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martedì 6 dicembre 2011

Italia. La democrazia inefficiente.

In una recente conferenza stampa il Presidente del Consiglio Mario Monti ha detto (2:00) che:

"Quando si parla di costi della politica si pensa al costo che i cittadini sopportano per gli apparati amministrativi... Ma non si pensa al vero costo della politica, come purtroppo è stata fatta per decenni in Italia: che chi governa prenda decisioni miranti più all'orizzonte breve delle prossime elezioni che all'orizzonte lungo dell'interesse del paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti".

E, ancora, uno dei più lucidi intellettuali italiani, il professor Luca Ricolfi, nel suo La Repubblica delle tasse, con riferimento al referendum su acqua, servizi pubblici locali, nucleare e legittimo impedimento, ha scritto:

"Anzichè cercare di guidare l'opinione pubblica, facendola ragionare, i politici hanno definitivamente deciso di seguirla acriticamente, come un pastore che rincorre il suo gregge di pecore" (pag. 180).
"Ma in fondo non dobbiamo lamentarci troppo. Se i politici seguono il gregge, è perchè il gregge è gregge. Finchè ci lasceremo suggestionare dagli slogan, finchè saremo accecati dalle nostre simpatie e antipatie, la politica non smetterà di usarci" (pag. 182).

Sia pure con qualche tortuosità logica - i politici seguono il gregge e nel contempo lo usano (Ricolfi) - entrambi i due protagonisti del dibattito pubblico mettono il dito su una piaga. La ricerca del consenso elettorale può rendere inefficiente la democrazia.
Ma occorre essere chiari. Già Pericle, nell'Atene democratica del V secolo a. c., affermò che: "Benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla". E' la democrazia rappresentativa: non tutti possono governare ma tutti possono giudicare (e quindi mandare a casa) chi ha governato. Comprensibilmente i politici si adeguano cercando di individuare l'orientamento degli elettori e di ottenere il loro consenso.
Allora che fare? Come attenuare gli effetti perversi della democrazia? L'educazione, in particolare dei giovani, appare la via maestra per una democrazia libera ed efficiente. L'idea che si possa separare l'informazione dall'educazione e che si debba evitare di adottare un preciso indirizzo educativo non appartiene realmente al pensiero liberale. Come ha sottolineato uno dei filosofi liberali più influenti del Novecento in una nota intervista televisiva (5:40) "il liberalismo classico ha sempre accordato una grande importanza all'educazione e un'importanza ancor più grande alla responsabilità".
Tutte le "agenzie" in senso lato educative, a partire dalla scuola, dovrebbero convergere sull'obiettivo di formare un cittadino idoneo alle sue funzioni pubbliche, informato dei lineamenti dello stato democratico contemporaneo e dei suoi problemi. La larga diffusione di una cultura democratica e liberale deve essere sempre accompagnata da una semplice ma efficace informazione sui presupposti e le condizioni di una democrazia sostenibile, nell'ambito di una educazione alla responsabilità, all'autocontrollo, all'accettazione della complessità.
E' illusorio perseguire il fine di una genuina cultura liberale di massa, soprattutto in una paese come il nostro, dove l'influenza del marxismo e di una interpretazione illiberale della tradizione cattolica è stata profonda? Forse. Ma deve guidarci la consapevolezza che una società non lontana da questo modello ideale è storicamente esistita. Karl Popper nella sua autobiografia intellettuale, La ricerca non ha fine, ha confessato:
"L'America mi piacque fin dal primo istante, forse perchè prima avevo qualche pregiudizio nei suoi confronti. Nel 1950 c'era un senso di libertà, di indipendenza personale, che non esisteva in Europa e che, pensavo, era ancor più forte che in Nuova Zelanda, il paese più libero che io conoscessi" (1978, pag. 132).
Si trattava di una libertà responsabile, fondata sulla tradizione e sull'autocontrollo. Una lezione da non dimenticare.




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