione ha mille facce e ogni possibile rimedio produce conseguenze indesiderate. Quanto pagheremmo un buon smartphone concepito e costruito in Italia da imprese tassate all'italiana, con la produttività italiana? Ma quanto sarebbe doloroso correggere davvero i vizi di sistemi non più competitivi?