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martedì 22 maggio 2012

Economia sociale di mercato islamica.


Su AsiaNews un'attenta analisi di un fenomeno emergente: la politica economica dei movimenti islamici.

"Saliti al potere nei Paesi della Primavera araba, i partiti islamici cercano soluzioni per rilanciare l’economia degli Stati islamici. Per Fawaz A Gerges, docente di relazioni internazionali alla London School of Economics, il capitalismo liberista è il nuovo modello utilizzato dagli islamisti dopo anni di socialismo. La Turchia faro dei nuovi movimenti islamici".

"Dopo le rivolte che hanno sconvolto il mondo arabo, gli islamisti e gli attivisti religiosi stanno prendendo il potere in Nord Africa e Medio Oriente".

"I partiti islamisti stanno diventando sempre di più degli "erogatori di servizi" a conferma che la loro legittimità politica e la probabilità di rielezione si basa sulla capacità di offrire posti di lavoro, crescita economica e trasparenza. Ciò ha introdotto un enorme livello di pragmatismo nelle politiche dei movimenti di ispirazione religiosa".

"Lo sviluppo economico della Turchia ha avuto un forte impatto sugli islamisti arabi, molti dei quali vorrebbero emulare il modello turco... Il modello offerto da Ankara, che ha il suo perno nella borghesia osservante, ha fatto emergere che islamismo e capitalismo sono compatibili e si rafforzano reciprocamente".

"...ciò che distingue i gruppi di ispirazione religiosa da quelli di sinistra o nazionalisti è una spiccata sensibilità verso gli affari, compresa l'accumulazione di ricchezze e l'economia di libero mercato. L'islamismo è un movimento borghese composto in gran parte dai professionisti della classe media, uomini d'affari, negozianti, commercianti e piccoli imprenditori".

"Fra i radicali islamici, l'approccio interventista è appoggiato soprattutto dai salafiti, che chiedono con forza l'utilizzo di misure di ridistribuzione della ricchezza per ridurre la crescente povertà. Tuttavia, per la maggior parte degli islamisti l'approccio dominante all'economia, con poche variazioni, è il capitalismo di libero mercato".

Non pochi osservatori di questo importante fenomeno hanno visto analogie con l'economia sociale di mercato tedesca, teorizzata da Wilhelm Roepke.

In questa "la competizione e il gioco della domanda e dell'offerta non producono per noi tutte quelle risorse «morali» di cui abbiamo bisogno". Il mercato deve "essere controllato e «moderato» - ma, attenzione, non dallo Stato, bensì dall'etica di quanti volontariamente contribuiscono al buon funzionamento del mercato stesso".

Il disegno dei partiti islamici incontra in questa prospettiva parecchi ostacoli. Prima di tutto la grave situazione sociale e politica. La cosiddetta "Primavera araba" ha travolto regimi autoritari più o meno laici, ma il nuovo stenta a decollare. I movimenti islamici hanno sviluppato robuste reti assistenziali, radicate nel territorio. Questo impegno e la prolungata opposizione ai vecchi regimi spiegano la presa sull'elettorato. Ma la borghesia professionale e gli imprenditori urbani restano minoranza. In milioni di contadini, giovani senza lavoro, abitanti delle periferie delle grandi città convivono la richiesta di sviluppo e benessere rivolta al potere pubblico e la insufficiente consapevolezza delle difficoltà.
I principi religiosi e le tradizioni pongono seri problemi. Se il divieto di corrispondere interessi  e l'obbligo di ancorare la finanza all'economia reale rappresentano elementi compatibili con l'auspicato sviluppo, la tradizionale tendenza a far coincidere le regole religiose con le norme civili, i peccati con i reati, può determinare rigidità insostenibili. Anche il ruolo riservato alle donne dalla tradizione può ostacolare il conseguimento dei risultati sperati.
Se dunque il cosiddetto mercato sociale trova in principi morali, tradizioni e corpi sociali intermedi adeguati il presupposto della propria stessa esistenza e la condizione di un positivo ruolo e sviluppo, occorre evitare un giudizio affrettato ed acritico sulle tendenze in atto nelle variegate società islamiche.
Ma se il modello turco, pure non privo di fragilità e debolezze, si affermasse estesamente, una ulteriore importante sfida verrebbe lanciata alle economie occidentali in crisi. Un motivo in più per accelerare le riforme strutturali indispensabili per colmare un divario di competitività ogni giorno più pesante.

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