Sul Corriere della Sera il professor Angelo Panebianco con l'abituale lucidità ha scritto:
"Se cerchiamo le cause profonde della crisi dell'Europa, possiamo forse identificarne una più generale e una più specifica. La più generale consiste nel «ciclo generazionale». La più specifica nell'incapacità delle élite europeiste di fare i conti con le credenze del common man, dell'uomo comune europeo.
Per ciclo generazionale si intende una regolarità tante volte all'opera nella storia. A una fase di grandi disordini (guerre interstatali e civili) segue una lunga fase di pace e ordine. Coloro che hanno vissuto l'età del disordine e ricordano le morti violente e il senso di costante insicurezza, coloro che sentono ancora, se chiudono gli occhi, l'odore della paura per la sopravvivenza propria e dei propri cari, si adoperano perché quei tempi non tornino più. Ne seguiranno sforzi individuali e collettivi tesi ad assicurare una forma di «pace perpetua» (dentro le società e fra le società affini), un ordine che si spera di costruire su basi solide. I figli di coloro che hanno vissuto nell'età del disordine ne continuano l'opera. Non hanno conosciuto direttamente quella età (o erano troppo piccoli per averne un ricordo distinto) ma sono stati influenzati dai racconti dei genitori. Da quei racconti hanno appreso che l'ordine societario è una fragile cosa, che l'età del disordine potrebbe tornare spezzando di nuovo vite e progetti di vita, sogni e desideri. L'ordine si mantiene grazie allo sforzo della nuova generazione. Possono anche insorgere, qua o là, minoranze violente (terrorismo) ma verranno sconfitte. I padri sono ancora lì a ricordare a tutti l'esperienza vissuta nell'età del disordine.
Poi, a poco a poco, scompaiono tutti quelli che hanno avuto esperienza diretta di quei tragici tempi. Per i loro nipoti non c'è ormai differenza fra le guerre puniche e il nazismo o la Seconda guerra mondiale. Cose che appartengono a epoche lontane, che si studiano a scuola, irrilevanti per la loro personale esperienza. Le inibizioni che hanno condizionato le generazioni precedenti si dissolvono. Non c'è più memoria dell'antica barbarie. Il rischio di una nuova età del disordine diventa elevato".
La perdita di memoria generazionale ha un rilievo generale ed è ben nota anche al Magistero della Chiesa cattolica. Benedetto XVI, nella sua Lettera enciclica SPE SALVI, 24, ha insegnato che:
"Innanzitutto dobbiamo costatare che un progresso addizionabile è possibile solo in campo materiale. Qui, nella conoscenza crescente delle strutture della materia e in corrispondenza alle invenzioni sempre più avanzate, si dà chiaramente una continuità del progresso verso una padronanza sempre più grande della natura. Nell'ambito invece della consapevolezza etica e della decisione morale non c'è una simile possibilità di addizione per il semplice motivo che la libertà dell'uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni. Non sono mai semplicemente già prese per noi da altri – in tal caso, infatti, non saremmo più liberi. La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio. Certamente, le nuove generazioni possono costruire sulle conoscenze e sulle esperienze di coloro che le hanno precedute, come possono attingere al tesoro morale dell'intera umanità. Ma possono anche rifiutarlo, perché esso non può avere la stessa evidenza delle invenzioni materiali".
Tale perdita di memoria si estende a situazioni e principi fondamentali dell'economia. Mentre talune generazioni sanno che non esistono pasti gratis, che per ogni pasto c'è sempre chi paga il conto, altre non acquistano consapevolezza dei necessari fattori di uno sviluppo economico durevole, vitale e benefico per molti.
Così, nella vita democratica, l'addestramento ad una libertà responsabile e la capacità, richiesta agli elettori, di manutenere adeguatamente le istituzioni rappresentative sono difficili da acquisire ed ancor più da trasmettere alle generazioni successive, essendo largamente dipendenti dall'esperienza.
Meno condivisibile pare la mancanza di fiducia nella scuola manifestata da Panebianco. Essa non riesce a contribuire alla formazione di cittadini liberi, responsabili, produttori di ricchezza diffusa, perchè contenuti e metodi educativi sono fuorvianti ed inefficaci. Senza metodi selettivi e premio del merito, senza programmi realistici e commisurati alle esigenze del lavoro e dell'impresa, senza esercizio concreto della libertà responsabile, gli obiettivi indicati restano irraggiungibili.
Anche il ruolo degli intellettuali non deve essere trascurato. La diretta o indiretta esperienza generazionale, nei termini esposti da Panebianco, è importantissima. Ma storici, giornalisti, protagonisti del dibattito pubblico che influenzano l'opinione pubblica, hanno precise responsabilità. Essi possono fornire modelli e narrazioni entro certi limiti idonei a surrogare tale esperienza, a circoscrivere i danni prodotti dalla sua mancanza. Assistiamo invece al frequente "tradimento dei chierici", sempre meno attratti dalla verità e dal suo servizio.