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venerdì 7 febbraio 2014

Crisi. In difesa dell'euro.




Davide Colombo su Il Sole 24 ORE del 5 febbraio 2014 espone alcune delle principali ragioni che inducono a respingere il passaggio dall'euro a una moneta nazionale italiana destinata a svalutarsi.
Scrive Colombo:

"Qualche mese fa a mettere in fila almeno quattro fattori che hanno definitivamente affossato l'equazione uscita dall'euro = svalutazione = rilancio di export e Pil è stato il centro studi di Confindustria".

"Primo: la diffusione delle filiere globali riducono i vantaggi competitivi di una svalutazione. Non si vive più in un mondo in cui le imprese delle economie avanzate producono interamente in casa i loro beni e servizi importando solo materie prime. Ora si produce importando anche i semi-lavorati che servono a produrre i beni finali da esportare...la svalutazione del cambio renderebbe queste importazioni assai più costose annullando l'eventuale guadagno di competitività".

"Secondo: i sistemi bancari in crisi renderebbero difficile ottenere nuovo credito".

"Terzo: la più lenta risposta dell'export in un contesto concorrenziale nel quale i paesi più avanzati possono giocare sulla qualità dei loro beni e servizi piuttosto che sul prezzo. La spiegazione è semplice: serve tempo (e nuovi investimenti) per sostituire i semi-lavorati importati con produzioni proprie e mentre questa "sostituzione" si determina la concorrenza degli altri paesi avanza con la qualità (a parità di prezzo) dei loro prodotti".

"Quarto: se tutti svalutano nessuno ci guadagna...Nel caso dei paesi deboli dell'eurozona la svalutazione sarebbe contemporanea e a guadagnarci di più sarebbero quelli con le maggiori quote di export destinate all'area euro, quindi l'Italia vedrebbe diluiti di molto gli eventuali vantaggi".

"C'è un ultimo argomento proposto dagli analisti del Centro studi di Confindustria: per esportare di più (dopo aver svalutato) occorre poter contare su un'ampia base industriale capace di produrre beni commerciabili internazionalmente".

L'articolo di Colombo richiama l'attenzione su alcuni aspetti fondamentali della questione, che sorprendentemente sono spesso trascurati nel dibattito pubblico. A partire dall'ovvia considerazione che una valuta serve non solo per vendere, ma anche per comprare. L'Italia è un paese trasformatore, povero di materie prime e fonti energetiche. Una eventuale svalutazione determinerebbe un rilevante aumento dei costi di materie prime, energia e semilavorati.
E' poi perfino banalmente vero che prodotti e servizi sono competitivi non solo per il loro prezzo, ma anche e soprattutto per la loro qualità e che la svalutazione può non compensare la presenza di importanti fattori che diminuiscono la competitività.
Va inoltre sottolineato che difficilmente la risposta produttiva allo stimolo rappresentato dalla svalutazione sarebbe adeguata. Basti pensare, per quanto riguarda i semilavorati, agli ostacoli frapposti dalle istanze di tutela ambientale (chimica di base, siderurgia, monocolture intensive).
Le insufficienti prestazioni del sistema scolastico, la scarsa capitalizzazione e la modesta dimensione delle imprese, la disciplina del lavoro e l'assetto delle relazioni industriali sono altre ragioni che anche in presenza di una svalutazione impedirebbero una efficace reazione del sistema produttivo.
In questa corretta prospettiva la proposta di uscire dall'eurozona appare assolutamente da rigettare. A tal punto questa misura si rivela dannosa da essere segno distintivo fondamentale. Chi la prospetta non riceva il consenso di chi desidera per il paese un genuino sviluppo economico e civile.


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